PALERMO. La vulvodinia (dolore vulvare cronico) è il delicato tema al centro del 3° Convegno Nazionale, chiusosi all’Astoria Palace Hotel di Palermo, in cui si sono confrontati illustri professionisti del mondo uro-ginecologico.
Erano presenti tra gli altri Filippo Murina (ginecologo, responsabile del Servizio di Patologia Vulvare dell’Ospedale V. Buzzi-ICP, dell’Università di Milano e Direttore Scientifico dell’Associazione Italiana Vulvodinia) e Daniele Porru (Urologo, al Policlinico S. Matteo di Pavia).
Coordinatore scientifico dell’evento è stato Francesco Pesce (urologo e neurologo, presso il “Centro del Dolore Pelvico Cronico” di Roma), mentre presidente del comitato scientifico locale è stato Biagio Adile (direttore dell’U.O.C. di Urologia Ginecologica, anche “Centro di Riferimento Regionale per la diagnosi e la cura dell’incontinenza urinaria femminile” e Centro di Riferimento per la Cistite Interstiziale dell’Azienda Ospedaliera Villa Sofia- Cervello di Palermo).
La consapevolezza generale, e anche della stessa comunità scientifica, non è ancora ben consolidata, eppure il dolore vulvare cronico colpisce tra il 15% e il 18% delle donne, causando alterazioni molto gravi della qualità della vita, con ricadute drammatiche soprattutto sulla sfera sessuale.
In pratica, 1 donna su 7 (ma essendo a tuttora poco diagnosticata la patologia non si escludono diverse percentuali) ne soffre e sono varie le cause: dalle candidosi, alle vaginiti, alle cistiti ricorrenti, alle terapie antibiotiche, ma anche traumi fisici legati a cadute sul coccige (segmento finale della colonna vertebrale), o a traumi da abusi, o comunque a traumi di tipo fisico e psicologico, o anche a una condizione generale di stress psico- fisico.
La vulvodinia determina grande sofferenza alle donne che ne sono affette, rendendo difficile se non impossibile il rapporto sessuale (dispareunia ovvero dolore che si presenta nell’area pelvica durante o dopo i rapporti sessuali).
Nei casi più avanzati si hanno sintomi caratterizzati da percezione come di “punture di spillo”, scariche elettriche sul clitoride e in area vulvare, ovvero tutti sintomi neuropatici, a cui si associa la contrattura della muscolatura pelvica verso l’ano, il perineo, o peso soprapubico o nei visceri, in uretra e vescica, a stretto contatto con questa muscolatura ipertonica, determinando anche talora stimolo alla minzione frequente o difficoltà di evacuazione (defecazione ostruita o stipsi).
Per alcune di queste donne se la vulvodinia non è riconosciuta si cronicizza fino a rendere difficile sedersi su superfici dure o camminare.
Vincere la vulvodinia è una sfida che richiede un approccio multidisciplinare, che impegna in prima linea i medici ginecologi e urologi, ma anche i neurologi e molte altre figure come ad es. i fisioterapisti dedicati alla riabilitazione all’interno del percorso di cura, o gli psicoterapeuti.
Che cos’è esattamente la vulvodinia, lo spiega, all’interno dell’interessante sessione scientifica, il prof. Biagio Adile: «La vulvodinia è una condizione, particolarmente frequente, di dolore, bruciore, fastidio, irritazione, difficoltà nei rapporti sessuali, che interessa i genitali esterni, ovvero ha sede nell’area esterna della vagina. Nell’80 per cento dei casi si riscontra all’ingresso della vagina, nella sede definita vestibolo vaginale; qui le terminazioni nervose subiscono un’alterazione a causa di processi infiammatori e i muscoli tendono a contrarsi. Oggi la cura è efficace, se viene riconosciuta e se viene approntata una strategia corretta».
Un primo approccio utile al percorso di guarigione è riservato a quelle che vengono definite “misure igienico- comportamentali”, ovvero l’insieme di comportamenti che sono volti a incidere su abitudini e stili di vita: da una particolare attenzione all’abbigliamento, alla scelta degli sport, all’alimentazione.
Ad esempio, evitare biancheria intima che contenga materiale sintetico, o colorata, pantaloni che costringano la regione anatomica di pertinenza, sport che la sottopongano a stress, vedi il ciclismo per citarne uno e usare detergenti intimi con basso contenuto di tensioattivi sono già di aiuto alla cura.
La vulvodinia rende complicata l’attività sessuale, fino a produrre tutta una serie di disagi assai invalidanti per la donna, determinando spesso una sindrome depressiva importante per la difficoltà di condurre una serena vita intima e di relazione. Il dolore vulvare è particolarmente frequente, nessuna fascia di età della vita della donna ne è esente.
«Si tratta- afferma il prof. Adile- di una condizione morbosa che, se non riconosciuta e curata precocemente, cagiona un prolungamento delle sofferenze fisiche ed emozionali che stravolgono la vita individuale e di coppia della donna. Serve trovare ascolto e risposte tempestive. Una difficoltà di ostacolo alla diagnosi che, perciò, sovente giunge tardivamente, per gli specialisti, è rappresentata dal fatto che non esistono supporti diagnostici strumentali, ovvero diagnostica per immagini, endoscopia, markers. Si diagnostica, quindi, con un’accurata anamnesi e un esame obiettivo mirato».
Il dr. Pesce, invece, sottolinea la qualità neuropatica del dolore del pudendo e la necessità di evitare situazioni cd. confondenti. Spesso, infatti, si perviene a diagnosi tardive perché la vulvodinia è scambiata con altre patologie, vedi ad esempio infezioni vaginali che possono dare sintomi similari.
Terapie fisiche come elettrostimolazione e riabilitazione o terapia farmacologica, opportunamente coadiuvate in base al caso di specie, possono agire ai fini della regressione della malattia o della guarigione da essa.
Per quanto attiene ai farmaci: sono mutuati dalla neurologia, come ad esempio l’impiego di antidepressivi triciclici, non a scopo antidepressivo in questo caso, ma somministrati a microdosi per agire come analgesico e antinfiammatorio sui circuiti di inibizione del dolore o sulla neuro- infiammazione, ovvero su quei mediatori che comportano una riduzione della componente infiammatoria delle terminazioni nervose.
E a Milano è nato un progetto unico nel mondo: “vu-net”, ovvero la prima rete italiana di studio, ricerca e formazione vulvare, di cui il dr. Filippo Murina, insieme alla professoressa Alessandra Graziottin, ginecologa e sessuologa, è co-coordinatore nazionale.
L’obiettivo è quello di fotografare la realtà del dolore vulvare a livello nazionale. Un progetto che mira, da un lato, a un’indagine conoscitiva, prevedendo la diffusione, attraverso il web, di un articolato questionario (pubblicato dalla fondazione Graziottin, insieme all’Associazione Italiana di Vulvodinia) diretto alle donne, al fine di reperire informazioni sui fattori predisponenti al dolore pelvico e sui fattori di co-morbilità, come cistiti, ipertono del pavimento pelvico, endometriosi, sindrome del colon irritabile e fibromialgia.
Lo scopo è di perfezionare i criteri diagnostici e pervenire a linee guida terapeutiche da applicare in modo omogeneo al territorio nazionale. Ciò per consentire alle donne di accedere ad ambulatori italiani pubblici dotati di personale specificatamente preparato.
Un’iniziativa dunque di alta ambizione formativa, volta ad amplificare la capacità di cura su tutto il territorio e, partendo da questa attenzione al dolore vulvare, generare una maggior sensibilità verso l’ascolto e il rispetto del dolore, dunque una più radicata consapevolezza nel mondo scientifico e nella collettività, che è condizione propedeutica perché sia garantita la qualità della vita.
Le donne, infatti, sono costrette a fare dei giri immensi, spesso a viaggiare verso centri lontani geograficamente dal luogo di vita quotidiana con costi individuali – anche di natura economica – altissimi, prima per pervenire a questa diagnosi e a professionisti che non sottovalutino questo stato di dolore cronico (tale se perdura da almeno 3 mesi) poi per poter essere adeguatamente curate, anche se grazie alle organizzazioni spontanee di aiuto e alla sensibilità dei ginecologi più dedicati, oggi, si sono formati siti internet e forum di informazione che hanno accorciato a due/ tre anni l’iter di riconoscimento diagnostico rispetto agli otto/ sei anni del passato.
La divulgazione è preminente e la diffusione di informazioni facilita la donna a rinvenire specialisti in materia per un’immediata presa di coscienza, ma c’è comunque ancora molta strada da fare per superare stereotipi culturali che spesso riconducono con superficialità questa sintomatologia a non meglio definiti disagi psicologici, alimentando di fatto in queste donne la percezione di una grande intima solitudine e ostacolando il corretto inquadramento della questione a livello clinico.
«La vestibolite vulvare può essere considerata una sindrome del dolore neuropatico in quanto oggi abbiamo gli elementi per dimostrare che esiste una disfunzione nella percezione del dolore a più livelli. Il vestibolo vaginale è la zona che prelude alla parte più interna ed è spesso quella con maggior sensibilità», spiega il dr. Murina.
In presenza di dolore neuropatico, le terminazioni nervose delle sottomuscose subiscono una modificazione- incrementando di volume e di numero (sensibilizzazione periferica)- che caratterizza l’iperalgesia (percezione esagerata del dolore), o l’allodinia (percezione dolorosa di uno stimolo che non dovrebbe essere tale); a questo punto il fenomeno tende ad articolarsi lungo tutto il neuro-asse del sistema nervoso centrale, sia midollo spinale che cervello, attraverso delle variazioni che portano ad un’amplificazione ulteriore del dolore.
Cosa innesca questa condizione? Tutto ciò che agisce a livello vestibolare inducendo un cd. fattore trigger: uno dei principali è la candidosi vulvovaginale ( va segnalato che il 40%/60% delle donne che hanno vulvodinia hanno anche candida ricorrente). Infatti, la candidosi ricorrente spesso fa partire il fenomeno, determinando un’alterazione delle fibre, poi il cervello tende ad amplificarlo attraverso un processo definito “infiammazione neurogenica”, dove alcune cellule “mastociti” liberano sostanze tossiche nel contesto del vestibolo vaginale e modificano l’assetto della percezione del dolore. Quindi oggi può affermarsi che questa è una malattia organica legata a una disfunzione del dolore a livello periferico (vestibolo) e centrale (midollo spinale e cervello).
Sinergia dunque appare la parola d’ordine: clinici, media e donne insieme possono realizzare un nuovo approccio al dolore vulvare, affinché non sia fardello soltanto di chi lo porta addosso, ma sia guardato da un’angolazione più matura, tipica, al contempo, di una società cd. civile, che solo se accompagna coscientemente la scienza può dirsi evoluta e, al contempo, di una scienza che solo se è “umanizzata” può davvero dirsi anche progredita.
L’ambulatorio di Uroginecologia del Presidio Ospedaliero Villa Sofia, diretto dal prof. Biagio Adile e collaborato dal dott. Giorgio Gugliotta e dalla dott.ssa Patrizia Speciale, permette l’accesso per questo tipo di patologia, su appuntamento, telefonando dal lunedi al venerdì, dalle ore 09 alle ore 13, al numero 091-7808070, oppure on-line tramite il sito www.urogyn.ospedaliriunitipalermo.it.