PALERMO. Tante sono le storie di vita che potremmo raccontare in occasione della “Giornata Nazionale della donazione di organi e tessuti” che si celebra oggi, ma ne abbiamo scelto una particolare perché Gaetano Alessandro dopo aver subito un trapianto di cuore ha fondato l’associazione “Donare è vita” ed a questo progetto ha dedicato la sua esistenza. Proprio oggi è stato firmato un altro protocollo di intesa da Alessandro con il Comune di Messina e il CRT (Centro Regionale Trapianti) per favorire la promoziona della cultura della donazione da vivente. «La cultura del donare è una cultura di vita, è il superamento della morte perché in questo modo non ha l’ultima parola»: ha dichiarato ad Insanitas Giorgio Battaglia, coordinatore del CRT, ma cosa vuol dire materialmente per chi riceve? Lo abbiamo chiesto, appunto, a Gaetano Alessandro.
Di che patologia soffrivi?
«Ho scoperto tutto per caso, perché mio fratello doveva fare un elettrocardiogramma e mi ha chiesto di fargli compagnia, per cui l’ho fatto anche io, così si è visto che avevo tante extrasistole e il medico mi ha detto che dovevo fare accertamenti. Mi sono rivolto al Policlinico di Messina, al dottore Cavalli, ora in pensione, che mi ha consigliato di andare in un centro di eccellenza per le cardiopatie dilatative che si trova a Trieste, quindi, si è scoperto che una influenza curata male aveva colpito la membrana del mio cuore causando una miocardite dilatativa. In quel periodo loro mi cominciarono a dire che dovevo entrare nell’ottica che avrei anche potuto dover affrontare un trapianto di cuore. Era il 2004, avevo 32 anni e fino a qualche giorno prima giocavo a calcio, la mia vita è stata stravolta».
Poi sei stato aiutato con supporti meccanici?
«Nel 2006 mi hanno messo un defibrillatore che faceva anche da pacemaker e da qui poi è iniziato il calvario della lista d’attesa. I medici mi hanno indicato due Centri a cui potermi affidare, uno era a Udine e l’altro l’Ismett di Palermo, su cui devo dire che ero un po’ prevenuto per il fatto stesso che la struttura fosse in Sicilia e, invece, mi sono ampiamente ricreduto, perché poi sono entrato in cura lì e sono stato seguito da loro. Intanto, avevo problemi e venivo ricoverato spesso al Policlinico di Messina. Il 21 dicembre 2011 ho avuto 90 scariche del defribillatore, che solitamente dura 5 anni, a me è durato un giorno, all’indomani hanno dovuto mettere quello nuovo».
La situazione stava degenerando…
«Sì, infatti, a maggio del 2012 ero stato ricoverato al Centro trapianti di Messina, mi hanno trasportato con l’ambulanza accompagnato da Vito Pipitone, perché dovevano mettermi l’assistenza ventricolare artificiale a sinistra, il VAD, che mi sarebbe servito da ponte per il trapianto, la sera mi hanno portato in terapia intensiva e il cuore si era fermato quindi mi hanno condotto di nuovo in sala operatoria e hanno visto che avevo una piccola emorragia all’aggancio del Vad che viene messo alla base del cuore, poi c’è un filo elettrico che esce dallo stomaco con una centralina esterna e due batterie, le quali devono essere portate sempre con sé in un marsupio, se si staccano le batterie si muore. Quindi, mi hanno riportato su e mi hanno lasciato in coma farmacologico per 37 giorni fino a quanto mi hanno risvegliato, ma io quei 37 giorni li ho vissuti tutti».
Cosa è successo dopo?
«Quando ormai non c’era quasi più nulla da fare, il 5 maggio 2014 mi è arrivata la fatidica chiamata di Angela, da tempo mi dicevano che il giorno in cui sarei stato chiamato lo avrebbe fatto una certa Angela, quindi ho capito subito e lei mi infatti mi ha chiesto: “Quanto tempo ci stai ad arrivare a Palermo? Perché forse c’è la possibilità che ci sia un cuore per te”, nel frattempo proprio a Messina stavano facendo un prelievo di organi, quindi capisco che il cuore partiva da Messina ma non sapevo ancora chi fosse. Sono stato operato il 6 maggio del 2014 per fortuna perché ormai non potevo mettere più neanche le scarpe, ero completamente pieno di liquidi. Il trapianto all’Ismett è andato benissimo e adesso sto bene».
Coma hai saputo che fosse il tuo donatore?
«La morte di Corrado ha fatto scalpore in zona perché era un bravo ragazzo e un ottimo padre di famiglia venuto a mancare precocemente e improvvisamente con un aneurisma, tanto buono da aver deciso di donare i propri organi da vivente. Per cui la moglie Sonia ha rilasciato una intervista alla Gazzetta del Sud e chiedeva di sapere chi aveva ricevuto il cuore del marito, io ho accettato di incontrare tutta la famiglia di Corrado: il padre, la madre, la moglie, la sorella, i figli piccoli, e ogni volta che vado lì è come lui torna a casa, io cerco di fargli sentire i battiti del cuore, infatti, io dico sempre che la donazione non fa bene solo a chi riceve ma anche a chi dona, perché se lui non avesse donato sarebbe solo nella tomba e invece continua a vivere in tanti altri: ad esempio due persone hanno avuto i suoi reni, io il suo cuore. Noi riceventi siamo gli scrigni dello persone che ce lo donano e lo conserviamo in vita per poi restituirlo alla morte. Da quel momento in poi la mia vita è cambiata radicalmente, adesso il mio obiettivo è quello di aiutare gli altri».
Così, quindi, è nata l’associazione “Donare è vita”?
«L’ho fondata nel 2015 in onore del mio donatore e in favore della donazione degli organi e dei tessuti. Ho già attivato molti protocolli d’intesa con la Brigata Aosta, il Policlinico di Messina, ad ottobre ne abbiamo firmato un altro con il “Bonino Pulejo- Piemonte”, tra un poco ne stipuleremo uno con l’Università di Messina. Oggi in occasione della “Giornata Nazionale della donazione di organi e tessuti” abbiamo firmato un altro protocollo di intesa con il Comune di Messina e il CRT per poter fare attività di promozione alla donazione in maniera più ampia e capillare, anche attraverso eventi rivolti alla prevenzione delle varie patologie. Inoltre, abbiamo intenzione di sottoscrivere un accordo anche con la Curia, dato che i Papi si sono detti favorevoli alla donazione degli organi».