È un sintomo complesso, complicato da riferire oltre che da capire e da interpretare. Ne soffre circa il 20% della popolazione mondiale. In Italia- dopo i 40 anni- più del 40% della popolazione soffre di vertigini: una violenta e sgradevole sensazione di movimento e di spostamento o del proprio corpo o dell’ambiente circostante. Si tratta, quindi, di un sintomo invalidante che può durare una decina di secondi o diversi giorni ed è quasi sempre accompagnata da nausea, vomito e sudorazione. Ecco perché quando si parla di vertgini, una anamnesi ben condotta risulta fondamentale in quanto permette di acquisire informazioni precise sull’eventuale inquadramento e codificazione della patologia.
«Ascoltando con attenzione ed accuratezza i sintomi presenti- spiega il dott. Marcello Costanzo, già Dirigente di I Livello presso l’Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti Villa Sofia- Cervello di Palermo- e le circostanze di insorgenza del sintomo, si riesce ad effettuare una diagnosi corretta nel 70% dei casi. L’orecchio interno è un organo estremamente complesso, deputato non solo alla percezione dei suoni attraverso le cellule nervose nella coclea, ma anche alla stabilizzazione del nostro corpo nello spazio mediante il blocco labirintico».
Spesso i pazienti riferiscono di vertigini improvvise, devastanti, di pochi secondi, che insorgono nei cambi di posizionamento della testa durante il sonno, coricandosi o alzandosi dal letto, oppure banalmente alzando o abbassando la sguardo per prendere un oggetto…
«In questi casi quasi sicuramente siamo di fronte ad una vertigine parossistica posizionale benigna che rappresenta il 70% di tutte le vertigini, ma non è una patologia grave. Nell’orecchio interno, nei due recettori utricolo e sacculo, vi sono dei piccoli sassolini chiamati otoliti che, per una causa nota o ignota, si spostano dalla loro sede introducendosi in un canale semicircolare e cioè in un tratto dell’orecchio interno dove non dovrebbero stare. Con i movimenti della testa questi sassolini si spostano, determinando una vertigine intensa ma fortunatamente di breve durata. Riguardo le cause dello spostamento degli otoliti, l’unica causa conosciuta è il trauma cranico, anche di modesta entità, che determinerebbe lo spostamento dei sassolini. Per il resto tante supposizioni, ma nessuna causa accertata».
Come si cura la vertigine posizionale benigna?
«La diagnosi viene effettuata facendo sedere il paziente su una lettiga e posizionando la testa verso l’alto o verso il basso oppure bisogna rapidamente coricarlo lateralmente verso destra o verso sinistra con il viso rivolto verso l’alto di 45°. Si valuta poi, attraverso gli occhi, se iniziano dei movimenti anomali (nistagmo), assieme alla sensazione di vertigine del paziente. Una volta individuato il canale semicircolare che all’interno contiene i “sassolini”, si procede alle manovre liberatorie e cioè a dei movimenti della testa assieme al corpo per reintrodurre i sassolini nel punto da dove si erano distaccati».
Perché la vertigine posizionale benigna tende a colpire soprattutto le donne sopra i 50 anni?
«Tra le varie supposizioni delle possibili cause, legate ad una infezione virale o, per esempio, ad una banale influenza o a disturbi della microcircolazione dell’orecchio interno, attualmente la più accreditata individua la causa del sintomo nella carenza nel nostro corpo di vitamina D. Mediante studi effettuati in diversi centri in Italia, si è visto che esiste una valida correlazione tra la ipovitaminosi D e la vertigine parossistica non da trauma cranico. Questo un po’ spiegherebbe il perché le donne siano maggiormente soggette a tale patologia».
Vertigine soggettiva e vertigine oggettiva. Quali sono le differenze?
«La vertigine soggettiva è la sensazione che sia il proprio corpo a roteare attorno alle cose. Al contrario la vertigine oggettiva è rappresentata dalla sensazione che siano gli oggetti a roteare attorno al paziente. Anche in questo caso l’individuazione della sensazione vertiginosa dal punto di vista anamnestico è importante in quanto la vertigine soggettiva è una patologia di origine centrale e quindi del tronco dell’encefalo, del cervelletto o del cervello e rappresenta il 20% del totale delle vertigini. Nel restante 80% delle vertigini oggettive la partenza è dall’orecchio interno o dal nervo cocleovestibolare».
La sindrome di Mèniere è la malattia dell’orecchio più invalidante. Quali sono i sintomi?
«Fortunatamente non è molto frequente ed è legata ad un aumento di liquido (idrope endolinfatico) all’interno dell’orecchio e coinvolge sia l’udito che l’equilibrio. La causa che determina questo aumento di liquido a tutt’oggi non è conosciuta anche se, personalmente, ritengo che la sindrome debba essere inserita tra le malattie autoimmunitarie. Ogni crisi determina, in pieno benessere ed in contemporanea, una diminuzione dell’udito, rumori nell’orecchio con sensazione di orecchio pieno e intense vertigini oggettive. È una malattia estremamente invalidante con ripercussioni nell’ambiente di lavoro e nelle relazioni sociali. Le crisi vertiginose improvvise possono variare, nei casi più gravi, anche a una- due volte al mese. A lungo andare deteriorano sempre di più l’udito del paziente sino a condurlo alla sordità. Coinvolge in genere solo un orecchio ed il sesso femminile è più soggetto alla malattia».
Esiste una cura definitiva?
«Attualmente no. Vengono utilizzati farmaci antivertiginosi e diuretici ed una dieta iposodica. Una valida alternativa si è vista aumentando il carico giornaliero di apporto idrico che renderebbero meno frequenti le crisi. Un’alternativa chirurgica consiste nell’iniettare attraverso la membrana timpanica dell’orecchio interessato un farmaco ototossico (gentamicina) che distruggerebbe le cellule nervose dell’orecchio interno, annullando così le crisi vertiginose, ma causando un peggioramento dell’udito. Infine, se eseguita da valida mano chirurgica, una risoluzione della malattia è un intervento chirurgico di decompressione del dotto e del sacco endolinfatico oppure la resezione del nervo vestibolare. Tali interventi chirurgici non intaccano l’udito e si assiste alla guarigione in più del 96% dei pazienti».
Il nuoto, una corretta ginnastica, una corretta postura o la fisioterapia possono proteggere dalle vertigini?
«Sono tutte procedure che aiutano indubbiamente il paziente con problemi di equilibrio. Bisogna, però, distinguere nettamente la vertigine dalla instabilità: la vertigine è una sensazione sgradevole e rotatoria del proprio corpo attorno alle cose circostanti o viceversa alle cose attorno a noi. L’instabilità è, invece, una fastidiosa condizione in cui avvertiamo la sensazione che si prova in barca o come quando si fa abuso di alcolici. Tale condizione interviene in soggetti con problemi al rachide cervicale o con problemi di occlusione dentaria, disturbi della vista, disturbi posturali agli arti inferiori e così via. In tali casi fisioterapia, nuoto e ginnastica rappresentano la soluzione ideale per la risoluzione del problema».
I bambini possono essere colpiti da vertigini?
«Purtroppo sì. Anche i bambini possono essere soggetti a crisi vertiginose importanti, anche se meno frequentemente rispetto agli adulti. Qualche anno fa ebbi in cura un bambino di 12 mesi, affetto da Sindrome di Down. Ogni volta che la madre si apprestava ad allattare il bambino, nel movimento di posizionamento della testa, iniziavano dei movimenti oculari anomali con crisi di pianto e vomito. Trattato dal neuropsichiatra infantile come epilettico, in realtà il bambino aveva una vertigine parossistica posizionale benigna e con delle manovre di riabilitazione, è guarito dalla malattia».
Uno studio del Dipartimento di Otorinolaringoiatria della Harvard Medical School di Boston ha recentemente individuato tre nuovi sintomi del Covid: acufene, perdita e/o abbassamento dell’udito e vertigini. Perché il covid colpisce anche l’orecchio?
«Premesso che il Sars-cov2 è un nuovo ceppo di coronavirus, così come comunemente è avvenuto in passato ed attualmente avviene per le infezioni virali, anche l’orecchio può essere interessato dalla malattia, causando ipoacusia, vertigini ed acufeni. La percentuale di pazienti con tali manifestazioni è di gran lunga inferiore a chi ha avuto come primi segni la diminuzione o l’assenza dell’odorato o del gusto. Pertanto, nonostante l’eccellente lavoro dei colleghi americani, ritengo che sia un po’ pretenzioso ritenere i tre sintomi spie di una possibile infezione da Covid 19. Una riflessione viene spontanea, considerando come alcuni farmaci antivirali, che si usano per combattere gli effetti dell’infezione, possono causare una ototossicità temporanea o permanente e quindi determinare ipoacusia, vertigini ed acufeni».
Il raffreddore, l’otite, l’abuso di alcool, l’indigestione, i disturbi della vista, lo stress e gli effetti collaterali dei farmaci possono causare vertigini?
«Sono tutte condizioni che causano instabilità e vertigini. Evidentemente la durata dei sintomi è estremamente ridotta e legata alla causa che l’hanno determinata. Lo stress in particolare da alcuni pazienti viene indicato come causa delle vertigini, ma in realtà è una considerazione errata. La vertigine è un sintomo ben preciso e codificato con alla base una patologia scatenante che, indubbiamente, può essere peggiorata dalle precarie condizioni psicologiche del paziente».
Da giovane studente perché ha scelto di inscriversi in Medicina e di specializzarsi in Otorinolaringoiatria?
«Provengo da una famiglia di medici dove, ad ora di pranzo, si discuteva di malattie e casi clinici. È stata una scelta condizionata che sicuramente ritengo essere stata la scelta giusta. Con il progredire degli studi, la scelta della branca di Otorinolaringoiatria è stata un “amore a prima vista”. La completezza della branca con possibilità di terapia chirurgica e medica mi ha decisamente fatto innamorare. Rispetto a tante altre branche della medicina dove, per eseguire una diagnosi, è necessario eseguire esami strumentali o di laboratorio, l’Otorinolaringoiatra guarda ed emette una diagnosi immediata, raramente ricorrendo ad ulteriori accertamenti. In conclusione, dovessi ricominciare la mia carriera professionale, la scelta sarebbe sicuramente la stessa».
Come si rinnova, con il passare degli anni, l’amore per una professione come quella del medico che dovrebbe mettere sempre e comunque al centro la persona umana?
«Ognuno di noi, dalle professioni più impegnate ai lavori più umili, è importante per progredire e rendere possibile e sicura la vita comune. In questo contesto il medico, curando la salute del paziente, partecipa a questa enorme “macchina”, cercando di mantenere sempre al centro delle attenzioni la figura del paziente. Successi e insuccessi si inseguono lungo la vita di ogni profilo medico, ma instaurare un rapporto di fiducia, spiegare in maniera semplice la malattia, prospettare le eventuali terapie mediche o chirurgiche ed indicando le prospettive future, ritengo sia possibile solo esprimendo una passione, una dedizione ed un amore profondo per la propria professione».