prostata

Salute e benessere

L'intervista all'esperto

Tumore della prostata, come prevenirlo e curarlo? L’approfondimento di Insanitas

Circa 40 mila nuovi casi all’anno in Italia, ma solo il 10%-20% degli uomini si sottopone a visita urologica e 9 maschi su 10 in generale effettuano una visita solo in caso di gravi patologie. L'intervista a Sebastiano Bruschetta, specialista in Urologia e Andrologia.

Tempo di lettura: 6 minuti

Negli uomini il tumore più diagnosticato è quello della prostata che rappresenta oltre il 20% di tutti i tumori a partire dai 50 anni di età, tra i soggetti di sesso maschile. Riguarda circa 40 mila nuovi casi all’anno in Italia, ma solo il 10% – 20% degli uomini si sottopone ad una visita urologica e 9 maschi su 10 in generale effettuano una visita solo in caso di gravi patologie.

Nonostante la prevenzione riduca la frequenza di patologie tumorali e di patologie benigne a tutt’oggi c’è ancora scarsa attenzione da parte dell’emisfero maschile sul tema. Da ciò anche l’importanza della campagna nazionale “controllati.it” sostenuta dalla Società Italiana di Urologia, che si svolge fino al 30 novembre e attraverso cui è possibile prenotare una visita urologica gratuita in uno dei centri SIU chiamando il numero 800942042.

Insanitas ha intervistato Sebastiano Bruschetta (nella foto), specialista in Urologia e Andrologia (Casa di Cura San Camillo di Messina).

Cos’ è la prostata?

«E’ una ghiandola presente solo negli uomini, posizionata di fronte al retto. Essa secerne una parte del liquido seminale rilasciato durante l’eiaculazione ed è molto sensibile all’azione degli ormoni maschili, come il testosterone, che ne influenzano la crescita. In condizioni normali ha le dimensioni di una noce, ma con il passare degli anni, o a causa di alcune patologie, può ingrossarsi fino a dare disturbi soprattutto di tipo urinario».

La diagnosi precoce in questo campo è determinante

«Perché porta il 95% dei pazienti asintomatici a scoprire il tumore alla prostata, anche con 10 anni di anticipo, incrementando la possibilità di sconfiggerlo e perché nel 91% dei casi si sopravvive alla malattia a 5 anni dalla diagnosi. Oggi si può, infatti, gestire la malattia anche in casi molto avanzati, grazie alle terapie disponibili meno invalidanti rispetto al passato e alle evoluzioni della ricerca, che consentono di stabilizzare la malattia a lungo termine, “chemio free”, indicate anche in pazienti con una diagnosi di tumore aggressivo, metastatico già alla diagnosi».

Gli uomini vivono ancora come un tabù la visita dall’urologo?

«Purtroppo sì. Gli uomini sono meno orientati rispetto alle donne verso la prevenzione, tantomeno a sottoporsi alla visita urologica. Già l’esame periodico del PSA dai 50 anni in poi (40 anni in caso di familiarità) rappresenta ad oggi un’importante misura preventiva che va adattata ai fattori di rischio del singolo paziente. Questo accanto alla visita urologica (esplorazione digito-rettale) e all’ecografia rappresenta una responsabile strategia di tutela della propria salute».

Quali sono i campanelli d’allarme?

«Stanchezza cronica, dolore (soprattutto alle ossa), debolezza, disturbi urinari, difficoltà a dormire o a svolgere normali attività quotidiane, come camminare o salire le scale sono ad esempio alcuni segnali che dovrebbero mettere in allerta gli uomini, che non sanno di avere un tumore prostatico, perché la presenza di questi sintomi potrebbe indicare che la malattia sta peggiorando. Circa la metà dei pazienti che convive con una neoplasia prostatica in fase avanzata ignora il possibile significato di questi indizi e quasi uno su tre non riconosce il fatto che il dolore potrebbe essere legato al cancro e, di conseguenza, spesso non ne parla con un medico».

Agenti cancerogeni e fattori di rischio?

«Va fatta una premessa: occorre distinguere tra sostanze cancerogene con sufficiente evidenza negli esseri umani, dove cioè s’intende stabilita una relazione causale tra sostanza cancerogena e cancro e dove, dunque, bias e fattori confondenti possono essere esclusi con una ragionevole probabilità, e sostanze cancerogene con limitata evidenza negli esseri umani, in cui è possibile una relazione causale, ma non possono essere esclusi bias e fattori confondenti». (v. Tab1).

«La lista dei fattori di rischio chiamati in causa nell’eziologia dei tumori è molto ampia e in continua evoluzione: non è facile determinare un singolo fattore di rischio associato ad una sola sede tumorale, perché la malattia neoplastica è per definizione a “genesi multifattoriale”. Esiste, quindi, un concorso di fattori di rischio che si sommano e si moltiplicano nel determinare la malattia. A questi vanno aggiunte le capacità di reazione dell’ospite, intese sia come meccanismi di difesa immunitaria sia come processi di riparazione dei danni sul DNA». (Tab. 2 sintesi dei principali agenti cancerogeni).

Il tumore viene classificato in base al grado e allo stadio. Come si traduce ciò sul piano diagnostico?

«A seconda della fase della malattia si procede a effettuare esami di stadiazione come la tomografia computerizzata (TC) o la risonanza magnetica (RM). Per verificare la presenza di eventuali metastasi allo scheletro si utilizza la scintigrafia ossea».

Attraverso il prelievo di tessuto mediante la biopsia si assegna al tumore il grado di Gleason, compreso tra 1 e 5.

«Indica quanto l’aspetto delle ghiandole tumorali sia simile o diverso da quello delle ghiandole normali: più simili sono, più basso sarà il grado di Gleason. I tumori con grado di Gleason score minore o uguale a 6 sono considerati di basso grado, quelli con 7 di grado intermedio, mentre quelli tra 8 e 10 di alto grado. Questi ultimi hanno un maggior rischio di progredire e diffondersi in altri organi».

Sistema TNM sta per?

«T = tumore, N indica lo stato dei linfonodi (N: 0 se non intaccati; 1 se intaccati) e M la presenza di metastasi (M: 0 se assenti; 1 se presenti). Per una caratterizzazione completa dello stadio della malattia a questi tre parametri si associano anche il grado di Gleason e il livello di PSA alla diagnosi. La correlazione di questi parametri (T, Gleason, PSA) consente di attribuire alla malattia le tre diverse classi di rischio: basso, intermedio e alto».

Come si interviene sul piano del trattamento?

«Oggi sono disponibili molti tipi di trattamento per il tumore della prostata: lo specialista urologo consiglia la strategia più adatta e personalizzata, in base alle caratteristiche del paziente (età, aspettativa di vita) e della malattia (basso, intermedio o alto rischio)».

Gli anglosassoni applicano il cd. watchful waiting, “vigile attesa”; vale a dire “aspettare” senza ricorrere a trattamenti fino alla comparsa di sintomi.

«La cosiddetta “sorveglianza attiva” a cui lei fa riferimento si applica o in pazienti anziani o in pazienti che presentino caratteristiche della malattia a basso rischio. Esistono opzioni terapeutiche che consentono di posticipare il trattamento nel momento in cui la malattia diventa clinicamente significativa. In tal caso si effettuano solo controlli abbastanza frequenti, quali: PSA, scintigrafia ossea, TC addome e/o RMN che permettono di monitorare l’eventuale evoluzione della patologia».

Quando si parla di terapia attiva, invece, la scelta spesso ricade sulla chirurgia radicale

«La prostatectomia radicale, consiste nella rimozione dell’intera ghiandola prostatica, delle vescichette seminali e dei linfonodi della regione vicina al tumore. È considerata un intervento curativo se la malattia risulta confinata nella prostata. Grazie ai notevoli miglioramenti degli strumenti chirurgici, oggi l’intervento di rimozione della prostata può essere effettuato in modo classico (tecnica open), laparoscopica o per via robotica, in atto diffusa su tutto il territorio nazionale, anche se studi recenti hanno dimostrato che gli esiti dell’intervento robotico e di quello classico si equivalgono nel tempo».

Spesso alla chirurgia radicale si associano anche radioterapia o ormonoterapia

«Se il tumore della prostata si trova in stadio metastatico ed è ormonosensibile, a differenza di quanto accade in altre neoplasie, la chemioterapia non è il trattamento di prima scelta e si preferisce invece la terapia ormonale: essa è finalizzata a ridurre il livello di testosterone – ormone maschile – che stimola la crescita delle cellule del tumore della prostata».

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