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L'intervista di Insanitas

Tumore del seno, in un caso su cento colpisce l’uomo: l’approfondimento con l’oncologo

Per approfondire la questione, Insanitas ha intervistato Ildebrando D’Angelo, responsabile della Breast Unit della Fondazione “Giglio” di Cefalù e membro del Collegio Nazionale dei Senologi.

Tempo di lettura: 6 minuti

Oggigiorno la comunicazione è dilagante in merito al tumore del seno femminile, ma molti non sono consapevoli dell’esistenza del tumore del seno maschile perché si pensa che gli uomini non abbiano del tessuto mammario. In realtà, fino alla pubertà il seno è uguale nei due sessi perché il livello di estrogeni, gli ormoni che fanno crescere il seno, è alto sia nelle femmine sia nei maschi.

Successivamente negli uomini aumenta il livello del testosterone che blocca la crescita del seno. I lobuli non possono così formarsi e i pochi dotti presenti non possono svilupparsi. Il tumore del seno maschile si origina perciò sempre dai dotti.

Per approfondire la questione, Insanitas ha intervistato lo specialista in Oncologia e Radiodiagnostica Ildebrando D’Angelo (nella foto), responsabile della Breast Unit della Fondazione “Giglio” di Cefalù e membro del Collegio Nazionale dei Senologi.

Per grandi linee, quali sono le caratteristiche del tumore del seno maschile?
«Il carcinoma della mammella maschile è una patologia che si riscontra nell’1% circa dei casi di tumore alla mammella. Le ultime stime di incidenza di tumore alla mammella in Italia hanno segnalato oltre 50.000 casi, di cui 500 maschili. Le percentuali italiane sono in linea con i dati internazionali. Anche in questo caso, il tumore della mammella si manifesta più di frequente nelle persone oltre i 50/60 anni piuttosto che in età giovanile».

Quali sono invece i fattori di rischio?
«Principalmente sono tre: sindrome di Klinefelter, un’alterazione genetica e la familiarità. La sindrome di Klinefelter è un’anomalia dei cromosomi sessuali nella quale i bambini maschi nascono con due cromosomi X più un cromosoma Y (XXY), quindi è presente un cromosoma X supplementare. I sintomi sono disturbi dell’apprendimento, arti lunghi, testicoli piccoli e sterilità. Si tratta di una patologia abbastanza rara, qui a Cefalù abbiamo trattato un caso del genere qualche anno fa. Il 4% circa dei tumori della mammella maschile viene da questi casi. Poi c’è la forte familiarità con il tumore della mammella, quindi avere in famiglia più familiari con tumore della mammella (mamma, sorella, nonna) mette nelle condizioni di avere un maggior rischio di tumore al seno. Infine, la presenza delle mutazioni genetiche tipiche del tumore della mammella che sono le alterazioni del cromosoma 17 del gene BRCA1 e l’alterazione del cromosoma 13 su BRCA2. Quest’ultima mutazione genetica si traduce in un maggior rischio di sviluppare il tumore alla mammella maschile, inoltre chi ha questa alterazione ha anche un altissimo rischio di sviluppare un tumore alla prostata o alle vie urinarie (così come nella donna espone anche al tumore dell’ovaio)».

I sintomi sono uguali a quelli delle donne?
«Funziona esattamente nello stesso modo, infatti, la prima cosa che spinge l’attenzione verso la problematica mammaria è l’aumento di volume della mammella e la presenza di un nodulo sempre in ambito mammario. Da non confondere con la ginecomastia, in cui la ghiandola non presenta anomalie (la consistenza rimane quindi uniforme) ed è bilaterale. È necessario effettuare i controlli quando invece ci si accorge di avere un nodulo papabile, più duro, fibroso che magari si sposta poco. Essendo la mammella dell’uomo molto più piccola rispetto a quella della donna, spesso il nodulo si trova dietro il capezzolo. Proprio per il fatto che l’uomo non è consapevole di poter avere questo tipo di patologia arriva con una diagnosi più tardiva rispetto alla donna, quindi molto spesso l’interessamento linfonodale ascellare è più vasto rispetto. È bene precisare che la ginecomastia non è correlata all’aumento del rischio di tumore della mammella».

Come è possibile sapere se una persona è affetta da un’alterazione genetica?
«La Regione Siciliana negli ultimi due anni ha validato un PDTA (percorso diagnostico terapeutico assistenziale) sulla scorta delle nuove linee guida per quanto riguarda i tumori eredo-familiari. Sono stati istituiti centri di riferimento a livello regionale, ad esempio a Palermo al Policlinico “Giaccone” e all’ospedale “Cervello” è possibile fare i test genetici. Per cui quando in famiglia ci sono più casi di tumore al seno, tramite medico curante o tramite gli oncologi che stanno seguendo i propri familiari, anche i maschi possono andare a fare il test genetico, in caso di positività i controlli saranno estesi alla prostata. Mi preme sottolineare che la presenza di un tumore del seno maschile nella linea familiare espone ad un rischio incrementato, quindi se una donna ha il padre, uno zio o un nonno con il tumore della mammella avrà un rischio maggiore rispetto all’avere la madre con il tumore della mammella».

In che modo trattate questi pazienti?
«I trattamenti sono identici a quelli utilizzati per la donna anche se la diagnosi è spesso tardiva rispetto alla donna, perché non si fa prevenzione. Ad esempio, la mammografia nell’uomo non è indicata se non nei casi di forte familiarità o nei casi di rischio genetico. In queste circostanze l’uomo può fare l’esame con risonanza magnetica, ma soprattutto non deve trascurare l’autopalpazione, perché in questo caso l’approccio è sempre clinico mentre per la donna è spesso strumentale. Anche se un terzo dei casi di tumore al seno maschile è diagnosticato in uno stadio più avanzato rispetto alla donna, la prognosi sembra invece essere equivalente perché la maggior parte dei tumori maschili sono ormono-sensibili. In oncologia medica parliamo di tumori Luminal-A, quindi ormoni che hanno forte sensibilità agli estrogeni e al progesterone, oltre ad una capacità di crescita molto bassa. Ciò mette nelle condizioni di poter affrontare il trattamento con finalità non solo curative ma di guarigione attraverso l’intervento chirurgico. Qui la scelta, dato che non ci sono grandi finalità estetiche, si orienta quasi sempre per la mastectomia. Sull’ascella ci si comporta esattamente come per la donna: se non c’è un linfonodo patologico nel cavo ascellare si fa una biopsia del linfonodo sentinella, se questo esame non documenta malattie metastatiche in ambito ascellare il resto dei linfonodi non vengono toccati; se invece l’ascella ha un linfonodo con presenza di malattia metastatica anche il resto dei linfonodi ascellari vengono dissezionati».

Quali sono le terapie successive?
«Essendo nella maggior parte dei tumori ormono-sensibili la scelta più indicata è l’ormonoterapia con il Tamoxifen, un anti estrogeno che al momento viene utilizzato per 5 anni, al dosaggio standard di 20 mg al giorno. Nei casi non ormono-sensibili si può sempre ricorrere alla chemioterapia con i trattamenti standard usati per le donne. Infine, si aggiunge alla chirurgia anche la radioterapia, che nella donna ha la funzione di sterilizzare il resto della mammella conservata. Per l’uomo viene utilizzata solo in presenza di dimensioni abbastanza estese di tumori, quando viene interessata anche la cute o la parete toracica, oppure per la presenza di più di 4 linfonodi metastatici nel cavo ascellare».

Anche gli uomini possono fare la ricostruzione?
«Dipende molto dalla possibilità di conservare il capezzolo perché se c’è il danno estetico è minimo. Negli uomini è più difficile, dopo mastectomia, la ricostruzione del seno perché le protesi disponibili non riproducono in modo adeguato la forma del seno maschile. Se si dovesse levare il capezzolo si può comunque fare la ricostruzione oppure ovviare con un tatuaggio».

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