CATANIA. Il dottor Mario Falsaperla è uno dei maggiori esperti italiani della moderna laparoscopia urologica avanzata 3D in ambito Uro-oncologici e ricostruttivo. Oggi è direttore dell’UOC di Urologia dell’Arnas Garibaldi di Catania e specializzato nel trattamento mini-invasivo del tumore al rene, con l’utilizzo di metodiche in grado di preservare la funzionalità del rene rimuovendo esclusivamente le masse parenchimali. Intervistato da Insanitas, ci ha spiegato in cosa consistono questi trattamenti e quali vantaggi comportano per il paziente.
Dottor Falsaperla, ci può spiegare in cosa consiste il trattamento mini-invasivo dei tumori al rene?
«Consiste nella rimozione dei tumori per via laparoscopica, cioè accedendo all’addome attraverso piccoli fori, una tecnica tridimensionale avanzata in cui si utilizzano gli occhiali 3D per magnificare la visione interna e consentire una dissezione e ricostruzione estremamente dettagliata. Questo consente di amplificare il campo visivo e avere maggiore dettaglio nella valutazione e rimozione del tumore. È una chirurgia molto precisa e ultraselettiva in cui si risparmia il tessuto sano del rene e si riescono a fare interventi di ricostruzione dopo la rimozione del tumore, riducendo il rischio di sanguinamento prima e dopo l’intervento attraverso il clampaggio selettivo di vasi che nutrono il tumore stesso. Si utilizzano dei sistemi miniaturizzati da 3 o 5 millimetri e l’incisione avviene solo in base alla volumetria del pezzo da rimuovere. I tempi di recupero sono molto differenti in quanto non c’è una ampia incisione cutanea e trazione sulla parete addominale, ma soprattutto perché è possibile operare su pazienti complessi, obesi o con patologie concomitanti difficilmente altrimenti trattabili».
Una tecnica di cui si vanta il centro di Alta Specializzazione presso cui lavora.
«Al Garibaldi siamo tra i primi in Italia per quanto riguarda il numero di interventi eseguiti con questa tecnologia e utilizziamo questa modalità cercando di essere selettivi sul tumore anche in casi estremi, parlo di pazienti monorene o con tumori multipli. Questo nasce da una esperienza ormai ventennale. Personalmente ho iniziato operazioni del genere nel 2003, tra i primi medici in Europa, e ho perfezionato i miei studi per diverso tempo all’estero. Si tratta di una tecnica complessa che deve essere riservata a centri di riferimento al fine di minimizzare le complicanze ed ottenere il miglior risultato oncologico. Al Garibaldi facciamo circa 120 interventi l’anno sui tumori al rene e posso affermare che i risultati sono ottimali».
Quali altre tecnologie utilizzate nella cura dei tumori al rene?
«Stiamo sperimentando l’indocianina, una sostanza inoculata per via endovenosa che si localizza nel tessuto sano e serve a definire i limiti di resezione del tumore. Attualmente lavoriamo in collaborazione anche con i radiologi interventisti, qualora ci sia un paziente non operabile, per fare quelle che si chiamano radiofrequenze o embolizzazioni proprie dei tumori, tecniche mini invasive in cui vengono chiusi i vasi che fanno conferire il sangue all’interno dei tumori, portandoli a morire. In questo modo si evita l’intervento demolitivo. Inoltre al Garibaldi attendiamo a breve nuove tecnologie robotiche che consentiranno di perfezionare la tecnica, che comunque risulta essere sempre operatore-dipendente, purtroppo ci sono stati dei ritardi dovuti a vari problemi esterni, dall’emergenza sanitaria da Covid all’alluvione che si è abbattuta su Catania».
Possiamo suggerire alcuni accorgimenti per evitare queste patologie?
«La soluzione migliore è sempre quella della diagnosi precoce. Un semplice controllo ecografico, soprattutto nei pazienti più a rischio con casi simili in famiglia, consente di diagnosticare il tumore in una fase iniziale e conseguentemente di poterlo rimuovere in maniera selettiva senza dover asportare l’intero rene. Ovviamente la prevenzione è piuttosto relativa come in tutti i tipi di tumore: evitare il fumo, i troppi grassi e le proteine animali, l’eccesso di alcol. Cose che si indicano per qualunque tipo di neoplasia. C’è una predisposizione genetica per questo tipo di tumori, le situazioni familiari vanno viste con molta attenzione».
Quali problematiche ha portato il Covid nel suo reparto?
«Abbiamo avuto dei casi sia tra il personale che tra i pazienti che hanno contaminato il reparto, questo ci ha purtroppo costretti a un periodo di stop. Gli interventi per patologie benigne sono rimasti notevolmente in arretrato per dare, di necessità, priorità ai casi oncologici. I tempi di attesa si sono allungati, siamo stati costretti a fare delle scelte in relazione alle priorità sperando di poter ritornare presto alla normalità».