Gli specializzandi medici sono retribuiti, quelli non medici invece non vedono il becco di un quattrino. Tuttavia, ora non ci stanno più: in decine, infatti, hanno avviato azioni legali reclamando il pagamento dei tirocini, finora a loro negato dall’attuale normativa.
Un problema che riguarda in Italia migliaia di giovani. Alcuni prestano servizio anche 10 ore al giorno, per 5 giorni a settimana ma, a differenza dei colleghi specializzandi medici, non percepiscono retribuzione. Dall’iniziativa dello studio legale Fidone, incaricato da diversi soggetti interessati, torna così a galla la “vexata quaestio” del diritto alla retribuzione degli specializzati e specializzandi “non medici”.
La vertenza riguarda numerosi futuri odontoiatri, veterinari, biologi, biotecnici e farmacisti. Ed ancora, chimici, fisici, psicologi, nutrizionisti, agronomi, agrozootecnici e specializzandi di altri corsi di laurea che pur effettuando il tirocinio presso strutture sanitarie, al fianco dei colleghi specializzandi provenienti dalla facoltà di medicina, non hanno nessun diritto.
L’ATTUALE NORMATIVA
«La delicata questione del diritto alla retribuzione degli specializzandi e degli specializzati non medici- afferma l’avvocato Gianfranco Fidone– coinvolge numerosi principi di diritto pubblico e privato, nonché diritti costituzionalmente sanciti e garantiti: si pensi al diritto allo studio, al diritto alla salute, al diritto al lavoro e, non ultimo, al diritto alla adeguata retribuzione ad esso conseguente. Gli specializzandi non medici frequentano, di tasca propria, scuole di specializzazione con obbligo di frequenza giornaliera nella gran parte dei casi e svolgono attività lavorativa necessaria per sopperire alle carenze del sistema sanitario-universitario, non percependo alcuna forma di retribuzione né contributi previdenziali».
«Nessun intervento legislativo si è mai realmente occupato, finora, del diritto all’adeguata remunerazione in favore degli specializzandi “non medici”- precisa l’avvocato Rosario Giammarresi– Né del loro diritto ad una equiparazione con gli specializzandi medici, nonostante prestino un’attività lavorativa in favore delle strutture sanitarie ed universitarie, frequentando gli stessi corsi dei medici e svolgendo, in buona sostanza, le medesime mansioni. Ciò provoca una compressione della possibilità di svolgere altra attività professionale (visto il rapporto che lega lo specializzando alla struttura) o libero-professionale (considerati i giorni e le ore impiegate per la frequenza e l’attività), con evidenti danni economici a loro carico».
MOLTI DOVERI, NESSUN DIRITTO
«Questi professionisti sono “costretti” alla frequenza quotidiana obbligatoria e spesso vi sono badge che registrano ingressi ed uscite, pertanto prestano a tutti gli effetti una attività lavorativa- precisa l’avvocato Fidone- Il Decreto Ministeriale 1° agosto 2005 “Riassetto Scuole di specializzazione di area sanitaria” ha regolamentato ed autorizzato l’accesso concorsuale sia ai medici sia ai “non medici” nelle Scuole di Specializzazione appartenenti alla sottoarea dei servizi clinici diagnostici e terapeutici ed alla sottoarea dei servizi clinici organizzativi e della sanità pubblica, ma non ha pensato alla totale equiparazione degli specializzandi in quanto, per i “non medici”, non viene prevista alcuna retribuzione».
«Il paradosso – continua Fidone – sta nel fatto che, oltre alla totale mancanza di una retribuzione adeguata all’attività svolta, gli specializzandi “non medici” sono costretti a pagare le tasse universitarie e a provvedere alla propria assicurazione, senza possibilità di godere di diritti basilari quali anche il diritto al congedo di maternità o alle ferie».
Il legale aggiunge: «Inoltre il Consiglio di Stato con la sentenza n. 3934 del 2002, seppur con riferimento ai medici specializzandi, ha affermato il principio per cui la frequenza delle scuole di specializzazione, per l’impegno a tempo pieno che comporta e le incompatibilità con ogni altra attività lavorativa, è attività necessariamente retributiva. Per cui non possono essere ammessi a frequentare le scuole di specializzazione laureati che non godono di borse di studio».
Tutto ciò determinerebbe una lesione della dignità personale che, a parere dei due legali, si concreta nella disparità di trattamento tra specializzandi (e specializzati) medici e “non medici”, nonché la violazione dell’art. 36 Cost. che sancisce il diritto del lavoratore a percepire una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto.
LA BATTAGLIA LEGALE
«Il diritto al percepimento di una adeguata remunerazione è un diritto soggettivo, azionabile dinanzi al Tribunale del Lavoro territorialmente competente- precisano dallo Studio Legale Fidone- L’azione può essere esperita da parte degli specializzandi e degli specializzati “non medici”, rientranti nella sottoarea dei servizi clinici diagnostici e terapeutici e nella sottoarea dei servizi clinici organizzativi e della sanità pubblica, che non percepiscono alcuna forma di emolumento”.
Inoltre, l’azione legale «verrebbe proposta nei confronti delle Amministrazioni che si avvantaggiano della prestazione (Università, Regioni, MIUR, MEF e Ministero della Salute) e potrà essere avviata in corso di specializzazione. Davanti al giudice verrà chiesta la declaratoria del diritto alla retribuzione o a qualsiasi forma di compenso, oltre al risarcimento dei danni patiti. La medesima azione legale può essere esperita anche al termine della specializzazione, nel termine di prescrizione previsto dalla legge».