Con l’aumento dei contagi e le conseguenti infezioni da Covid-19, negli ultimi giorni è andato a ruba in tutta Italia lo Zitromax (azitromicina) tanto che non è più possibile trovarlo sugli scaffali delle farmacie. Ma prescrivere o assumere l’antibiotico in caso di positività al tampone anti Covid è una procedura corretta?
«Assolutamente no, purtroppo c’è questa cattiva abitudine da parte di alcuni medici ma l’antibiotico non serve in caso di infezione da Sars-Cov-2- chiarisce Antonio Cascio, professore di Malattie Infettive e Tropicali all’Università di Palermo e direttore della relativa Unità Operativa Complessa del Policlinico “Giaccone” – All’inizio dell’epidemia c’era una giustificazione perché erano stati pubblicati alcuni studi, portati avanti soprattutto da un medico francese molto in gamba ed autorevole. Purtroppo, tali lavori erano stati accettati dalle riviste senza subire un referaggio accurato, verosimilmente per l’autorevolezza dell’autore e per la necessità che nuovi dati sul covid potessero essere rapidamente diffusi. In queste ricerche lui dimostrava che l’idrossiclorochina associata all’azitromicina era efficace sui pazienti affetti da Covid-19. Da qui nasce la fortuna della azitromicina. In quel momento era dunque giustificato perché non avevamo altri mezzi per combattere il Coronavirus, sapevamo poco del virus e circolavano questi studi che ne dimostravano l’efficacia».
«Successivamente, altri studi non hanno dimostrato l’efficacia di tale associazione per la terapia del covid. È ben noto che gli antibiotici non sono utili per combattere una malattia virale; inoltre l’azitromicina non previene le infezioni batteriche, può al contrario innescare fenomeni di dismiscrobismo che favoriscono le infezioni batteriche e le complicanze infettive dovute a microorganismi farmacoresistenti e particolarmente patogeni nei pazienti fragili- aggiunge Cascio- Nel caso specifico, inoltre, l’azitromicina nell’anziano può scatenare delle aritmie, soprattutto se il paziente assume altri farmaci che agiscono direttamente o indirettamente sul cuore. È quindi sbagliatissimo dare “a tappeto” questo farmaco e in generale gli antibiotici nelle fasi precoci del covid».
Terapia domiciliare anti Covid per asintomatici
Da tempo anche l’Aifa e la Simg (Società Italiana di Medicina Generale) nelle loro linee guida per la cura del Covid-19 si sono espresse contro l’uso indiscriminato dell’antibiotico. Per cui un asintomatico con tampone positivo che terapia deve seguire? «Generalmente, la terapia deve essere personalizzata anche in base ad allergie o patologie del soggetto con infezione da Coronavirus, non esiste una vera e propria cura standardizzata, ma ci sono delle linee guida da seguire- precisa Floriana Di Bella, medico di famiglia e responsabile sezione giovani della Simg- In caso di un positivo asintomatico comunque non c’è bisogno di dare alcun farmaco, la gente spesso prende medicinali senza avere nulla e così facendo può anche peggiorare la situazione perché ogni farmaco ha i suoi effetti tossici. Bisogna mantenere una corretta idratazione e alimentazione, assumere vitamina C e D. Questo vale come stile di vita per tutti, a maggior ragione per coloro che hanno in atto una infezione virale. Anche l’asintomatico potrebbe sviluppare dei sintomi che con Omicron sono dolori articolari, mal di gola e cefalea persistente per circa tre giorni, qualcuno presenta anche una febbricola che non supera i 38° C, quindi in questi casi si può assumere del paracetamolo».
Terapia domiciliare anti Covid per sintomatici
«Se il soggetto con Covd-19 presenta dei sintomi da subito può prendere il paracetamolo come antipiretico, oltre che come antinfiammatorio. Se il paziente non ha problemi di ulcera gastrica, insufficienza renale o recente infarto del miocardio, si possono dare i FANS (Farmaci antinfiammatori non steroidei) di cui quello più tollerabile sarebbe l’ibuprofene: 400 mg o 200 mg per un bambino e 600 mg per l’adulto- riferisce ancora la dottoressa Di Bella- Se il paziente non ha particolari patologie può utilizzare anche l’aspirina (acetosacelsalicitico) che ha un effetto antinfiammatorio e antiaggregante per cui previene così anche eventuali trombosi, ovvero la causa della mortalità e del peggioramento di molti pazienti ospedalizzati durante le precedenti ondate di Covid. Come antinfiammatorio si possono usare il chetoprofene, nimesulide e simili. Per la tosse si possono tranquillamente assumere i sedativi come gli sciroppi. Anche qui di base ci devono essere sempre corretta idratazione e alimentazione».
Farmaci da usare soltanto in specifiche fasi della malattia
Come sappiamo, in questi due anni di pandemia sono stati sviluppati dei farmaci per curare la malattia da Covid-19, tra cui gli anticorpi monoclonali che però sono ancora in fase sperimentale e, per questo motivo, sono somministrati soltanto in ospedale, ad un target specifico di persone con presenza di sintomi da meno di dieci giorni. «Le indicazioni per l’assunzione dei monoclonali sono abbastanza ampie però ci sono diversi problemi, ad esempio, per assumerli è necessario che siano passati tre mesi dal vaccino. Restiamo in attesa che gli antivirali potranno essere somministrati anche a casa, perché al momento si possono dare soltanto in ospedale, ma la loro azione è più breve e immediata- spiega Di Bella che lancia un monito anche nei confronti di un altro medicinale che spesso viene prescritto nei primi giorni di malattia- Il cortisone è un’altra maglia nera nella terapia anti Covid, perché viene utilizzato male. Secondo le linee guida, si dovrebbe dare solo se il paziente desatura e ha bisogno di ossigenoterapia, darlo subito potrebbe immunodeprimere e permettere al virus di continuare a replicarsi, in questo modo il paziente potrebbe guarire più lentamente. I cortisonici vanno dati se servono e dopo una settimana dalla comparsa dei sintomi».
Eparina e integratori di vitamine
In base alle linee guida di Aifa e Simg anche l’eparina non deve essere prescritta random, ma soltanto ad alcuni soggetti e in fasi specifiche della malattia: «Bisogna prescrivere l’eparina nel momento in cui un paziente si alletta ed è ipomobile perché ciò aumenta il rischio trombotico, per cui in questo caso si può prescrivere l’eparina a dosaggio profilattico, cioè utile alla prevenzione dei trombi. In relazione al Covid l’eparina si può prescrivere ai soggetti che hanno sviluppato una polmonite, quando compaiono i primi sintomi cioè febbre persistente e desaturazione, oppure ai soggetti con problemi di obesità. Se il paziente peggiora e scende la saturazione allora si può dare anche un dosaggio maggiore di eparina, 4 ml due volte al giorno invece di una, in attesa di un ricovero ospedaliero. Infine- conclude Floriana Di Bella- è bene precisare che sugli effetti benefici della vitamina D contro il Covid non sono stati fatti degli studi randomizzati, si è visto che la vitamina D ad alto carico ha ridotto la mortalità nei pazienti ospedalizzati, ma non ci sono stati dei grandi numeri o evidenze. In tutti i casi, integrare la vitamina D con l’alimentazione o con il prodotto sintetico permette di rispondere meglio alla malattia, se una persona è sana e ha già un buon supporto vitaminico risponde meglio alla malattia in generale».
Farmaci sconsigliati da Aifa
Oltre agli antibiotici, che non soltanto sono inefficaci per combattere il Coronavirus ma rischiano anche di causare una pericolosa antibiotico-resistenza, Aifa punta il dito pure contro clorochina o idrossiclorochina, su cui scrive: «Gli studi clinici randomizzati ad oggi pubblicati concludono per una sostanziale inefficacia del farmaco a fronte di un aumento degli eventi avversi, seppure non gravi. Ciò rende negativo il rapporto fra i benefici e i rischi dell’uso di questo farmaco».