imbuto formativo

Dal palazzo

Camici grigi

Se l’Italia non ha più medici: il dramma dell’imbuto formativo

Corsie sempre più vuote: "se il coronavirus ci avesse colto fra 5 anni sarebbe stata una catastrofe"

Tempo di lettura: 6 minuti

Marzo 2019: in Molise il commissario alla sanità, sceglie di ricorrere ai medici in pensione attraverso incarichi libero-professionali per colmare il vuoto di specialisti negli ospedali regionali.

Ottobre 2019: in Veneto laureati non specializzati vengono chiamati nei Pronto Soccorso per colmare la carenza di Medici specialisti dell’urgenza.

C’è chi ha pensato di chiedere ai medici militari, chi ai medici stranieri, chi ha provato, nel più classico dei modi italiani, ad arrangiarsi come poteva. E così le regioni italiane da mesi provano a reagire, a volte con idee fantasiose, a volte solo bizzarre, a volte estremamente pericolose, alla drammatica carenza di Medici specialisti del nostro Paese. In questi giorni in Italia si sta consumando un’emergenza. Tra cinque anni, una brutta storia come questa, avrebbe una narrazione naturale completamente diversa, gli Ospedali non riuscirebbero a garantire neanche la metà dello sforzo e del lavoro di questi giorni, mancherebbero così tanti medici specialisti che l’inevitabile esito sarebbe catastrofico e ci ritroveremmo a fare i conti con una strage preannunciata. E a nulla servirebbero gli applausi o i minuti di silenzio per gli eroi medici, a nulla servirebbe ringraziarli pubblicamente, tra cinque anni non ci saranno medici da ringraziare. Tutte le soluzioni adottate fino ad ora sono soluzioni tampone che come uno straccio bianco cercano di trattenere l’emorragia dirompente di specialisti. A volte riuscendoci, abbassando, però, qualità e sicurezza delle cure, a volte no.

UN PO’ DI NUMERI

– Formare un medico (6 anni di laurea) costa allo stato 24.800 euro totali (fonte: statistica MIUR e portali atenei); specializzarlo costa 125.000€ (fonte MIUR).

– La rete formativa arriva a sopportare ad oggi fino a 11,5 mila specializzandi (fonte MIUR)

– In dieci anni oltre diecimila medici hanno lasciato l’Italia per lavorare all’estero.

– Tra il 2018 e il 2025, dei circa 105.000 medici specialisti attualmente impiegati nella sanità pubblica ne potrebbero andare in pensione circa la metà: 52.500.

– Iscritti al test di specializzazione anno 2019: 18.773. 17.604 aspiranti specializzandi si sono effettivamente presentati il giorno del test. Il numero di candidati rispetto all’anno scorso è aumentato, di almeno 2727 unità . Fra 2 anni, visti i ricorsi collettivi del 2014, si stimano più di 25.000 candidati.

–Borse di specializzazione anno 2019: 8.776. Di questi, 8.000 sono finanziati con risorse statali, 612 con fondi regionali, 164 con risorse di altri enti pubblici e/o privati.

COME NASCE IL PROBLEMA

 Nel 2025 mancheranno più di 16 mila medici specialisti. E’ il risultato di una assurda dinamica per la quale negli anni si è continuato a non assegnare un numero di borse di specializzazione proporzionate al fabbisogno del Paese, problema questo ulteriormente appesantito da provvedimenti come “Quota 100”, con cui nel solo triennio 2019/2021 potranno andare anticipatamente in pensione tra i 17 e i 18 mila medici specialisti.

Ma riavvolgiamo un attimo il nastro e cominciamo da capo. In Italia per accedere ad un corso di Laurea in Medicina e Chirurgia bisogna sostenere un test d’ingresso a cui mediamente partecipano tra i 60 e i 70 mila giovani aspiranti medici. I posti messi a disposizione variano di anno in anno e si aggirano mediamente intorno ai 10mila. Superato il test si affronta un ciclo unico di studi di 6 anni in seguito al quale si consegue la Laurea in Medicina e Chirurgia. Il giovane medico laureato, a questo punto, dovrà completare il percorso formativo specializzandosi (da pochi giorni la laurea essendo divenuta abilitante non ha bisogno di un’abilitazione post lauream). Per farlo, dovrà sostenere un altro test, per il quale sono attualmente previsti 8 mila posti circa, e superato il quale potrà portare a termine la propria formazione e conseguire il titolo di Medico Specialista.

Come su un binario parallelo, tutti quelli che non superano il test vanno ad ingrossare il già abbondante numero di medici fermi nella terra di mezzo, al centro di un limbo, sospesi tra laurea e specializzazione (ì così detti camici grigi). Un non luogo in cui possono scegliere se godersi le “vacanze” non godute negli anni precedenti, se lavorare sottopagati nelle Guardie Mediche, o anche peggio, se lavorare in Ospedali che per via della carenza di personale sono costretti ad assumere medici non specializzati con contratti atipici che non ne tutelano affatto i diritti, sebbene il carico di responsabilità finisca per essere esattamente quello di un medico specialista. Talvolta la soluzione in corner è scegliere una specializzazione tra quelle “disponibili”, non assecondando le proprie aspirazioni né la propria vocazione ma assecondando un sistema fatto di precedenze, scelte di vita che si consumano nei limiti di poche ore e in base alla legge del ‘chi prima arriva…’.

COME FUNZIONA LA FORMAZIONE SPECIALISTICA

Superato il test, i laureati vengono formati attraverso Borse di Specializzazione finanziate dallo Stato, circa 8 mila più circa 1000 finanziate dalle regioni (2019). Solo quest’anno sono rimasti fuori dal test di specializzazione 12.000 medici, di cui circa 1500 come ogni anno emigrano in altri paesi, per una spesa a carico dei cittadini italiani di 225 milioni. Facendosi un autogol pazzesco, l’Italia prima li forma, poi li lascia andare. Tutti gli altri rimangono sospesi in un frustrante limbo di attesa. Così ogni anno il numero dei candidati al test di specializzazione aumenta e se a monte allarghiamo (come sta accadendo) la maglia di ingresso, aumentando i posti per accedere alla Facoltà di Medicina, il risultato naturale è che – non aumentando proporzionalmente i posti per accedere alle scuole di specializzazione – rimarranno sempre più Medici formati a metà e fuori dai giochi. Si chiama imbuto formativo.

LE POSSIBILI SOLUZIONI

Il problema sembra riguardare gli studenti e i giovani medici, ma innanzitutto riguarda chiunque usufruisca del Servizio offerto dal Sistema Sanitario Nazionale. Riguarda chi si sbuccia un ginocchio, chi ha bisogno di un intervento chirurgico, di una prescrizione medica, di medicare una ferita, chi ha bisogno di un trapianto, chi di una terapia a lungo termine, chi deve trattare un’infezione, un tumore, chi deve estrarre un dente, chi deve dare alla luce un figlio, chi, dopo averlo dato alla luce deve curarlo, riguarda le nostri madri e i nostri padri, i nostri figli, riguarda noi, non (solo) come medici ma come cittadini italiani. C’è una insostenibilità e una gravità reale e molto pericolosa che attualmente e a breve termine non può essere risolta. Può, tuttavia, essere arginata con interventi immediati che, di anno in anno, in modo graduale e progressivo, contribuiscano ad ampliare il numero di borse di specializzazione messe a disposizione dallo Stato.

In questi giorni, a causa dell’emergenze, tra le Camere del Parlamento si stanno decidendo le destinazioni delle risorse emergenziali, ci auguriamo che la volontà politica del buonsenso si sposi con un’esigenza simile del Paese. Se così non fosse, il Sistema Sanitario Nazionale ne risulterebbe pericolosamente svantaggiato e la nostra Salute gravemente compromessa e non adeguatamente tutelata. Le risorse possono essere cercate in modi diversi che non sono io, o noi studenti, a poter suggerire. Da parte nostra possiamo, però, incoraggiare chiunque legga a maturare una sensibilità e una coscienza del problema tali da prendere parte a questa che ha tutti i caratteri di una battaglia di civiltà.

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