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La Buona Sanità

Riabilitazione cognitiva nelle demenze, l’eccellenza del Bonino Pulejo con la realtà virtuale

Il neurologo Rocco Salvatore Calabrò secondo lo studio comparso su Frontiers è primo al mondo tra i ricercatori più influenti nel settore.

Tempo di lettura: 4 minuti

Le patologie neurologiche con i disturbi cognitivi associati interessano oltre un miliardo di persone nel mondo, rappresentando un problema diffuso e altamente invalidante. Oggi però, accanto alla medicina tradizionale, un grande contributo nel trattamento di queste malattie viene fornito dall’innovazione tecnologica ed in particolare dall’utilizzo della realtà virtuale, un argomento trattato già in precedenza da Insanitas (CLICCA QUI).

Il dott. Rocco Salvatore Calabrò (nella foto), dirigente medico neurologo e responsabile della linea di ricerca innovazione tecnologica in riabilitazione dell’IRCCS Centro Neurolesi Bonino Pulejo, svolge da tempo un’intensa attività di ricerca in questo campo, ampiamente riconosciuta anche a livello internazionale, come sottolineato di recente in un articolo pubblicato sulla rivista scientifica Frontiers da un gruppo di ricercatori cinesi, che ha condotto un’analisi bibliometrica con riferimento al periodo 1995-2021.

Insanitas ha intervistato il dott. Calabrò, approfondendo per l’occasione la tematica della realtà virtuale applicata alla neuroriabilitazione.

Secondo lo studio comparso su Frontiers in Public Health, lei risulta essere primo al mondo tra i ricercatori più influenti sull’utilizzo della realtà virtuale nel campo della riabilitazione…
«Un risultato importante, che mi rende molto felice, perché dimostra che anche in Sicilia e in particolare all’interno del nostro istituto è possibile fare ricerca ad alti livelli. Non a caso, nella classifica dei primi dieci autori stilata dai colleghi cinesi, compaiono anche altre due ricercatrici del nostro gruppo, che sono le dott.sse Rosaria De Luca e Maria Grazia Maggio, attualmente in servizio presso il Centro Bonino Pulejo. Inoltre, il nostro Istituto è al secondo posto quanto a produzione scientifica in questo ambito. Mi piacerebbe anche lanciare un messaggio a tutti gli aspiranti professionisti della ricerca, esortandoli a non andare via dal proprio territorio, perché anche qui è possibile crescere e raggiungere traguardi importanti».

In che modo la realtà virtuale può fornire un valido aiuto ai pazienti con disturbi neurologici?
«Permette di simulare scenari di vita quotidiana o di gioco, tramite l’ausilio di un computer o di device di ultima generazione. Possiamo distinguere tra realtà virtuale non immersiva, semi immersiva ed immersiva. La novità risiede nell’utilizzare gli scenari prodotti virtualmente per migliorare gli outcome cognitivi, motori e/o comportamentali di pazienti affetti da diverse patologie neurologiche, tra cui l’ictus, il trauma cranico e le malattie neurodegenerative. In tal modo, vengono potenziate varie funzioni corticali superiori, come l’attenzione, la pianificazione, l’orientamento viso spaziale, la memoria di lavoro, la capacità di linguaggio, ma anche la riduzione di ansia e stress grazie alla riproduzione di ambienti rilassanti».

Quali sono le tecnologie basate sulla realtà virtuale maggiormente adoperate all’interno dell’Istituto?
«Presso il centro Neurolesi sono disponibili diverse strumentazioni all’avanguardia, come per esempio il Nirvana, costituito da uno schermo dove è possibile svolgere una riabilitazione interattiva, o il Caren dotato di un sistema che consente una riabilitazione sia motoria che cognitiva, grazie alla pedana con 6 gradi di movimento e lo schemo a 180. Ci sono anche altri dispositivi come il Lokomat, che utilizza un esoscheletro che riesce a far muovere i pazienti con lesione midollare completa, o il Rysen che rappresenta un sistema di supporto ed allevio del peso regolabile per la riabilitazione dell’equilibrio».

Cosa prevedono le prossime frontiere di ricerca in tale ambito?
«In futuro, l’obiettivo che vogliamo perseguire è abbinare la realtà virtuale con la neuromodulazione. Puntiamo infatti a potenziare la plasticità attraverso metodiche accoppiate, per un migliore outcome funzionale. I progetti di ricerca in corso riguardano soggetti con cerebrolesione acquisita, associando la riabilitazione tradizionale alla neuromodulazione con tDCS. Nello specifico, desideriamo migliorare il livello di coscienza e l’interazione ambientale dei pazienti in stato vegetativo e minima coscienza, garantendo un recupero almeno parziale della coscienza, affinché possano interagire e migliorare la propria qualità della vita».

Quali categorie di pazienti possono essere sottoposti a riabilitazione con realtà virtuale?
«I pazienti affetti da patologie neurologiche, da trauma cranico, da stroke, da sclerosi multipla e da malattie neurovegetative non in stato avanzato, come Parkinson, demenze in fase iniziale e disturbi cognitivi e comportamentali. Inoltre, l’individuo non deve soffrire di cybersickness, una condizione che comporta nausea, vertigini e vomito in caso di utilizzo di realtà virtuale. Infine, non deve essere soggetto a crisi epilettiche o a disturbi visivi e uditivi che non consentono l’interazione con lo schermo».

Perché è importante utilizzare questi sistemi di realtà virtuale?
«Perché, in misura percentuale, i risultati ottenuti rispetto alle metodiche tradizionali sono di gran lunga maggiori. Molti soggetti migliorano la propria capacità di deambulazione e di svolgimento delle attività quotidiane. I risultati più significativi si ottengono nei pazienti giovani/adulti, mentre in quelli anziani è possibile notare un rallentamento nella progressione della malattia, soprattutto se si utilizza una riabilitazione che sia intensiva precoce e task-oriented, come quella ottenuta con la realtà virtuale».

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