La morte della psichiatra Barbara Capovani, aggredita fuori dall’ospedale di Pisa da un ex paziente e deceduta in ospedale, ha lasciato una scia di dolore, rabbia e anche di polemiche. Sotto accusa ci sono le leggi che regolamentano la collaborazione della sanità con la magistratura, poiché i rischi per i medici che assistono pazienti con problemi psichici sono evidenti.
La morte di Barbara Capovani, la rabbia degli psicologi
Ed ecco che dal Coordinamento nazionale degli psicologi direttori di struttura complessa arrivano due richieste: “Va rivista la normativa sulla gestione degli autori di reato, tutelando il servizio sanitario dalla inappropriata richiesta di realizzare ambiti di cura per chi cerca una scappatoia al carcere”. E sono da correggere “i contesti e le misure di trattamento e contenimento” per le perone con “profonde alterazioni di personalità” che delinquono, “devono essere gestiti e trattati in contesti di alta sicurezza”.
In una nota il Coordinamento sottolinea che “il servizio sanitario pubblico vive nel suo complesso una grave carenza di risorse e condizioni di forte precarietà, in contraddizione con la sempre più crescente domanda di salute e di cura. In questo scenario, la salute mentale paga uno scotto ancora più alto degli altri settori della sanità”.
Sanità e magistratura, tante criticità
Tante le criticità, ma a rischio ci sono soprattutto i casi in cui la sanità collabora con la magistratura. “Sono numerosi gli incidenti e le aggressioni agli operatori dei servizi che collaborano con la magistratura nella presa in carico di situazioni delicate che vanno dagli autori di reato, all’alta conflittualità coniugale, all’abuso e maltrattamento sui minori, come alla violenza di genere”, scrivono gli psicologi nella nota, i quali chiedo di focalizzare l’attenzione su vari ambiti tra cui quello quello del diritto di famiglia e della tutela dei minori. E chiedono “una maggiore chiarezza che tuteli da interventi impropri rispetto alla mission della sanità pubblica investendo gli operatori sanitari di compiti che non competerebbero loro e spesso rendendoli oggetto della rabbia degli utenti coinvolti per le misure restrittive subite”.