PALERMO. Scoppia il caso sulle proroghe del personale Covid-19 della struttura commissariale di Palermo. Il nuovo tetto massimo di 20 ore settimanali di lavoro disposto dall’Asp, infatti, non è condiviso dal commissario Covid, Renato Costa (nella foto di Insanitas), il quale ha inviato oggi a Daniela Faraoni e per conoscenza all’assessorato alla Salute, una nota molto dettagliata di cui Insanitas ha avuto visione, dove giudica «inadeguato e non corrispondente ai reali fabbisogni quanto disposto in ordine alla proroga contrattuale del personale medico, sanitario, tecnico e amministrativo».
Oggetto del contendere, appunto, la delibera 386 della direzione generale dell’Asp, datata 31 marzo, relativa alla ricognizione e alla proroga dei precari Covid-19 della Struttura commissariale. Si tratta di CO.CO.CO. (121 assistenti amministrativi, 245 periti informatici, 33 collabotori amministrativi, 43 ingegneri, 12 assistenti sociali, 11 educatori professionali, 18 dirigenti medici, 1 assistente sanitario, 1 infermiere, 30 coadiutori amministrativi e 3 dirigenti medici) e Contratti libero professionali (27 biologi e 64 medici per i tamponi, 9 medici vaccinatori, 4 psicoterapeuti e 5 psicologi).
Insanitas ha chiesto una replica all’Asp di Palermo, non appena dovesse arrivare sarà pubblicata. In ogni caso, il dg dell’Asp nel disporre una proroga al 30 giugno 2022 e con limite massimo di 20 ore settimanali, ha lasciato «la competenza della valutazione alla struttura commissariale, non avendo ricevuto questa direzione proposta di contrazione o revisione dei contenuti dei contratti, fermo restando il limite massimo orario già precedentemente assegnato e la diretta responsabilità contabile del commissario straordinario».
Ebbene, Costa giudica insufficienti sia il nuovo tetto orario che la proroga al 30 giugno 2022, e lo fa sottolineando che la Struttura commissariale ha «un’imponente attività di assistenza domiciliare, di vaccinazione di prossimità, di contact-tracing, di screening, di monitoraggio e sostegno psicologico dei pazienti, nonchè di supporto socio-assistenziale ai soggetti con condizioni di marginalità sociale, e pone in essere paralleli servizi amministrativi in risposta alle diverse esigenze dell’utenza derivante dalla campagna vaccinale e dalla normativa nazionale e regionale in materia di contenimento dei contagi (rilascio green pass, certificazioni di guarigione, equipollenze, front-office e back-office, certificazioni di esenzione e di esonero temporaneo dalla vaccinazione)».
Un’attività, quindi, «che non può e non deve identificarsi esclusivamente con la vaccinazione eseguita presso l’Hub del padiglione 20 della Fiera del Mediterraneo, che comunque viene garantita con continuità ed è implementata da una simultanea attività di vaccinazione domiciliare e di prossimità che assorbe una notevole quantità di lavoro».
«Le Usca ad oggi rappresentano il fulcro delle attività di cura e valutazione clinica dei soggetti positivi, garantendo un’assistenza ad ampio raggio del paziente», aggiunge Costa, sottolineando che si tratta di un’attività «significativamente estesa in seguito all’abilitazione concessa ai medici Usca da parte dell’assessorato regionale della Salute alla somministrazione delle terapie antivirali e degli anticorpi monoclonali, le cui prescrizioni hanno registrato un notevole aumento e hanno permesso una diminuizione dei ricoveri ospedalieri».
Ecco, quindi, la richiesta: «C’è l’estrema ed attuale necessità di mantenere un elevato profilo professionale dei medici operanti nelle Usca, che appare fortemente compromesso dalla relativa contrazione del monte orario settimanale a 12 ore“. Una rimodulazione oraria che secondo Costa “non permette l’adeguata assistenza dei soggetti positivi, anche in considerazione del fatto che il percorso terapeutico-assistenziale medico di un paziente affetto da Sars Cov-2 è di circa 7-10 giorni. Pertanto, come già rappresentato con nostra nota del 31 marzo, risulta fortemente necessario rivalutare le determinazioni di codesta Azienda in ordine alla riduzione del monte orario settimanale dei medici Usca».
Il Commissario Covid di Palermo elogia «l’egregio lavoro svolto dal personale amministrativo e informatico in forza alla Struttura commissariale», passa in rassegna alcune delle numerose attività svolte da questi operatori e pure in questo caso aggiunge: «Appare evidente che la rimodulazione oraria non risulta coerente con gli attuali fabbisogni della Struttura commissariale. Oltretutto, la declinazione oraria settimanale non permette la flessibilità necessaria per garantire una adeguata organizzazione del personale».
Inoltre, Costa scrive di «evidente sperequazione tra le medesime figure professionali reclutate per l’emergenza Covid-19» facendo riferimento a un’altra delibera di Daniela Faraoni, la numero 387 del 31 marzo, stavolta relativa alle strutture aziendali, «con cui si è consentita la possibilità di mantenere anche fino al 31 dicembre 2022, previa verifica trimestrale del fabbisogno, i contratti del personale reclutato con CO.CO.CO.».
Costa aggiunge: «Da una semplice valutazione delle complesse ed ingenti attività che la Struttura commissariale quotidianamente svolge appare chiaro che la riduzione dei monte orario complessivo a sole 20 ore settimanali non solo arreca un grave nocumento alle attività da porre in essere nell’immediato, ma incide negativamente anche sulla pianificazione delle attività future».
Secondo il commissario Covid, in base al reale fabbisogno per garantire tutte le attività senza grave pregiudizi si dovrebbe rimodulare il monte orario di tutto il personale con contratto Co.Co.Co e libero professionale «a 110 ore mensili, fatta eccezione del personale medico del Dipartimento di Prevenzione (ridotto ad oggi a sole 19 unità a fronte delle originarie 60), la cui fondamentale funzione può essere garantita solo ed esclusivamente mantenendo il monte orario a 140 ore mensili».
Infine, Costa sottolinea che il monte orario da lui richiesto «darebbe attuazione alle indicazioni fornite dal Commissario straordinario nazionale, secondo cui “il rischio di non essere pronti alla eventualità di recrudescenze pandemiche non sarebbe accettabile”».