PALERMO. L’esplosione dell’epidemia da Coronavirus ha modificato drasticamente le vite di tutti noi ma, come sappiamo, c’è chi non ha potuto mai fermarsi e ha dovuto imparare ad adattarsi alla nuova situazione nel più breve tempo possibile.
Tra questi c’è l’equipe del reparto di “Chirurgia Oncologica” del Policlinico “Paolo Giaccone” di Palermo, diretto dal professore Mario Latteri.
Per vedere come si sono organizzati e adattati alle norme anti-Covid, Insanitas ha fatto un giro del reparto insieme all’equipe, che sempre di più vive e lavora all’unisono, «come una famiglia» spiegano loro.
Pre-ricovero e operazione ai tempi del Coronavirus
Il primo cambiamento riguarda il percorso che il paziente da ricoverare deve compiere nel rispetto della normativa sulla riduzione del rischio di infezione da Covid-19 per cui, in regime ordinario, gli viene eseguito un tampone tre giorni prima del ricovero.
Il giorno prima di effettuare il test diagnostico, infatti, dal Giaccone telefonano al paziente per raccogliere i dati sulla sua temperatura corporea.
Passato questo step, possibilmente senza accompagnatore e munito di mascherina, il paziente in pre-ricovero deve recarsi al primo piano dove la sala d’attesa, al momento non utilizzata con queste funzioni, è stata appositamente allestita come “zona rossa” : qui il personale infermieristico- munito dei dispositivi di protezione individuale- rileva la temperatura corporea e compila la check-list dedicata all’esclusione di potenziali esposizioni al Coronavirus, dopodiché viene eseguito il tampone nasale e faringeo.
Al termine della procedura il paziente dovrà tornare al proprio domicilio in isolamento volontario in attesa dell’esito del tampone. Se negativo al Covid-19, sarà ricontattato il giorno prima del ricovero per avere informazioni sul suo stato di salute: se apiretico, si confermerà il ricovero per il giorno successivo.
In questo momento, ovviamente, i ricoveri programmati sono molto limitati, si operano solo i casi diagnosticati e definiti in urgenza (tumore maligno grave), in modo tale da ridurre l’accesso dei pazienti e rispettare le norme di sicurezza: in ogni stanza per quattro, infatti, ci sono solo uno o due pazienti e sono stati ulteriormente distanziati i letti.
Le attività ambulatoriali non urgenti sono state sospese, quindi i pazienti oncologici che devono effettuare le medicazioni post- intervento si sottopongono al triage nell’area dedicata all’accettazione e possono accedere all’area di attesa, sempre nel rispetto del distanziamento.
Nel caso in cui, invece, il ricoverato sviluppi segni di infezione alle vie respiratorie sarà immediatamente posto in isolamento in una stanza singola e sarà ripetuto il tampone: se positivo, sarà trasferito in un ospedale Covid.
Dopo l’operazione il paziente oncologico non può essere atteso fuori dai parenti: consapevoli di ciò, nel reparto si sono organizzati per permettergli di contattare i propri familiari e tranquillizzarli sulla riuscita dell’intervento.
Inoltre, per fargli sentire meno questa mancanza, il personale sanitario è ancora più presente e ricettivo verso i bisogni del malato. Se per qualche evenienza particolare dovesse accedere un parente, sarà registrato.
Nuovi assetti tecnici, amministrativi e umani
Il reparto di Chirurgia oncologica è stato riadattato per essere calibrato alle disposizioni anche per quanto riguarda la presenza degli specializzandi, motore portante dei Policlinici universitari, senza i quali sarebbe problematico poter svolgere tutte le varie attività (reparto, ambulatori, di servizio, sala operatoria): per evitare la promiscuità, quindi, sono soggetti a turnazione.
La collaborazione tra gli operatori sanitari è stata rafforzata, perché ognuno ha messo a disposizione di tutti la propria professionalità, ma anche le proprie competenze e caratteristiche personali utili in questa situazione di emergenza.
Dal front-office agli operatori di pulizia e sanificazione, i medici, gli infermieri, gli osa e i tecnici fronteggiano quindi tutti insieme la lotta al Coronavirus, come un meccanismo unico. Inizialmente è stato difficile perché si susseguivano ordinanze, decreti, delibere a cui conformarsi. Inoltre molte di queste tecniche e procedure gli operatori sanitari le avevano studiate sui libri ma mai messe in pratica finora. Ricordiamo che dietro le professioni e i titoli ci sono delle persone con responsabilità e paure.
Il futuro del reparto
Adesso è il ritorno alla normalità che preoccupa i professionisti della Chirurgia oncologica, secondo i quali questa nuova apertura dovrà prevedere nuovi percorsi diagnostici che permettano l’ingresso in ospedale in sicurezza.
In ciò può essere di aiuto una collaborazione con il territorio, affinché le istituzioni si possano occupare di informare i cittadini sulle regole e le norme da rispettare per entrare nelle strutture sanitarie.
Tutto ciò servirà a continuare a circoscrivere il contagio e, quindi, a tutelare la cittadinanza e gli operatori sanitari che sottolineano: «Spesso siamo stati accusati ingiustamente di essere untori. Noi prendiamo tutte le precauzioni perché abbiamo una doppia responsabilità, sia verso il paziente che nei confronti della nostra famiglia. Di contro, non siamo neanche eroi ma professionisti che hanno fatto sempre il proprio lavoro. La nostra professione è rischiosa per antonomasia, se ne sono accorti tutti adesso? Speriamo che questa vicenda serva a vederci finalmente nella giusta maniera».
L’equipe di Chirurgia oncologica lancia anche un appello: «Durante questa crisi in base agli input del governo nazionale sono stati assunti anche operatori sanitari inesperti. Se lo avessero fatto prima avremmo avuto ora gente già formata, pertanto ci auguriamo che ciò serva da lezione».
La mole di lavoro accumulata in questo periodo non permetterà alcuna tregua al reparto di Chirurgia oncologica ed è proprio su questo che si concentra il pensiero del professore Latteri: «In questo momento siamo in grande sofferenza, nel senso che le lista di attesa si vanno allungando perché gli ambulatori di prevenzione e quelli diagnostici sono chiusi- dichiara ad Insanitas- Ciò sta ritardando la diagnostica non solo nell’ambito dell’oncologia. È giusto attenersi alle regole per prevenire e ridurre la diffusione del virus, ma bisognerà pensare anche ai pazienti no-Covid, perché si continua a morire anche di altre patologie gravi, come il tumore. Superata l’urgenza, ho saputo che l’assessorato alla Salute sta studiando un piano per ricominciare con una certa gradualità. Dobbiamo stare attenti a non ritardare troppo la diagnosi e il trattamento di pazienti affetti da tumore. Inoltre, ci sono anche le patologie benigne da trattare. Sicuramente per almeno un anno dovremo mantenere delle strutture Covid e delle modalità di accesso limitate, nell’attesa che sia trovato un vaccino. La Sanità sarà molto complessa da gestire nei mesi a venire per medici, operatori sanitari, pazienti e per le amministrazioni».