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La Buona Sanità

Policlinico di Catania, procedura innovativa contro l’iperplasia prostatica benigna

Nasce al Rodolico-San Marco il primo centro in città per il trattamento multidisciplinare mininvasivo percutaneo.

Tempo di lettura: 3 minuti

Nasce nell’Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico “G. Rodolico-San Marco” diretta da Gaetano Sirna, il primo centro in città per il trattamento multidisciplinare mininvasivo percutaneo dell’Iperplasia prostatica benigna (IPB), una condizione clinica determinata dall’aumento volumetrico della ghiandola prostatica che si verifica negli uomini dopo i 50 anni di età, con una sintomatologia ostruttiva ed irritativa del basso tratto urinario, tra cui mitto ipovalido, pollachiuria, nicturia, senso d’incompleto svuotamento vescicale, ecc.

L’innovativo approccio è offerto dalla collaborazione multidisciplinare tra l’Unità Operativa Complessa di Urologia del “Rodolico” diretta da Sebastiano Cimino che per questo progetto si avvale in particolare del lavoro dell’urologo Salvo Virgillito, e l’UOC di Radiologia diretta da Antonello Basile, il quale in questa procedura è coadiuvato dal radiologo Francesco Vacirca, sempre nel presidio di via Santa Sofia. La procedura radiologico-interventistica, attuata in anestesia locale, consiste nell’embolizzazione della prostata attraverso l’occlusione delle arterie prostatiche, la conseguente riduzione del volume della ghiandola e il successivo miglioramento del flusso urinario.

«La tecnica- spiegano i direttori Cimino e Basile- prevede una piccola incisione cutanea nella coscia e l’introduzione di un microcatetere nell’arteria femorale. Dalla sonda radioguidata sino alle arterie prostatiche, viene iniettato idrogel o alcool che determina l’occlusione dei vasi e il successivo minor apporto di sangue nella ghiandola. Il risultato è il significativo decremento volumetrico di quest’ultima e il netto positivo cambiamento della qualità di vita del paziente».

«Nell’IPB- aggiungono- dopo la valutazione urologica del paziente volta da un lato ad escludere altri quadri patologici, dall’altro a determinare il grado di incremento volumetrico della ghiandola e la severità dei sintomi ad esso associati, il trattamento resta inizialmente di tipo medico-farmacologico. In particolar modo rappresentato da α-litici, inibitori della 5-α reduttasi. Tuttavia, nei casi più sintomatici e non responsivi alla terapia medica, la chirurgia resta l’opzione più valida».

Attualmente il trattamento chirurgico dispone di diverse tecniche, più o meno invasive, tra cui quelle endoscopiche, laser, laparoscopiche – robotiche e, infine, la chirurgia open.

«Con l’embolizzazione prostatica si compie un significativo passo in avanti-  concludono i professionisti- poiché essa rappresenta una procedura sicuramente da preferire per la sua scarsa invasività. La tecnica è indicata soprattutto in quei pazienti con diverse comorbidità, in quelli con severe turbe della coagulazione, ad alto rischio anestesiologico, con prostate voluminose (superiori ad 80 gr), o in pazienti avanti con l’età, con volontà di mantenimento della funzione sessuale (eiaculazione anterograda)».

Nella foto: Francesco Vacirca, Antonello Basile, Sebastiano Cimino e Salvo Virgillito

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