PALERMO. La presenza o meno di verde urbano può influire sulla salute dei bambini.È quanto dimostrato dal primo studio italiano condotto da un team interdisciplinare composto da due pediatri, uno psicologo-pediatra, due statistici e un paleoclimatologo presso l’Unità di Ricerca in Epidemiologia Clinica e Ambientale delle Malattie Polmonari, Allergiche Pediatriche dell’IBIM – CNR di Palermo e pubblicato sulla rivista specializzata Environmental Health.
A partire da precedenti analisi condotte in ambito spagnolo, la ricerca ha coinvolto anche l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, la sezione “Ambiente e Salute” dell’ARPA Emilia Romagna, il Dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio, in collaborazione scientifica con il Comune di Palermo.
Lo studio, iniziato il 16 aprile del 2013, ha preso in considerazione i risultati relativi a 219 bambini di età compresa tra gli 8 e i 10 anni appartenenti alle classi terze e quinte delle scuole elementari “Paolo Borsellino” e “Filippo Raciti” della zona di Borgo Nuovo a 6 chilometri dal centro storico di Palermo con un ambiente abitativo omogeneo, a 2 chilometri dalla discarica della città e vicina alla zona commerciale della Conca d’Oro.
Sono state le immagini satellitari fornite dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, in collaborazione con la NASA, a permettere di individuare le zone di verde urbano nell’area di Palermo presa in analisi dallo studio.
Ai bambini e ai relativi genitori che hanno preso parte alla ricerca, è stato fornito un questionario per poter rilevare eventuali sintomi generali quali stanchezza, mal di testa, spossatezza e malessere generale ma anche sintomi di tipo respiratorio (congestione nasale, prurito nasale) e sintomi oculari (occhio arrossato, lacrimazione, prurito agli occhi)
La ricerca è proseguita negli anni tenendo conto di 3 indicatori: l’NDVI (Normalized Difference Vegetation Index) che individua la presenza di verde sul territorio; il CLC (CORINE land-cover classes), fornito dal Dipartimento di Epidemiologia del Lazio, che individua gli spazi cementificati ed è diviso in due categorie, il CUF (Continuous Urban Fabric) nel caso di zone occupate in maniera continua da edifici e il DUF (Discontinuous Urban Fabric) con aree di intervallo tra una costruzione e un’altra; e infine l’esposizione al biossido di azoto (NO2), fattore inquinante e collegato al traffico di autoveicoli, sul cui modello ha lavorato l’ARPA Emilia Romagna.
Dallo studio è emerso che “stare a distanza molto ravvicinata dalle aree cementificate, soprattutto in zone CUF, e abitare a meno di 200 metri dalle strade ad alto traffico rappresenta un fattore di rischio. In queste condizioni infatti- spiega Stefania La Grutta, pediatra, pneumologa e allergologa, primo ricercatore IBIM-CNR e responsabile del Gruppo di Ricerca di Allergologia e Pneumologia Pediatrica IBIM CNR- aumenta di quasi due volte il rischio di manifestare sintomi oculari ma anche sintomi nasali».
E aggiunge: «Inoltre, vivere a meno di 200 metri dalle cosiddette aree verdi, può aumentare il rischio di più di due volte di avere sintomi nasali e, avere un’esposizione superiore a 40 microgrammi al metro cubo di biossido di azoto (il livello previsto dalla OMS n.d.r.), aumenta il rischio di sintomi generali. Nelle zone prese in considerazione è stato osservato un livello nettamente superiore con oltre 60 microgrammi al metro cubo».
A rendere davvero originali le evidenze dello studio è la georeferenzialità dei bambini che vi hanno partecipato, cioè “le loro abitazioni sono state individuate, attraverso un punto, su una mappa. Per ciascuno punto, e quindi per ogni bambino- sottolinea La Grutta- è stata calcolato il rischio di esposizione ad uno o, complessivamente, a tutti e tre gli indicatori scelti. In questo modo, per ogni bambino geolocalizzato, è stato possibile fare una stima precisa e puntuale”.
Attraverso questa ricerca “si è voluto dare risalto- conclude- al concetto di ‘urban heart’, cioè la città vista non soltanto come un luogo di scambi commerciali, di crescita cultura e di interazioni in genere, ma per i bambini anche come un’opportunità per vivere bene e in salute”.