Come una lente di ingrandimento la pandemia da Covid-19 ha messo in luce gli aspetti positivi e quelli negativi della sanità italiana, accelerando in diversi settori quei processi di innovazione e digitalizzazione che oggigiorno fanno la differenza tra i diversi sistemi sanitari internazionali. In questo contesto, il futuro della neurologia siciliana nella realtà post pandemica sarà tracciato il 29 e 30 aprile all’Auditorium “Casa San Tommaso” a Linguaglossa (CT) in occasione del congresso della Sin Sicilia (Società Italiana di Neurologia) di cui è presidente Michele Vecchio (nella foto), intervistato da Insanitas.
Durante la pandemia c’è stato un enorme sviluppo della telemedicina nell’ambito della neurologia siciliana. Come vi siete organizzati?
«Come tutti sappiamo bene, noi neurologi non ci siamo mai fermati e ciò ha determinato la possibilità di acquisire delle necessarie tecniche di intervento per potere realizzare un’offerta di salute anche a persone con oggettive difficoltà a raggiungere l’ospedale. Pertanto la scelta di ovviare al problema con la telemedicina è stato un fatto naturale e laddove non c’era l’abbiamo “inventata”, perché i pazienti con queste malattie ad alta complessità hanno grandi problemi di gestione quotidiana e complicati piani terapeutici, quindi, non possono essere lasciati soli, è necessario seguirli con tutti i mezzi: dalla semplice telefonata all’utilizzo dei sistemi informatici che ci hanno consentito di tenere in carico e in cura i nostri pazienti. Durante la prima fase pandemica abbiamo passato un periodo di vera sofferenza nell’emergenza/urgenza legata all’ictus cerebrale, perché i pazienti non venivano in ospedale. Ciò si è verificato un po’ in tutto il mondo, per cui abbiamo avuto dei casi gravi, nonostante vi fossero sintomi premonitori di un ictus, di pazienti che per paura del Covid restavano a casa invece di venire in ospedale, ma quello era proprio il momento fondamentale, infatti, ricordiamo che l’assunto dell’emergenza/urgenza è il tempo, si tratta di patologie tempo-dipendenti. Nel frattempo, a livello regionale abbiamo completato la rete Stroke, strutturando quello che già c’era in tutta la Sicilia, e individuando nuovi siti per la neuroradiologia interventistica».
In Sicilia qual è la situazione della neuroradiologia interventistica?
«Attualmente i siti per la neuroradiologia interventistica codificati e distribuiti per aree di bacino sono due a Palermo, uno a Catania, uno a Messina e uno a Caltanissetta in cui è stata costituita l’area vasta (Caltanissetta-Agrigento-Enna) partendo dall’Hub del Sant’Elia, con i centri Spoke dell’ospedale di Enna e di Agrigento. Nel centro Hub è stata istituita la neuroradiologia interventistica, per cui adesso il paziente che abbia la necessità di fare una interventistica, letteralmente chiamata trombectomia intra-arteriosa o trombo-aspirazione del trombo embolo, potrà farla a Caltanissetta. L’organizzazione si è resa possibile grazie alla collaborazione della direzione strategica che ha stipulato una convenzione con l’Università di Messina, la quale manderà dei neuroradiologi al Sant’Elia, i quali saranno presenti stabilmente h24 a Caltanissetta, impedendo così i viaggi in elicottero e ampliando l’offerta sanitaria regionale».
Il “modello Messina” è diventato il “modello Sicilia”?
«Messina storicamente è stata la città che da questo punto di vista si è organizzata meglio, costituendo un modello organizzativo esportato poi in tutta la Sicilia. Si tratta di un modello molto semplice, in cui abbiamo una fase pre-ospedaliera, una fase ospedaliera e una fase post-ospedaliera. Nella prima il territorio individua il paziente e lo mobilita verso il centro clinico più idoneo, cioè quello in cui sono presenti dei neurologi in grado di poter eseguire la trombolisi venosa oppure indirizzare verso il centro Hub in cui è presente la chirurgia interventistica. Questo è sempre stato il “modello Messina” che adesso è diventato un modello organizzativo adottato dalla regione».
Quali sono le novità in tema di rapporto con il territorio?
«Prima il territorio era un po’ marginalizzato, invece, adesso è necessario che il circuito sia sempre territorio- ospedale-territorio. L’ospedale si riserva solo per le complessità acute in emergenza/urgenza e poi il paziente torna al territorio, in quelle che si chiameranno case di comunità oppure sarà seguito dal medico di base per il proseguimento della sua cura, che sia la gestione di una cronica complessità oppure la fase riabilitativa. Il collante di tutto ciò sarà la digitalizzazione che parte dalla necessità di avere un fascicolo sanitario elettronico, da cui si possono evincere subito i dati importanti del paziente. Chiaramente questo comporta una serie di passaggi non solo tecnici ma anche giuridici perché dobbiamo tutelare la privacy dei nostri cittadini».
Nel contesto pandemico la digitalizzazione ha svolto un ruolo molto importante che non si limita alla telemedicina…
«Molti progetti si stanno portando avanti in questo senso in tutto il mondo. Israele è stato il primo Paese che ha usato la telemedicina e la digitalizzazione, in Europa anche in Germania ormai il rapporto col territorio viene gestito esclusivamente in questa forma. L’operatore deve avere sempre un contatto diretto col cittadino perché digitalizzazione non significa esclusione del contatto diretto. In pratica, il paziente è a casa con un device che trasmette alla postazione del medico i propri dati. Il medico osserva e può fare anche una visita, creando quello che si chiama l’ambulatorio virtuale, in cui il paziente vede la figura del medico. Ci sono dei device che controllano l’escussione e la consistenza del movimento, verificano l’equilibrio, monitorano alcuni aspetti funzionali dell’organismo umano. È chiaro che questo sarà il futuro, ma si tratta di una rivoluzione che va fatta a piccoli passi, tramite l’accettazione degli operatori e dell’utenza, che comunque è già pronta ad avere questo tipo di supporto».
Di tutto questo, ma anche di molto altro parlerete al Congresso Regionale della Sin?
«Sì, il titolo dell’evento è “Il futuro della neurologia siciliana nella realtà post pandemia”. Abbiamo voluto contestualizzarlo nell’ambito della nostra regione perché ha delle peculiarità sia nella strutturazione della rete dei neurologi, sia per il momento storico che stiamo vivendo, che ci ha visti protagonisti perché ci occupiamo di emergenza/urgenza, non soltanto quindi l’ictus cerebrale, ma anche le altre patologie con croniche complessità come l’Alzheimer, la sclerosi multipla, il morbo di Parkinson, l’epilessia. Discuteremo anche di tematiche come la digitalizzazione che deve creare il tessuto connettivo del nuovo sistema di salute siciliano. Durante il congresso toccheremo questo topic, focalizzandolo sulla demenza, sulle sclerosi multipla, sull’epilessia, ovvero come noi digitalizzeremo questo nuovo modello “territorio- ospedale-territorio” per patologie di cronica complessità».