PALERMO. Con sindrome “post Covid” o “long Covid” si indica la persistenza di sintomi da Covid-19 nonostante l’avvenuta negativizzazione dei pazienti. Su questo tema in Sicilia è stato avviato un progetto di terapia riabilitativa respiratoria coordinato dal prof. Nunzio Crimi (nella foto), direttore della Pneumologia del San Marco e del Policlinico di Catania e professore ordinario di “Malattie dell’apparato respiratorio” dell’Università di Catania.
A cosa ci riferiamo quando parliamo del fenomeno del “Post Covid “?
«Parliamo delle conseguenze derivate dall’infezione da Covid-19, la cui sintomatologia primaria è quella respiratoria, causata dall’infiammazione dell’interstizio polmonare. La polmonite interstiziale, appunto, dà soprattutto tre sintomi: la febbre, la tosse e la difficoltà respiratoria con affanno. Dopodiché la febbre scompare dopo un paio di giorni, a seconda dei casi, ma permangono la tosse e la difficoltà respiratoria che è maggiore quando c’è una compromissione grave del tessuto polmonare. È giusto, infatti, sottolineare che il Covid-19 è una patologia del polmone, anche se legata ad un virus e quindi ad una patologia infettiva, non è questo il fattore determinante in termini di sintomi, mortalità e stare male o bene. Tutto ciò dipende invece dalla patologia del polmone, che se degenera porta anche alla morte».
Dai dati finora raccolti ci può dire quanto durano i sintomi “Long Covid”?
«Sono variabili da soggetto a soggetto, in relazione alla gravità della compromissione del polmone nella fase acuta. Se si tratta di una polmonite di lieve entità nel giro di un mese i sintomi possono anche scomparire, nei casi di polmonite grave la sintomatologia può perdurare, in maniera più o meno determinante e grave, anche fino ai tre mesi. Inoltre, tanto più lunga è la fase di recupero quanto peggiore è stata la compromissione del polmone. Tale paziente avrà più difficoltà a recuperare sul fronte dell’affaticamento e dell’astenia, dopo la fase acuta».
Quelli citati sono tra i sintomi maggiormente lamentati dalle persone che hanno superato il Covid…
«Nel caso del Covid è tutto amplificato ma faccio un esempio che possa essere chiarificatore paragonando quello che avviene con la normale influenza stagionale, la quale dura dai 3 ai 5 giorni in fase acuta. Poi c’è una fase di recupero in cui il paziente è astenico, si affatica facilmente, presenta molti dolori agli arti, al torace, al petto. Qui ci sono i classici sintomi dell’influenza ma in maniera più accentuata, più grave e prolungata».
Ci sono persone che hanno segnalato di avere altri sintomi come la perdita di capelli. Si può tutto ricondurre al fatto che siano debilitati?
«Sì, perché un paziente che prende un’infezione, soprattutto quando è di natura virale come il Coronavirus, ha uno stato di immunodepressione che è caratteristico di questi soggetti. Succede la stessa cosa con il virus del morbillo, fortemente debilitante dal punto di vista immunitario, infatti i problemi che dà fino alla morte sono da attribuire proprio all’immunodeficit che determina. A questo punto è chiaro che può intervenire anche la compromissione di altri organi come il cuore o il sistema neurologico».
Quanto incide tutto ciò a livello psicologico?
«Molto, soprattutto se consideriamo che questa infezione colpisce di più gli anziani che hanno altre comorbidità, compromettendo ulteriormente il loro stato di salute generale. Un dato che spesso riscontriamo è lo stato di depressione cui vanno incontro questi soggetti».
All’Ospedale “San Marco” e al Policlinico di Catania avete realizzato un progetto di terapia riabilitativa respiratoria “Post Covid”…
«Al “San Marco” durante il periodo dell’infezione da Covid, quindi mentre il paziente è ricoverato con la malattia in atto, con tampone positivo e sintomi legati all’infezione polmonare, inizia un percorso di riabilitazione. Gli esercizi che può fare dipendono dal suo stato di salute, si possono eseguire semplici manovre di respirazione ed assistenza alla respirazione, fino ai casi in cui i pazienti possono iniziare a fare movimenti con gli arti superiori e inferiori. Qui con una cyclette o con un tapis roulant (donati dall’azienda catanese “Zacca Sport” n.d.r.) iniziano anche in reparto l’attività di riallenamento allo sforzo fisico. Quando sarà passata la fase infettiva Covid e il soggetto si sarà negativizzato, potrà iniziare all’apposito ambulatorio del Policlinico il percorso riabilitativo Post Covid».
Portate avanti questa attività anche con la telemedicina?
«Questo processo di riabilitazione viene attuato anche a distanza. Prima però, il soggetto viene valutato con una visita e vengono effettuate analisi particolari sulla funzionalità respiratoria. Poi viene avviato ad un percorso di riabilitazione a domicilio, quindi il paziente sta a casa e si collega con il nostro centro tramite computer e webcam. Ad aspettarli c’è un nostro fisioterapista due volte al giorno, che ad orari prestabiliti effettua gli esercizi insieme ai pazienti. In questo modo è come se facessero una lezione in presenza perché il fisioterapista vede e segue i pazienti, che a loro volta vedono gli esercizi eseguiti dai fisioterapisti. Poi ci sono altri casi in cui il soggetto può fare pure la cyclette a casa, ma ha bisogno dell’ossigeno perché durante lo sforzo desatura. In questa circostanza, c’è la possibilità di monitorare a distanza anche la eventuale desaturazione, valutata attraverso i saturimetri collegati ad Internet che per via remota fornisce i dati dei pazienti simultaneamente all’esecuzione dell’esercizio. In genere questi soggetti hanno la bombola d’ossigeno liquido a casa, con cui intervenire in questi casi».
Di cosa altro si occupa l’ambulatorio “Long Covid”?
«Noi controlliamo tutti i pazienti dopo le dimissioni dai reparti Covid. Per prima cosa facciamo una valutazione della funzione polmonare attraverso gli esami condotti al Policlinico. Una visita sulle condizioni cliniche del paziente, una eventuale valutazione della Tac al torace e poi la prescrizione di una eventuale terapia o riabilitazione all’esercizio fisico».
Questo è il primo centro in Sicilia di questo tipo?
«Che io sappia sì, al Nord ci sono altri centri di riabilitazione, all’Humanitas, al San Raffaele. Il paziente deve essere seguito con la telemedicina, è questo il futuro. Io credo che se fossimo un po’ più lungimiranti, questo percorso andrebbe fortemente sviluppato e potenziato».
In che percentuale i pazienti presentano i sintomi Post Covid?
«La percentuale ovviamente varia da soggetto a soggetto perché molti per fortuna prendono il Covid in maniera asintomatica o paucisintomatica, quindi nel giro di venti giorni ne vengono fuori. I sintomi postumi variano in rapporto alla gravità dell’infezione precedente, ma io penso che circa un 30% dei pazienti con il Covid ha sintomi postumi».
Per quanto riguarda gli altri sintomi “Long Covid” come i problemi al cuore o al cervello si sta facendo qualcos’altro?
«Sicuramente si fanno controlli a livello cardiologico perché spesso questi pazienti presentano aritmie, aumentando così l’incidenza degli infarti. È chiaro comunque che, dopo il polmone, è il cuore l’organo colpito in maniera abbastanza frequente e ciò dipende, anche in questo caso, dalle condizioni preesistenti all’infezione. Se un soggetto che già ha una patologia cardiaca si ammala di Covid è facile che possa avere una riacutizzazione e un peggioramento della situazione iniziale. Ricordiamo infine che questa patologia da Covid colpisce principalmente i vasi del polmone, si tratta quindi di una vasculite. Gli stessi vasi sono presenti anche nel cuore, se vengono intaccati quindi quelli del polmone lo saranno anche questi».
Lei come vede la situazione generale in questo momento e nel prossimo futuro?
«In questo momento la pressione sugli ospedali, sulla terapia intensiva e sulla rianimazione è sicuramente in una fase di rallentamento. I ricoveri sono diminuiti e siamo tutti speranzosi su questo vaccino, seppur presenta problematiche di approvvigionamento. Pertanto, pensare di poter vaccinare tutta la popolazione italiana o il 70% di essa, nel giro di pochi mesi sarà molto difficile, se non interverranno altri vaccini. Una possibilità sarebbe quella di produrre gli stessi vaccini anche a livello locale. Questo ovviamente è solo un esempio, ma potrebbe essere un modo per incrementare la produzione di vaccini».
Ci sono altre prospettive nella cura del Covid-19?
«Non dimentichiamo gli anticorpi monoclonali che rappresentano una prospettiva non da trascurare, perché mentre il vaccino non uccide il virus ma immunizza i soggetti, gli anticorpi monoclonali uccidono il virus. Per cui la loro combinazione secondo me rappresenta l’obiettivo da raggiungere. La prima arma di difesa contro la pandemia, però, restano sempre le misure di contenimento. Deve essere ben chiaro che non possiamo pensare che vaccinandoci, potremo andare in giro tranquillamente, questo sarebbe un grande errore».
Quali errori si possono evitare?
«Spesso la stampa “sponsorizza” farmaci che poi non vengono validati dalla ricerca scientifica. Ciò crea, a mio avviso, confusione da un lato ed una falsa aspettativa dall’altro. Prima di dare notizia su un nuovo farmaco è necessario che sia già stato testato a doppio cieco su migliaia di soggetti. Anche se capisco che c’è voglia di dare una speranza, non si possono dare notizie che poi non corrispondono alla realtà provocando sfiducia nella Sanità e in tutto quello che ci sta attorno».