A causa del cambiamento climatico diverse malattie nel mondo stanno trovando un nuovo sfogo e una rinnovata diffusione. Sono le malattie denominate appunto “riemergenti” tra le quali troviamo la leishmania, una malattia infettiva del cane che può colpire anche l’uomo. Fa parte delle malattie tropicali neglette (Neglected Tropical Diseases – NTDs) come la schistosomiasi, la strongiloidosi (elmintiasi trasmessa dal suolo) e la malattia di Chagas ma anche cisticercosi, scabbia, filariosi ed echinococcosi cistica. Insanitas ha trattato la tematica, focalizzando l’attenzione sul nostro territorio, con Fabrizio Vitale, responsabile del CReNaL (Centro di Referenza Nazionale per le Leishmaniosi) dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale siciliano.
Generalmente si parla poco di leishmaniosi negli esseri umani, che considerazione viene data alla malattia dagli organi sanitari?
«La leishmania fa parte di quelle malattie che vengono considerate neglette cioè trascurate nel tempo. Questo genere di malattie sono presenti in un determinato territorio per molto tempo, ma nonostante ciò sono cadute nel dimenticatoio dell’attenzione comune. È un fenomeno che si verifica anche con altre malattie pur esse trascurate dagli organi sanitari, per cui inevitabilmente continuano a serpeggiare e diffondersi. La leishmania è presente nel nostro territorio da tanti anni ed è trattata come una malattia de cane, nonostante sia presente anche nell’uomo. La dimensione degli animali non può essere sconnessa dal mondo umano, perché la stragrande maggioranza delle malattie sono delle zoonosi, cioè provengono dagli animali. Con la pandemia stiamo imparando che se non facciamo attenzione al nostro pianeta poi le cose ci si ritorcono contro. La pandemia ne è un segnale lampante».
Il cambiamento climatico ha modificato anche la situazione italiana rispetto alla leishmania?
«Adesso si comincia a prestare un pochino più attenzione e quindi riemerge il problema, per questo motivo vengono chiamate anche malattie riemergenti. La leishmania è una malattia trasmessa da vettore, quindi, l’elemento fondamentale o determinante della malattia è un pappatacio, un insetto che sembra una zanzara e consente la trasmissione della malattia dall’animale all’uomo. Tra gli effetti del cambiamento climatico ci sono l’aumento delle temperature, la desertificazione e la nascita di nuove aree di umidità. Tutti gli sconvolgimenti che stanno avvenendo, e di cui finalmente ci stiamo rendendo conto, fanno sì che la popolazione di questi insetti si vada distribuendo ancora di più nel territorio. Mentre prima la leishmania era una tipica malattia dei territori meridionali d’Europa, infatti in Italia era concentrata soprattutto al Sud, all’improvviso per effetto dei cambiamenti climatici i pappataci sono comparsi anche al Nord. Per cui l’espansione della malattia si è modificata, non è più una situazione regionalizzata ma è diventata una endemia nazionale. Ormai i casi di leishmania si registrano a Palermo, come a Modena, Torino e Firenze. Questo è il motivo per cui c’è un’attenzione diversa da parte nostra adesso».
Cosa è possibile fare per contrastare la malattia?
«È necessario attivare i piani di sorveglianza, che per fortuna ormai oggi sono presenti in dieci regioni italiane compresa la nostra, ci siamo arrivati un po’ tardi ma ci siamo arrivati. “Sorveglianza” vuol dire in questo caso che il sevizio veterinario deve contemplare tra le proprie attività quella del prelievo di sangue, con conseguente controllo sierologico, per la leishmania nel cane. Pur essendo anche il nostro animale domestico una vittima della malattia, rappresenta però un serbatoio, quindi è importante monitorare i cani e sottoporre quelli positivi a terapia, in modo tale che non sia più un pericolo per la famiglia. La malattia tropicale colpisce principalmente anziani e bambini, infatti, attecchisce più facilmente nei soggetti con immunodepressioni nel sistema anticorpale e nei sistemi anticorpali non sufficientemente sviluppati».
Non c’è una possibilità di trasmissione diretta?
«No la trasmissione diretta è impossibile, perché è una malattia vettoriale, condizione che la rende particolarmente complessa, in quanto bisogna agire sull’ambiente per modificare la situazione del vettore come è stato per la malaria. Al tempo è stato facile perché si poteva usare il DDT ma è uno strumento aggressivo che oggi, ovviamente, non può essere più usato. Inoltre sono state bonificate tutte le aree. Io ricordo sempre che la Sicilia negli anni ‘50 aveva ancora delle sacche di malaria nel territorio ed è stata l’ultima regione europea ad estinguerla, attraverso l’estinzione del vettore. Oggi questo non è più possibile, pertanto si agisce con una metodologia di controllo vettoriale per mezzo di molecole meno aggressive del DDT, ma per questo motivo anche meno efficaci. Parliamo della permetrina, deltametrina, ci sono varie formulazioni e collari. Chi ha un cane sa che nella stagione estiva deve usare questi tipo di strumenti per il controllo della leishmania. Si possono utilizzare anche delle barriere fisiche per il controllo del vettore, ma soprattutto è necessario monitorare la popolazione animale e quella umana, attraverso un sistema di scambio di informazioni, nel senso che i veterinari devono segnalare i casi di cani che hanno la leishmania e i medici devono segnalare i casi negli umani, in modo tale che si possano incrociare i dati. Questo è il “One Health”, cioè un continuo scambio di informazioni che consente di portare avanti delle politiche sanitarie specifiche. Al di fuori di questo purtroppo il One Health diventa soltanto una bella parola, quasi esotica, ma che perde di significato».
Come può capire un essere umano di essere affetto da leishmania, quali sono i segnali della malattia?
«La maggior parte dei casi di leishmania nel mondo si presentano sotto due forme: cutanea e viscerale. Nei nostri territori, domina la leishmaniosi cutanea che si manifesta con un’ulcera a livello cutaneo, per lo più nelle estremità come le caviglie o le mani, ma anche nel viso. Ciò perché sono le parti del corpo aggredibili dal flebotomo più facilmente. Quindi si forma questa ulcera, che inizialmente sembra un semplice morso d’insetto, ma ha maggiore difficoltà a cicatrizzare. Nel momento in cui il paziente si reca al dermatologo e questo si rende conto che potrebbe essere leishmania si appoggia al CReNaL per la diagnosi, quindi, viene fatto un raschiato cutaneo della ferita. Se si tratta di leishmania bisogna agire con un farmaco specifico anti leishmania che risolve il problema. Diverso è il caso della leishmaniosi viscerale che, come dice lo stesso nome, coinvolge gli organi interni, in particolare la milza, la quale si rigonfia e diventa più grave del normale. È una forma pericolosa della malattia, perché se non viene riconosciuta in tempo porta ad esiti infausti, ma per nostra fortuna qui non è così frequente. La leishmania è diffusa in 88 Paesi nel mondo, quella presente nel bacino Mediterraneo si chiama “Leishmania Infantum” ed è meno aggressiva di quella presente in territori come l’India, il Medio Oriente o il continente Sud Americano in cui si sviluppano delle forme decisamente più complicate. Il veterinario serve anche a questo, siccome la Sicilia è un crocevia, è al centro del Mediterraneo, rappresenta il territorio “borderline” per eccellenza. Ad esempio, noi siamo a 2000 Km da Milano ma siamo a 200 Km dalla Tunisia, in cui c’è una leishmania differente che a noi può creare dei problemi. Un territorio di confine come il nostro è estremamente utile per fare sorveglianza ed è quello che fa il CReNaL, il nostro centro di referenza, con lo scopo di individuare, semmai dovesse capitare, delle forme di leishmania diverse dalle nostre che potrebbero complicare la situazione».