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L'approfondimento

«Lotta al tumore al seno, la nuova frontiera della medicina personalizzata con i test genomici»

L'intervista di Insanitas alla dott.ssa Gabriella Militello, chirurgo oncologo, Responsabile dell’Unità Semplice di Senologia Ambulatoriale e BRCA del Policlinico di Palermo.

Tempo di lettura: 9 minuti

PALERMO. Ottobre è un mese intenso per la salute della donna. Un mese che ogni anno si tinge di rosa, il colore simbolo della ricerca e della lotta contro il tumore al seno, la neoplasia più diagnosticata nelle donne. Ecco perché è importante coniugare all’infinito il verbo prevenire. «Moltissime donne, oggi, si ammalano di tumore al seno» spiega la dott.ssa Gabriella Militello (nella foto), chirurgo oncologo, Responsabile dell’Unità Semplice di Senologia Ambulatoriale e BRCA del Policlinico di Palermo «non voglio citare i numeri perché spaventano e perché, comunque, sono noti a tutti».

Il 19 ottobre, su iniziativa dell’OMS, si celebra in tutto il mondo la Giornata internazionale contro il cancro al seno”: «Ricordiamoci, però, che non bisogna fare prevenzione solo in questo mese. Bisogna passare ai fatti concreti e farlo, seguendo sempre i percorsi corretti e rivolgendosi ai centri accreditati con specialisti dedicati e con le multidisciplinarità ovvero le Breast Unit”. Scoprire di avere un tumore al seno significa entrare in un lungo tunnel che non si può percorrere da sole. Si tratta di un percorso dove l’alleanza medico- paziente è fondamentale perché non è soltanto il corpo ad aver bisogno di cure. Anche la psiche deve necessariamente ricostruire un nuovo equilibrio, perché tutto cambia dopo la diagnosi: «In questo contesto ritengo che se un medico, uomo o donna che sia, ha empatia e professionalità e la paziente si sente seguita e amata nel suo doloroso percorso terapeutico, l’essere donna medico non rappresenta un valore aggiunto. Questo però dovremmo chiederlo alle pazienti. Io ho imparato tanto, ma non si finisce mai di imparare, soprattutto ho imparato ad ascoltare».

Per questo motivo Gabriella Militello, oltre all’approccio chirurgico, ha sempre uno sguardo attento e profondo sulle ferite dell’anima delle donne che ha in cura: «Il dialogo, la comunicazione, l’amore, l’empatia- afferma- rappresentano tutte una connessione fondamentale nel percorso di cura. Non bisogna mai dimenticare, inoltre, che l’impatto economico e sociale di questa malattia è veramente pesante, perché va ad incidere sia sulla economia che sullo sviluppo familiare ed inoltre, rende spesso precocemente orfani i figli e priva i mariti della loro compagna di vita».

Come agisce l’Azienda Universitaria Policlinico Paolo Giaccone di Palermo nel campo della prevenzione del tumore al seno?
«Nella Breast Unit del Policlinico le pazienti trovano una squadra che si occupa di loro nella loro interezza, con professionalità. Ciò è molto importante per le pazienti poiché si forma una forza comune tra medici e pazienti, necessaria per definire il delicato percorso che ognuna di loro deve affrontare con un unico obiettivo: la guarigione. Il team, allora, diventa un’unica entità per le pazienti che a loro volta diventano la nostra centralità».

Perché il carcinoma mammario è in assoluto il più diffuso fra le donne?
«Certamente influiscono le modificazioni degli stili di vita nel corso del tempo. Ciò ha portato a delle differenze tra le donne di un tempo e le donne di oggi, in cui si è modificato l’assetto ormonale per più fattori: la presenza di estrogeni in alcuni alimenti, l’utilizzo dei mezzi di contraccezione ormonale e/o terapie estro-progestiniche, frequentemente usate in modo eccessivo. E ancora: il ridotto numero di gravidanze spesso anche gravidanze tardive, la minore disponibilità all’allattamento. Tutto in funzione delle esigenze di questa società moderna. Oggi sappiamo che con i nostri comportamenti possiamo influenzare lo sviluppo del tumore mammario. Molti fattori di rischio esterni possono, infatti, modificare il nostro genoma».

Quali sono questi i fattori di rischio esterni?
«Pur essendo le cause tuttora sconosciute, sono stati individuati alcuni fattori di rischio: primo fra tutti quello legato all’età. Oltre la metà dei casi si riscontra, infatti, in pazienti con più di 50 anni. Un altro fattore di rischio è rappresentato dallo stile di vita o da fattori legati alla salute. Ci sono anche dei fattori di rischio ormonali e fattori genetici».

Come si agisce in quest’ultimo caso?
«Il tumore della mammella è più frequentemente sporadico (circa 70-75%) ovvero non geneticamente trasmesso, il 15-20% è familiare dovuto ad una combinazione di fattori genetici sconosciuti ed ambientali. Nel 5-13% la malattia è causata da alterazioni genetiche che conferiscono una predisposizione allo sviluppo della malattia. La presenza di un difetto genetico può essere sospettata in presenza di due o più familiari affetti, soprattutto se la malattia è stata diagnosticata in giovane età (al di sotto dei 35 anni) o ad ambedue le mammelle oppure dalla presenza di familiari affetti da altre forme di tumore, in particolare a carico dell’ovaio o in caso di un familiare maschio con carcinoma mammario. In tali casi la paziente con il tumore può essere indirizzata ad una consulenza oncogenetica, con il genetista che dopo averla espletata formula l’indicazione al test genetico (prelievo di sangue). Se viene accertata l’alterazione genetica, il test può essere esteso ai familiari sani. Queste analisi sono disponibili presso appositi centri specializzati come, ad esempio, il Policlinico di Palermo».

Un caso di predisposizione genetica è stato quello di Angelina Jolie. Quali sono le più diffuse?
«Le più diffuse ma anche le più conosciute, grazie ad Angelina Jolie e adesso grazie anche a Bianca Balti in Italia, sono le alterazioni genetiche BRCA 1 e 2 (ca mammella/ ca ovaio), ma ne esistono altre TP53 (s. Li-Fraumeni), PTEN (s. Cowden, s. Bannayan- Riley- Ruvalcaba), altri geni ad alto e medio rischio di insorgenza di tumore alla mammella (PALB2, CHEK2, ATM)».

Quali progressi sono stati fatti in Chirurgia?
«Enormi. L’evoluzione della chirurgia è stata importantissima. Si è passati da una chirurgia altamente demolitiva ed invalidante che rappresenta in passato delle vere e proprie torture ad una chirurgia ricostruttiva con ottimi risultati estetici. I chirurghi senologi oncologi ormai eseguono con maestrìa le tecniche di oncoplastica e spesso lavorano fianco a fianco con i chirurghi plastici al fine di ottenere il miglior risultato estetico per la paziente. Oggi si cerca sempre di rispettare il seno di una donna, simbolo di maternità e femminilità. Questo non va mai dimenticato».

Nella diagnosi precoce quale ruolo giocano le diagnosi con mammografia e l’ecografia?
«Il seno con l’età si modifica in rapporto ai livelli ormonali. Da giovani la ghiandola mammaria è prevalentemente ghiandolare, poi con l’avanzare dell’età, si trasforma e va incontro ad un processo involutivo. È il tessuto adiposo che prende il suo posto, la visibilità ecografica peggiora, ma migliora la visibilità mammografica».

In un futuro molto prossimo come sarà possibile curare il tumore al seno?
«Si va sempre più verso una medicina personalizzata sia in campo medico sia in quello chirurgico. La tecnologia radiologica ha fatto- e continua a fare- passi da gigante con immagini sempre più perfette, utili a far visualizzare lesioni microscopiche. Ma anche la biopsia liquida oggi è una realtà: con poche gocce di sangue si può individuare il tumore del seno in fase iniziale. Inoltre grazie a specifici test genomici è possibile personalizzare i trattamenti ed evitare alle pazienti inutili tossicità».

A quale età è giusto sottoporsi ai primi controlli in funzione preventiva contro il tumore al seno?
«Considerata la mancanza di veri fattori eziopatogenetici, non è possibile effettuare una vera prevenzione primaria e pertanto, l’unico strumento valido per ottenere un miglioramento della prognosi è arrivare ad una diagnosi precoce grazie allo screening. Quindi già dai 20 a 35 anni è importante eseguire l’autopalpazione del seno, sottoporsi alla visita senologica con ecografia. Dai 40 ai 50 si aggiunge la mammografia. Dai 51 fino a 69 anni lo screening oncologico è offerto ogni due anni gratuitamente dal Servizio sanitario nazionale con una mammografia bilaterale. Per gli over 70 è, invece, opportuno sottoporsi a controlli clinico-strumentali con periodicità biennale, talvolta annuale, secondo l’indicazione del medico».

Quali sono i benefici di questi comportamenti corretti?
«Certamente tutto ciò non può certo impedire a una malattia di svilupparsi, ma permette di curarla in una fase precoce, aumentando le probabilità di guarigione. In questa ottica, la parola prevenzione indica, quindi, la possibilità di prevenire un carcinoma avanzato. Prevenire, oggi, inoltre può anche significare, per le donne soprattutto giovani e positive ad una alterazione genetica, ma ancora e fortunatamente non malate, di avere la possibilità di scegliere o di sottoporsi ad una stretta sorveglianza o di sottoporsi alla chirurgia di riduzione di rischio per evitare di ammalarsi. In Sicilia, tutti gli esami previsti per i pazienti con alterazione accertata di BRCA sono gratuiti grazie all’esenzione D99 e speriamo che possa essere esteso ad altre alterazioni genetiche che conferiscono elevato rischio di tumore alla mammella».

Quando non c’è più speranza un medico cosa può fare?
«Essere comunque presente con amore fino alla fine. L’amore è sempre e comunque l’unica guida. Ma non è facile neanche per noi medici».

Da giovane studentessa perché ha scelto di iscriversi in Medicina e di specializzarsi in Chirurgia?
«Fin da piccola ho sempre detto di voler fare il medico. A tal proposito ricordo un episodio: il papà di una mia cara amica, peraltro anche lui medico, mi convinse ad indossare gli occhiali da vista dicendomi: “così sembri proprio una dottoressa!”. Appena entrata alla facoltà di Medicina, frequentai una sala operatoria e fu subito amore per quella professione. In quell’occasione assistetti ad un intervento di emicolectomia per tumore e l’idea di togliere il male da dentro le persone per aiutarle a guarire, mi sembrò entusiasmante. Con la paziente che operi si stabilisce una relazione profonda, un legame che va oltre l’intervento chirurgico. Si entra non soltanto nel corpo di qualcuno, ma anche nella mente e nella emotività di queste pazienti. Tutto ciò rappresenta uno scambio reciproco ed un legame che ti unisce a loro per sempre. Da allora fu un crescendo di “passione chirurgia” da cui non ti liberi più. Se potessi scegliere, rimarrei in sala operatoria tutto il giorno ed ogni giorno, ma bisogna fare tanto altro per seguire le pazienti».

Come si rinnova, con il passare degli anni, l’amore per una professione come quello del medico che dovrebbe mettere sempre e comunque al centro la persona?
«L’amore che mi trasmettono le mie pazienti, è per me linfa vitale. È questa la mia forza, il mio carburante. Loro mi danno sempre la spinta per continuare, anche nei momenti bui».

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