Abituato per mestiere a gestire le emergenze, le grosse emergenze, il Covid ha ribaltato la sua posizione nel mondo. È questa la storia di Calogero Murgia, ex direttore regionale in Sicilia e in Puglia dei Vigili del Fuoco, che a marzo ha dovuto superare la missione più importante della sua vita: il Covid. Nell’ottobre del 2002 gestiva l’emergenza post terremoto di Santa Venerina, nel 2009 il nubifragio di Giampilieri (ME) con 35 morti e 500 uomini accorsi da tutto il Paese per aiutare. La sua vita in Sicilia insomma è stata sempre piuttosto dinamica, sino a marzo 2021 quando il Coronavirus lo ha costretto tre settimane- dal 7 al 2 – in ospedale. Una di queste sotto a un casco. “Ho fatto un lavoro magnifico ma dentro l’ospedale ero un ammalato come gli altri”. Faceva parte dell’emergenza umanitaria.
«Nei vigili del fuoco abbiamo un reparto di specialisti che si occupano delle tecniche di primo soccorso sanitario, siamo abituati a comunicare ai medici i parametri vitali prima di agire, affinché il medico sia messo nelle migliori condizioni per intervenire, ecco a me – all’ospedale San Marco di Catania, mirabilmente diretto dal prof. Nunzio Crimi – mi hanno messo nelle condizioni migliori possibili per sopravvivere a questo terribile Virus».
«Adesso mi sento bene!» racconta con voce squillante a InSanitas. «l tampone ha finalmente dato esito negativo e ho preso un po’ d’aria, ho camminato, ho ritrovato la gioia dei gesti semplici». Come è avvenuto il contagio, chiediamo. «Qualche giorno prima di me a mia moglie comparve un raffreddore, presto abbiamo accertato fosse Covid. Come lo ha contratto? Non saprei, è una persona molto attenta. Ma dopo un paio di giorni ho avuto la comparsa della febbre- sembrava una cosa semplice- mio fratello medico ha cercato di controllare i sintomi a casa, non volevo lasciare mia moglie sola, in isolamento. Ma domenica non mi reggevo più in piedi».
Poi aggiunge: «È venuta l’ambulanza, mi hanno portato al Policlinico per uno screening veloce, dalla tac compariva una brutta polmonite da Coronavirus e mi hanno trasferito al San Marco appunto, dove mi hanno subito messo sotto il casco. Per una lunga, interminabile settimana. Sotto il casco ho capito che bisognava aiutare i medici. Al San Marco le stanze hanno due posti letto, i miei compagni di stanza, due, reagivano malissimo all’ossigenazione assistita e purtroppo si sono arresi, malgrado gli sforzi fatti da medici e infermieri. Ho capito allora che se non fossi rimasto calmo il più possibile non ne sarei uscito fuori neanche io. Medici e infermieri, questi ultimi coordinati dal Coordinatore Infermieristico David Simone Vinci, sono qualcosa di eccezionale. Grande professionalità, umanità e tenacia nel cercare di convincere i pazienti. Io li ho assecondati».
Murgia continua: «Avevo voglia di rivedere le mie nipotine, i miei figli, mia moglie mi aspettava quindi dovevo farcela e ce l’ho fatta. Non potevo arrendermi. Dovevo sopportare il casco e questo voleva dire sopportare quel rumore molto forte e continuativo, non potere poggiare neanche la guancia sul cuscino, anzi meno male che i letti dell’ospedale sono motorizzati e riesci a riposare. È stata una settimana lunghissima. Ma ero in un reparto ad altissima tecnologia, continuamente monitorato da cose e persone. Gli infermieri correvano immediatamente per ogni necessità, per cambiare l’acqua che umidificava l’ossigeno oppure chiudere una flebo che finiva. Tutto lo staff ha sempre lavorato su di me e sugli altri ricoverati soffrendo con indosso le vincolanti protezioni individuali e non saprei riconoscere nemmeno uno di loro, perché l’unica parte visibile attraverso tute, maschere, schermi erano gli occhi. Ma non potrò mai dimenticarli».
Nella sua accorata missiva Murgia ha così concluso: «In presenza di competenza, organizzazione, strumenti e strutture adeguati, anche la Sicilia sa esprimere eccellenze di primissimo livello. Un grazie dal profondo del mio petto guarito al prof. Nunzio Crimi ed a tutti i suoi collaboratori per l’eccellente lavoro che svolgono. Io voglio dire- almeno dal mio punto di vista- che la macchina dell’emergenza Covid funziona. Anche dopo il tampone negativo l’Usca di Catania ci ha contattati, parlo di me e mia moglie, ha somministrato i questionari – anche se la cosa scocciante è che non si parla mai con la stessa persona quindi devi ripetere tutto da capo. E meraviglia delle meraviglie, senza aver chiesto nessun servizio, quando eravamo in isolamento ci hanno chiamato dalla Dusty per il ritiro dei rifiuti speciali Covid. Questa è organizzazione. Non ci siamo mai sentiti da soli».