Dal palazzo

Il primo antivirale

L’appello a favore del Remdesivir “snobbato”: «Sia somministrato pure nelle prime fasi del Covid-19»

Nonostante si sia rivelato efficace non è stata ampliata dall’Aifa la platea dei beneficiari. Dalla Simit sottolineano: «In attesa del Molnupiravir potrebbe essere utilizzato anche in pazienti che ancora non richiedono ossigenoterapia e ammalati da pochi giorni».

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È dei giorni scorsi l’annuncio del gruppo farmaceutico Merck (Msd) che si è impegnato a non ricevere royalty per le vendite dell’antivirale sperimentale anti Covid Molnupiravir (noto anche come MK 4482 o Lagevrio) finché il Coronavirus rimarrà classificata dall’Oms come un’emergenza di sanità pubblica, di interesse internazionale. L’operazione aprirà ad altri la produzione del farmaco e contribuirà a creare un ampio accesso alla terapia orale Molnupiravir in 105 Paesi a basso e medio reddito, perché il costo del nuovo antivirale potrebbe così scendere da 700 a 20 dollari. Lo stesso direttore esecutivo dell’azienda ha spiegato che ci sono già 50 aziende in tutto il mondo interessate a produrre la versione generica del Molnupiravir. Secondo ricerche indipendenti, il costo delle materie prime per produrre un trattamento del farmaco è pari infatti a 18 dollari. Tutti hanno accolto con entusiasmo l’arrivo di Molnupiravir, ma non sappiamo ancora se questo successo clinico si tradurrà in un cambiamento globale nella lotta contro la pandemia. Di fatto, però, la pillola anti Covid potrebbe rendere molto più facile ed efficace il trattamento dei pazienti all’inizio della loro infezione, ed evitare che gli ospedali trabocchino, specialmente in luoghi dove i tassi di vaccinazione sono ancora bassi, come in molti Paesi a basso e medio reddito.

Che fine ha fatto il Remdesivir?

Eppure il Molnupiravir non è il primo antivirale contro il Coronavirus che si rivela efficace, infatti, è stato il Remdesivir il primo farmaco approvato in Europa per il trattamento del Covid-19, in grado di ridurre gli accessi in terapia intensiva di oltre 17.000 unità ed evitare circa 7.000 decessi in soli 5 mesi. Messo a punto da Gilead, il Remdesivir è un nucleotide con un’attività antivirale ad ampio spettro, sia in vitro che in vivo su modelli animali contro diversi virus emergenti, tra cui Ebola, SARS, virus della febbre di Marburg, MERS e SARS-CoV-2. Il costo a fiala è di 345 euro, con una durata di somministrazione di 5 giorni.

Ma in Italia è stato utilizzato? «Il farmaco antivirale anti SARS-CoV-2, da somministrare esclusivamente per via endovenosa, è attualmente indicato per il trattamento del Covid- 19 negli adulti e negli adolescenti (di età pari o superiore a 12 anni e peso pari ad almeno 40 kg) con polmonite, che richiedono ossigenoterapia supplementare- precisa il l’infettivologo palermitano Antonio Cascio (nella foto di Insanitas), componente della “Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali” (SIMIT)Il Registro AIFA consente il trattamento anche di pazienti che, pur avendo avuto un esordio dei sintomi da Covid-19 da più 10 giorni presentano la concomitante presenza di una delle seguenti condizioni: immunodeficienza, primitiva o secondaria, tampone molecolare positivo, test sierologico negativo. In Italia è il remdesivir è stato utilizzato ma, come è ormai ben noto, i farmaci antivirali contro il SARS-CoV-2 agiscono meglio quanto più precocemente vengono somministrati».

I nuovi studi condotti sull’antivirale Remdesivir

A giugno di quest’anno, la società biofarmaceutica californiana Gilead Sciences ha annunciato i dati positivi provenienti da tre studi retrospettivi sul trattamento nella pratica clinica dei pazienti ospedalizzati con Covid-19, dati che vanno ad aggiungersi a quelli relativi ai tassi di mortalità e di dimissione tra i pazienti trattati con Remdesivir. Presentate al World Microbe Forum (WMF), tutte e tre le analisi “real-world” hanno rilevato che, nella popolazione generale dei pazienti, quelli che avevano ricevuto il trattamento con l’antivirale Remdesivir presentavano un rischio di mortalità significativamente inferiore rispetto ai corrispondenti controlli.

«È stata osservata una riduzione di mortalità in uno spettro di requisiti di ossigeno al basale. I risultati sono stati costanti e coerenti nelle diverse fasi della pandemia e in tutte le aree geografiche. In attesa del Molnupiravir, l’ideale sarebbe che il Remdesivir possa essere somministrato anche in pazienti che ancora non richiedono ossigenoterapia e che siano ammalati da pochi giorni, proprio per cercare di evitare che la malattia si aggravi e che si renda necessario il ricovero ospedaliero- sottolinea ancora Cascio, professore di “Malattie Infettive e Tropicali” di UniPa- Teoricamente e anche praticamente il farmaco potrebbe essere somministrato alla stregua degli anticorpi monoclonali o anche in aggiunta nelle forme iniziali della malattia, soprattutto in quelle persone che presentano fattori di rischio per le forme gravi (obesità, età avanzata, cardiopatie, broncopatie etc). Il costo del ricovero di un paziente Covid è elevato da tutti i punti di vista e riuscire ad evitarlo deve essere considerato un obiettivo prioritario».

Il Remdesivir snobbato

Nonostante il Remdesivir si sia rivelato efficace da subito per il trattamento del Covid-19, non è mai stata ampliata dall’Aifa la platea delle persone che ne possono beneficiare, infatti, l’ultimo pronunciamento in merito da parte dell’ente regolatore risale al novembre del 2020. Il vero problema del Remdesivir, però, è che deve essere somministrato per endovena richiedendo comunque la presenza del medico e in alcuni casi anche l’ospedalizzazione. Questa modalità si scontra quindi con la linea direttiva dominante, che tende invece a voler ridurre le ospedalizzazioni a favore delle terapie precoci domiciliari. Da qui le proteste dell’azienda produttrice, ricercatori e medici che ne chiedono un maggiore utilizzo.

«È evidente- ha dichiarato Massimo Andreoni, direttore scientifico della “Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali” (SIMIT)- che la somministrazione precoce di Remdesivir nei pazienti ai primi stadi dell’infezione può generare numerosi benefici sia a livello clinico, con tempi di permanenza in ospedale ridotti e un recupero più rapido dalla malattia, sia a livello di strutture ospedaliere e risorse sanitarie, con minor accesso ai ricoveri in terapia intensiva, che possono così essere liberate e impiegate per trattare altri pazienti non necessariamente affetti da COVID-19, generando un notevole risparmio per il Sistema Sanitario Nazionale».

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