PALERMO. Ci sono momenti della vita in cui ci si sente quasi ammutoliti. Non si ha voglia di parlare perché alcune percezioni, come il timore, l’ansia, la preoccupazione in particolare, prevalgono a tal punto da silenziare il suono delle parole. Non sempre, però, è così. Anzi, raccontare la propria esperienza, intensa o meno che sia, può far stare bene non solo se stessi, ma anche gli altri.
Oggi ogni testimonianza del drammatico periodo che tutti stiamo vivendo, quello dell’emergenza pandemica, carico di paura e incertezze, ha sempre valore: è fonte di conoscenza, di riflessione e per molti può diventare un messaggio di speranza e di resilienza. È il sapere che non si è soli.
Così quando abbiamo contattato al telefono Martina Barreca, trentaquattrenne che per tanto tempo è risultata positiva al Covid-19, lei non ci ha pensato due volte a raccontarci la sua vicenda personale. Adesso è guarita: l’ha saputo sabato 13 febbraio. Non può però dimenticare il periodo in cui dal primo gennaio ha vissuto chiusa in casa insieme al marito e alla figlia. Giornate di isolamento, trascorse tra il malessere fisico e i sentimenti di paura e di preoccupazione, dove le videochiamate sono una routine, l’unico modo per dialogare con il mondo esterno e vedere sul display luminoso i volti di parenti e di amici.
«Tutto è iniziato il 28 dicembre dell’anno scorso- racconta- Il naso mi colava, ho fatto un tampone rapido e ho avuto esito negativo. Il 31 dicembre però ho cominciato ad avere dolori articolari, mal di testa, i classici sintomi influenzali. Ho avuto l’impressione di non sentire più gli odori, cosa che poi è avvenuta la mattina seguente, quando, a colazione, bevendo il caffè, mi sono resa conto di avere perso gusto e olfatto. Mi sono spaventata, tantissimo- continua- Soprattutto mi logorava il pensiero di avere avuto contatti, nei giorni prima, con i miei genitori. Ho fatto allora il tampone: esito positivo.Neanche il tempo di gestire la situazione in casa, una stanza solo per me, guanti, mascherine, che anche mio marito ha cominciato ad avere la febbre. Abbiamo fatto fare allora un tampone alla bambina. Tutti e tre positivi».
La famiglia da quel momento si è trovata a dover fare i conti con l’isolamento, non affatto semplice da organizzare, in quanto una circostanza nuova, mutevole, difficile. Da una parte tutte le indicazioni e le procedure da mettere in pratica, le visite, l’assistenza delle Usca (Unità speciali di continuità assistenziale), dall’altra una quotidianità divenuta anomala, fatta di annullamento dei contatti reali, acquisti online, la spesa lasciata in ascensore, e anche l’inventarsi momenti di svago per la piccola, nonostante il comfort e il calore della casa.
In isolamento domiciliare, a causa del Covid, anche le conseguenze di una forte pressione psicologica, dovuta al sistema del tracciamento. «Nessuno- afferma Martina- una volta che ho avuto esito positivo, mi ha chiesto i contatti delle persone che avevo incontrato. Sono stata io, autonomamente, a contattarle. Il pensiero di avere potuto infettare qualcuno è stata per me la cosa più angosciante».
Per Martina poi, rispetto al marito e alla figlia, le prime due settimane sono state molto pesanti: giorni martellanti di tosse, febbre, mal di testa, olfatto e gusto “ballerini”, malori non indifferenti. «I primi quindici giorni per me sono stati davvero un inferno. Oltre al malessere fisico, il tempo era infinito, pesante. Le Usca sin dall’inizio mi hanno seguito, supportato. È stata dura- conclude Martina – Ora finalmente libera».