Infezione da Coronavirus riconosciuta come infortunio sul lavoro? «Sono troppi i paletti posti dall’Inail». Lo denunciano le federazioni regionali Sanità e Medici della Ugl, con i rispettivi segretari Carmelo Urzì e Raffaele Lanteri
«Il Decreto legge n. 18 del 17 marzo ha incluso nell’ambito dell’infortunio sul lavoro anche l’infezione da “Coronavirus”. Una circolare interpretativa emanata dall’Inail il 3 aprile ha posto però una serie di paletti che rendono quasi impossibile il riconoscimento di questa casistica», sottolineano dal sindacato.
E aggiungono: «Immaginavamo un testo semplice, immediato e agevole in un momento di emergenza come questo in cui stiamo contando più di 120 decessi da Covid-19, oltre migliaia di contagi, tra medici ed infermieri, invece siamo di fronte al solito accanimento burocratico. Da una parte il Decreto apre uno spiraglio importante per tutti i lavoratori mentre dall’altra, paradossalmente, crea tutte le condizioni possibili per evitare il riconoscimento di questo genere di infortunio».
Dalla Ugl sottolineano: «Come si può mai stabilire, ad esempio, la data e l’ora di un contagio- dato obbligatorio per il riconoscimento dell’infortunio- quando talvolta i pazienti risultano positivi al secondo o al terzo tampone?».
«Non serve complicare le cose con artifici burocratici inutili- tuonano Urzì e Lanteri- Le richieste presentate rischiano concretamente di essere respinte, a meno che i medici competenti non si rendano autori di un potenziale falso, inserendo nelle certificazioni informazioni empiriche e non veritiere. Riteniamo urgente che l’Inail corra ai ripari modificando la circolare».
«La Ugl lancia l’appello al presidente della Regione Nello Musumeci, ed agli assessori regionali del Lavoro e della Salute, Antonio Scavone e Ruggero Razza, per l’immediato riconoscimento dell’infortunio per ogni lavoratore contagiato nell’espletamento del proprio servizio- aggiunge il segretario regionale Giuseppe Messina- La drammatica emergenza epidemiologica non ammette burocrazia, ma certezza nella salvaguardia dei lavoratori più esposti a quella che è riconoscibile oramai come “guerra invisibile”».