Infermieri italiani ancora una volta sul piede di guerra. Oggi e domani (12 e 13 aprile), infatti, due giornate di sciopero indette dai sindacati di categoria.
Tra le ragioni della protesta, “il perdurare del blocco del trattamento economico del personale del SSN previsto dal DL 78/2010 convertito nella legge 122/2010 e il taglio dei fondi della contrattazione integrativa. Non saranno certo 85 euro medi promessi a tutti i lavoratori o i 67 euro che il contratto appena sottoscritto attribuisce agli infermieri in categoria “D” , che consentiranno di colmare il vuoto lasciato da 9 anni di congelamento contrattuale”, sottolineano i sindacati.
Sotto accusa pure “il mancato riconoscimento della progressione economica (passaggio di fascia) e di quella verticale (passaggio di categoria) per infermieri, caposala e altri professionisti sanitari del comparto”.
Così come gli autori della protesta puntano l’indice contro “la mancata valorizzazione dell’anzianità di servizio delle professioni sanitarie non mediche tramite scatti di carriera, il mancato riconoscimento delle ore necessarie all’aggiornamento professionale e la mancata possibilità di svolgere attività libero professionale”.
Antonio De Palma, presidente del Nursing Up, sottolinea: “Alcune aziende sanitarie e ospedaliere stanno imponendo agli infermieri l’adesione completa alle 48 ore di protesta, invece di lasciare loro la libera scelta se assentarsi per un solo turno. Una forzatura inaccettabile che rischia di depotenziare lo sciopero”.
Sulla possibilità di aderire totalmente o parzialmente alla due giorni di agitazione, il sindacato ha chiesto ripetute delucidazioni alla Commissione di Garanzia Sciopero, ma dall’Authority non ha ricevuto alcun chiarimento nero su bianco.
“Questo silenzio non fa che aumentare i timori dei lavoratori che potrebbero decidere di rinunciare allo sciopero per non vedersi decurtare in busta paga qualche centinaio di euro- sottolineano dal Nursing Up- Come possiamo accettare che la pubblica amministrazione usi come deterrente per lo sciopero la minaccia nei confronti dei dipendenti che non vogliono effettuare 48 ore di sciopero, di togliergli due giorni di stipendio in ogni caso?”.
“Gli aumenti nel rinnovo del contratto? Conti alla mano sono solo una beffa. Sul piatto ci sono 94 milioni in meno e gli incrementi non sono immediati”. Lo afferma il Nursind di Caltanissetta che in vista delle altre due giornate di sciopero degli infermieri ha organizzato due assemblee retribuite del personale.
La prima si terrà oggi all’ospedale di Gela, la seconda venerdì all’ospedale di Caltanissetta alla presenza del consigliere nazionale del Nursind, Osvaldo Barna e del segretario territoriale Giuseppe Provinzano.
Non mancheranno, nelle due giornate, i disagi negli ambulatori, nelle sale operatorie e nell’interventistica cardiologica e radiologica, con una significativa adesione allo sciopero. E i reparti funzioneranno a livello di assistenza minima, mettendo a dura prova la tenuta della sanità Nissena. Si tratta della seconda manifestazione dopo quella del 23 febbraio scorso contro la firma al rinnovo del contratto.
“Più passano i giorni – spiega Provinzano – e più appare giusta e sacrosanta la decisione degli infermieri di indire 48 ore di sciopero per il prossimo contro il rinnovo del contratto per il comparto sanità. Un’intesa che suona come una presa in giro e che peggiora la condizione dei lavoratori sia sul piano normativo che economico”.
Il Nursind spiega che “non è accettabile che rispetto agli altri comparti, gli aumenti tabellari e perequativi scattino solo dal mese di aprile e non da marzo. Ma è persino più grave che i 91 euro di aumento per ogni lavoratore del comparto siano in vigore solo a partire da gennaio del 2019. In pratica quando saremo a scadenza di contratto e ce ne sarà in ballo uno nuovo”.
L’elenco dei nodi è ancora lungo: gli 85 euro medi di aumento, per esempio, sono solo temporanei, per via dell’elemento perequativo cha ha una durata di appena 9 mesi.
E, soprattutto, “al danno si aggiunge anche la beffa- aggiunge Provinzano- dal momento che una delle voci che dovrebbe rimpinguare il fondo sanità, e cioè la Ria, la Retribuzione individuale di anzianità, che non sarà più corrisposta al personale cessato dal servizio a partire dal 2018, rischia di andare persa per i paletti posti dalla riforma Madia che impedisce, appunto, di incrementarlo rispetto al 2016”.
Senza contare, infine, le disparità di trattamento tra le diverse categorie di statali: “Sulla base di quanto dichiarato dal comitato di settore, siamo ben lontani da quel 3,48 per cento di risorse in più a disposizione promesso e sbandierato dai firmatari del contratto. Con i 360 milioni di euro reperiti dalle Regioni per il nostro contratto, aggiunti a quelli stanziati nel 2017, si raggiunge solo il 3,06 per cento. Si tratta di circa 94 milioni in meno. Un magro bottino – conclude Provinzano – che rende il raggiro nei confronti degli infermieri ancora più grave e impossibile da digerire”.