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L'approfondimento

Il tampone fai da te? «Può essere utile, ma attenti alle false sicurezze»

L'intervista di Insanitas al prof. Francesco Vitale, che ribadisce: «Contro il Covid-19 sono fondamentali le vaccinazioni e i dispositivi di protezione individuale».

Tempo di lettura: 8 minuti

PALERMO. Nella complessa geografia degli strumenti per arginare il Covid, c’è adesso una novità: il tampone rapido fai-da-te che arriverà in Italia nella prima settimana di maggio. Si tratta di un test antigenico rapido da fare a casa per l’autodiagnosi del covid-19, creato dalla Xiamen Boson Biotech e distribuito da Technomed, già diffuso in diversi paesi europei. Sarà economico e si potrà trovarlo non solo nelle farmacie, ma anche nei supermercati, nello scaffale di un negozio, di un autogrill o al banco di un bar. Una sorta di via libera all’autodiagnosi.

In che modo, però, il suo utilizzo può contribuire al contenimento della pandemia? Lo abbiamo chiesto al Prof. Francesco Vitale, ordinario di Igiene dell’Università di Palermo, epidemiologo e già componente del Comitato tecnico scientifico della Regione per l’emergenza Covid-19. Si è perfezionato all’estero presso i laboratori del Viral Epidemiology Branch del National Cancer Institute di Washington. Ha ricoperto per due mandati il ruolo di Presidente della Scuola di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Palermo ed è stato componente del Comitato Tecnico Scientifico dell’Istituto Superiore di Sanità. Quando gli si chiede, oggi più che mai, qual è il compito della medicina, non esita un attimo a rispondere: «È quello di tutelare la popolazione in tutte le maniere possibili verso qualunque tipo di malattia, basandosi sulle evidenze e su una organizzazione sanitaria sempre migliore, sempre più aderente alle esigenze dei cittadini».

In che modo i test antigienici rapidi potrebbero contribuire al contenimento della pandemia?
«Nasali o salivari, ossia che utilizzano la saliva come liquido biologico con cui rilevare la presenza di eventuali antigeni, possono avere una loro utilità d’uso per quanto riguarda i risultati positivi. Se una persona risulta positiva, certamente quella è una persona che è stata intercettata. Il problema è quando risultano negativi, perché noi non siamo certi che la negatività corrisponda alla realtà dei fatti. Quindi l’utilizzo dei test rapidi da una parte è di aiuto, se intercetta i positivi, ma se non intercetta i positivi perché la sensibilità non è così elevata da riuscire a identificarli tutti, anche quelli a bassa carica, allora il danno può consistere nel fatto che può dare false sicurezze».

Potrebbero essere utili per individuare gli asintomatici?
«Sì, ma quelli che hanno una buona carica virale. Spesso gli asintomatici hanno una bassa carica virale, allora in questo caso rischiamo di non intercettarli, di dare false negatività e quindi falsa sicurezza. Io credo che questi tamponi che certamente non sono affidabili come un test molecolare, vadano utilizzati in quelle situazioni in cui è necessario avere un percorso differenziato per quelli che sono positivi e per quelli che sono negativi. Mi spiego meglio: io credo che questi tamponi possano essere molto utili per esempio nell’ambito dei Pronto Soccorso periferici, là dove arrivano persone che hanno una sintomatologia e quella sintomatologia può essere dovuta al Covid o ad altro agente patogeno e il tampone in quel caso in presenza di sintomatologia che se è dovuto al covid, è determinato da una carica virale elevata, risponderà in maniera adeguata e allora la credibilità della positività o della sensibilità è molto elevata. In altri contesti, invece, come ad esempio i supermercati o i cinema in cui si è asintomatici, allora la mancanza di sintomi in presenza di una infezione potrebbe essere determinata da una bassa carica virale che il tampone rapido non è in grado magari di intercettare. Questo può essere un problema, perché potrebbe al contrario dare appunto false sicurezze. In questi contesti io consiglierei di adoperare i dispositivi di protezione individuale che abbiamo imparato ad utilizzare e che ormai sono di ampia disponibilità, come le mascherine o i guanti ad esempio che in qualche maniera, mantenendo le distanze, determinano una certa sicurezza rispetto all’eventuale contatto interpersonale».

Il tampone è pur sempre la fotografia di un momento. Quali sono le buone norme che non dobbiamo dimenticare con l’arrivo dell’estate?
«Fino a quando noi non avremo una percentuale elevata di persone vaccinate, tanto da poter iniziare a parlare di immunità di gregge o di immunità sociale, termine che preferisco, dovremo continuare a evitare gli assembramenti e il contatto diretto, utilizzando sempre e comunque mascherine e guanti. Purtroppo le persone vaccinate rappresentano ancora una bassa percentuale. Non credo, quindi, che sia un vantaggio la liberalizzazione spinta o il voler godere necessariamente dell’estate perché se aumentano i contagi, aumenteranno i ricoveri e le terapie intensive. L’unica cosa che può aiutarci è l’aumento della percentuale dei soggetti vaccinati. E su questo dobbiamo cercare di ragionare, se vogliamo tornare a vivere in maniera dignitosa e decente. La scorsa estate sembrava che nei mesi di giugno e luglio si fossero abbassati i parametri e invece non è stato così perché poi è tornato più forte di prima».

In questo contesto possiamo ribadire la sicurezza dei vaccini e perché è giusto vaccinarsi?
«La sicurezza dei vaccini è un concetto che deve entrare nelle case di tutti gli italiani senza ansie e senza pensieri ulteriori. I vaccini sono sicuri e rappresentano l’unico strumento che noi abbiamo oggi per potere uscire fuori da questa situazione. Tutto il resto è materia che fluttua nell’ambito delle possibilità».

Perché dobbiamo pensare che ci saranno altre pandemie?
«Fino ad ora abbiamo avuto tre o quattro pandemie. Non è certamente la prima e abbiamo avuto diverse avvisaglie di pandemia che non si sono verificate. Tutto ciò fa parte della storia naturale dei virus, in particolare dei virus a RNA come i coronavirus o come i virus influenzali che sono quelli che hanno una maggior tasso di mutazione. Ora con il tasso di mutazione maggiore, si possono determinare varianti. Nel momento in cui si costituisce una nuova variante virale, sconosciuta a tutto il genere umano, quella variante se ha un potere patogeno, comincia a circolare e ovviamente trova suscettibili tutti e diventa pandemia».

Cosa non sta funzionando tra l’uomo e l’ambiente?
«Non è un problema di cosa non sta funzionando. È un problema di storia naturale: i virus sono esserini viventi che cercano di sopravvivere e per farlo hanno bisogno di entrare dentro le cellule di un organismo superiore. Lo fanno costantemente con le infezioni e hanno sviluppato mutazioni per sfuggire alla lotta che l’uomo gli fa tramite i farmaci e tutte le altre cose. Poi che ci siano degli argomenti in più che possono riguardare la deforestazione, il fatto che le attività antropiche entrino in materia prepotente dentro l’ecologia di virus che non sono propri della razza umana, ma di altre razze e quindi di altre specie, è certamente quello che noi portiamo avanti da tanto tempo e che è alla base di questa mutazione di virus con cui noi entriamo in contatto e che prima non conoscevamo. Esattamente come è successo per il coronavirus del Covid, per i coronavirus precedenti e per altri virus influenzali che si vanno a mano a mano modificando».

Draghi nell’annunciare le riaperture a partire dal 26 aprile ha parlato di rischio ragionato. Palermo però è ancora zona rossa. Da medico le fanno paura le riaperture?
“Sì, perché so bene che produrranno di nuovo un aumento dei casi. Capisco che dal punto di vista politico la riapertura, graduale e prudente, è una possibile soluzione perché permette di osservare quello che succede tecnicamente e di non tornare indietro perché nel frattempo continuiamo a vaccinare e aumentiamo la copertura vaccinale di persone resistenti. È possibile riaprire, dunque, con cautela e con tutte le accortezze, mantenendo sistemi di sicurezza, di distanziamento e di protezione che abbiamo adottato finora in maniera maggiore rispetto a prima. Quello che temo è che la riapertura, ad esempio, dei locali potrebbe portare ad una sorta di liberi tutti e questo farà rialzare nuovamente i numeri dei contagi, di trasmissione, di ricoveri, di terapie intensive e di eventuali decessi».

Lei e la sua equipe state lavorando a qualche progetto in particolare in questo periodo?
«A tanti progetti come Azienda Policlinico e come gruppo nostro di Igiene ed Epidemiologia. Stiamo lavorando a un progetto all’Istituto Superiore di Sanità che riguarda la risposta immunitaria ai diversi tipi di vaccino tra la popolazione vaccinata e il monitoraggio di queste persone. Stiamo poi lavorando sempre con l’Istituto Superiore della Sanità ad un progetto che riguarda la ricerca del Sars coronavirus nelle acque reflue dei centri urbani in Sicilia. Abbiamo lavorato ad un progetto e abbiamo pubblicato un primo lavoro sul ruolo delle scuole nel contagio della popolazione. Stiamo poi occupandoci di un progetto che riguarda i migranti e l’eventuale presenza di varianti particolari, in soggetti che vengono da altre parti del mondo, sempre in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità».

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