Improvvisa debolezza, paralisi o intorpidimento di volto, braccia o gambe, disturbi della parola, problemi di comprensione o di vista: sono alcuni dei sintomi che il corpo avverte dopo un ictus cerebrale. Al fine di prevenire danni cerebrali permanenti, disabilità croniche e perfino la morte, l’ictus richiede un intervento tempestivo.
Nonostante rappresenti una patologia acuta a mortalità elevata, aventi caratteristiche di emergenza medica e spesso si associ a patologie concomitanti di rilievo come diabete, ipertensione, cardiopatie, a oggi la maggior parte dei pazienti colpiti da stroke non riceve un’adeguata terapia, perché raggiunge tardi l’ospedale. L’ictus cerebrale o stroke rappresenta, per le sue dimensioni epidemiologiche e per il suo impatto socio-economico, una delle più importanti problematiche socio-sanitarie e la terza causa di morte e la prima di disabilità permanente nei paesi industrializzati.
Il riconoscimento precoce dei sintomi e le attuali terapie, permettono, oggi, di considerarla una patologia finalmente curabile, consentendo quindi di migliorare la prognosi in termini di sopravvivenza e qualità di vita. Nell’ospedale Civico di Palermo (Centro Hub per il trattamento dello Stroke), dotato di Neurologia con Stroke Unit, è possibile eseguire sia il trattamento endovenoso sia quello endovascolare h24, grazie alla collaborazione tra il reparto di Neurologia e il servizio di Neuroradiologia interventistica.
«Il successo nella gestione di questa patologia- spiega ad Insanitas Salvo Cottone (nella foto), neurologo dell’ospedale Civico di Palermo- è legato al riconoscimento precoce dei sintomi d’esordio, all’attivazione immediata dei servizi di emergenza medica (118), al trasferimento prioritario dei pazienti con ictus alla Stroke Unit di riferimento nel più breve tempo possibile, per la diagnosi precoce e i trattamenti più appropriati. Numerose sono ormai le evidenze scientifiche che dimostrano l’efficacia della gestione clinica dell’ictus in strutture opportunamente dedicate, all’interno dei reparti di Neurologia. Gli ictus possono essere classificati in due grandi categorie: ischemici ed emorragici. I primi, che sono la stragrande maggioranza, sono causati da un’interruzione del flusso di sangue al cervello, mentre quelli emorragici sono la conseguenza della rottura di un vaso sanguigno».
«L’Organizzazione Mondiale della Sanità- prosegue Cottone- l’ha definito come un “deficit neurologico da causa cerebrovascolare persistente oltre le 24 ore o che porta al decesso entro 24 ore”. I sintomi quali deficit della motilità e/o della sensibilità localizzati a tutto un emilato corporeo, riduzione della vista, visione doppia, alterazioni dell’equilibrio sino al coma nei casi più gravi, variano secondo la zona cerebrale colpita da sanguinamento nel caso dell’ictus emorragico o da mancato apporto di sangue (ischemia), per occlusione dei vasi intracranici a causa di un trombo o di un embolo, nella stragrande maggioranza dei casi a partenza cardiaca».
«Negli ultimi 10-15 anni- aggiunge Cottone- sono stati pubblicati una serie di studi che dimostrano come una precoce ricanalizzazione del vaso ostruito sia il fattore modificabile più importante, ai fini del rapido recupero del deficit neurologico nei pazienti colpiti da ictus ischemico. Esistono dei farmaci, cosiddetti trombolitici, in grado di sciogliere il trombo se iniettati per via endovenosa entro 4-5 ore dall’esordio dei primi sintomi con ripristino completo o parziale della circolazione. Nei casi che non rispondono a questo trattamento, dopo aver dimostrato con tecniche radiologiche che studiano i vasi cerebrali intracranici (angiotac) un’occlusione di un grosso vaso, è possibile intervenire con la rimozione meccanica del trombo attraverso l’inserimento nelle arterie intracraniche di un catetere in grado di liberare il vaso occluso».
«Una volta accolto al pronto soccorso, se il paziente arriva entro quattro o cinque ore dall’esordio dell’ictus, è sottoposto a tac cranio e angiotac e se eleggibile al trattamento è sottoposto alla terapia endovenosa con il farmaco trombolitico. Se arriva, invece, oltre 4-5 ore dall’esordio (entro sei ore) è trattato con la rimozione meccanica del trombo attraverso la procedura endovascolare. Recentemente, grazie all’apporto di nuove metodiche radiologiche quali la TAC perfusionale e la risonanza magnetica perfusionale, è possibile allargare la finestra di trattamento sino a nove ore per la trombolisi endovenosa e sino a ventiquattro ore per la rimozione meccanica del trombo, soltanto se attraverso le indagini descritte prima è possibile dimostrare la presenza di tessuto cerebrale ancora salvabile, definito penombra ischemica, che corrisponde alla zona di tessuto che circonda il cosiddetto core ischemico che rappresenta invece la parte di cervello andata completamente distrutta dal mancato apporto ematico».
«In pazienti adulti- continua Cottone- con ictus ischemico acuto candidabile a trombolisi o trattamento endovascolare di rimozione del trombo, per ridurre in maniera rilevante l’intervallo di tempo fra esordio dei sintomi e trattamento, è raccomandata l’applicazione di alcune strategie d’intervento. Tra queste: la pre-notifica dell’ospedale ricevente quando l’ictus è riconosciuto sul territorio da parte del Servizio Medico di Emergenza; protocolli che rendano rapidi il triage in Pronto Soccorso (entro dieci minuti) e la notifica dell’ictus (entro quindici minuti); sistema di attivazione per singola chiamata dello stroke team e del protocollo per gli studi radiologici; acquisizione e interpretazione rapida degli studi di imaging cerebrale (TC e angioTAC entro venticinque minuti dall’arrivo in Pronto Soccorso e completa interpretazione dell’esame radiologico entro quarantacinque minuti dall’arrivo); esami di laboratorio disponibili il più rapidamente possibile e non oltre quarantacinque minuti dopo l’arrivo in Pronto Soccorso; preparazione dell’agente trombolitico (dose di bolo e pompa di infusione) non appena un paziente viene riconosciuto come possibile candidato alla trombolisi (anche prima dello studio TAC); accesso rapido alla trombolisi ev (l’agente trombolitico dovrebbe essere prontamente disponibile in Pronto Soccorso, o nella sala TC) o al trattamento endovascolare in caso di documentata occlusione di un grosso vaso».
«Al termine delle procedure– conclude il neurologo- il paziente viene trasferito in Stroke Unit per l’osservazione clinica e il completamento delle indagini finalizzate allo studio delle cause dell’ictus e la prescrizione della terapia più appropriata per la prevenzione di altri possibili episodi».
Per ribadire i concetti diagnostici-terapeutici in considerazione delle nuove terapie endovascolari dell’ictus ischemico ed emorragico e dei sistemi organizzativi della rete extra e interaziendale, si è svolto il 12 dicembre a Palermo nell’ospedale Civico il “7° Incontro di Neuroradiologia interventistica”, organizzato da Giuseppe Craparo, neuroradiologo interventista. Il confronto con le varie realtà ed esperienze nazionali e internazionali ha fornito nuovi spunti d’interesse e di crescita collettiva.