cercasi medici

Dal palazzo

La lettera ad Insanitas

Il Cimo Sicilia: «Sempre più cercasi medici disperatamente? Ecco tutti i motivi…»

Il responsabile della comunicazione del sindacato ha inviato una riflessione ad Insanitas: «Colpa delle numerose scelte sbagliate da parte della politica e della scarsa attrattività esercitata dal nostro sistema sanitario nazionale nei confronti dei giovani specialisti».

Tempo di lettura: 7 minuti

Riceviamo e pubblichiamo questa riflessione di Giuseppe Bonsignore (responsabile della Comunicazione del Cimo Sicilia).

«Grande enfasi è stata data dai mezzi di informazione alla carenza di medici negli ospedali di alcune Regioni, soprattutto del Nord ma non solo. Il problema è ormai generalizzato e diffuso. Il Veneto è in cima alla lista e ha fatto scalpore apprendere che la giunta regionale si è vista costretta a richiamare in servizio medici pensionati, pagandoli a ore».

«Poi è arrivato il Decreto Calabria che boccia il ricorso ai medici in quiescenza ma prevede invece l’impiego degli specializzandi che frequentano l’ultimo anno del rispettivo Corso di formazione. Adesso è giunta l’ora dei medici militari, come sta accadendo in Molise».

«È di tutta evidenza, di fronte ad un problema di enormi proporzioni, che le soluzioni prospettate dalla politica, giunte come sempre con grave e colpevole ritardo rispetto ai fabbisogni di salute dei cittadini e in assenza della benché minima programmazione, rappresentano misure buone solo a tappare le falle di una sanità pubblica ridotta ormai a un colabrodo».

«La questione si trascina da anni e a nulla sono valsi i ripetuti richiami dei sindacati di categoria, CIMO in testa, che più volte hanno lanciato il grido di allarme rimasto inascoltato da parte delle Istituzioni. La situazione si è aggravata, come era lecito attendersi, dopo l’entrata in vigore della normativa europea sul rispetto dell’orario di lavoro e del giusto riposo fra un turno e l’altro, la cui mancata osservanza aveva in passato fatto “moltiplicare” come fossero pani e pesci, anche medici e infermieri, spremuti ben oltre il debito orario previsto dal Contratto di lavoro, con stress e fatica che non promettono nulla di buono quando di mezzo c’è la presa in carico di una persona e della sua salute».

«Si è pensato di risolvere il problema della mancanza di personale sanitario ricorrendo alle prestazioni aggiuntive, cioè ai rientri a pagamento dello stesso personale dipendente che in alcune Regioni vengono da anni finanziate in maniera tale da trasformare una misura definita temporanea dal contratto di lavoro, in situazione stabile e continuativa».

«Ma anche questo espediente non è stato risolutivo, perché il sistema si è saturato e oltre una certa misura non è possibile andare, a meno di non ricorrere ancora una volta alla moltiplicazione dei pani e dei pesci».

«La voce del sindacato di categoria, che denunciava già alcuni anni fa la vertiginosa riduzione del personale negli ospedali, anche stavolta si è persa nel vento del deserto e la politica nazionale ha continuato ad operare con precisione chirurgica nella direzione opposta rispetto alle necessità e ai fabbisogni della sanità, proseguendo imperturbabile nella sua azione di progressivo smantellamento del SSN».

«Oggi, il problema della carenza di personale nelle strutture sanitarie pubbliche è esploso in tutta la sua gravità ed è un fenomeno che riguarda l’intero Paese, da Nord a Sud, con picchi drammatici in alcune Regioni. La situazione ha quindi già superato i livelli di guardia ed è destinata ad aggravarsi a causa dei pensionamenti anticipati legati a “quota 100”».

«Le cause dello sfascio sono molteplici. Innanzitutto, l’ultradecennale blocco del turn over e dei concorsi pubblici non ha consentito il reintegro del personale perduto nel corso degli anni e il processo di stabilizzazione dei precari non ha fatto altro che sanare un’anomalia, senza nulla aggiungere agli striminziti organici di medici e infermieri».

«C’è poi, ad ostacolare e ritardare le nuove assunzioni, la complessità e la contraddittorietà delle norme vigenti in materia di procedure assunzionali che prevede il ricorso obbligatorio alla mobilità regionale ed interregionale prima di qualunque concorso a tempo indeterminato, ma che d’altro canto vincola il passaggio di personale tra amministrazioni pubbliche alla concessione del nulla osta dell’azienda cedente. Nulla osta che quasi mai arriva, finendo quindi solo per rallentare l’intera procedura assunzionale».

«La Legge di Bilancio del dicembre scorso sembra aver cambiato le regole del gioco, introducendo la possibilità di espletare i concorsi nella P.A. con procedure semplificate ed effettuate senza il previo svolgimento delle procedure previste dall’art. 30 del D.lgs. 165 del 2001, quindi senza mobilità. Ma il tutto è subordinato all’adozione di un apposito Decreto attuativo la cui adozione era prevista entro due mesi dall’entrata in vigore ma di cui ancor oggi non c’è traccia».

«Attendiamo quindi che il Ministro Giulia Bongiorno si decida ad emanarlo per capire cosa si intenderà per procedure concorsuali semplificate, ma non possiamo sottacere che questa innovazione legislativa negherebbe la possibilità di riavvicinamento per tutti coloro che erano stati costretti ad emigrare in altre Regioni».

«Sarebbe stato meglio modificare la previgente norma di legge rendendo più semplice la cosiddetta cessione di contratto, abolendo l’obbligo del nulla osta da parte dell’amministrazione cedente e ripristinando la vecchia regola del preavviso di tre mesi».

«E ancora, la complessità delle assunzioni di medici negli ospedali pubblici è legata oggi alla difficoltà di reperire specialisti nel momento stesso in cui i concorsi vengono alla fine banditi ed espletati. In Italia mancano tantissimi specialisti e senza specializzazione non vi può essere accesso al SSN».

«È il problema del cosiddetto imbuto formativo, creatosi con lo squilibrio tra numero di laureati e numero di ingressi annuali alle scuole di specializzazione. Ogni anno nel nostro Paese circa 10.000 laureati in medicina e chirurgia restano esclusi dalle Scuole di Specializzazione a causa del ridotto numero delle borse di studio finanziate dallo Stato, ben al di sotto delle esigenze e delle necessità del nostro SSN».

«Solo adesso il Governo ha deciso di incrementare seppur non in maniera adeguata il numero delle Borse di Studio, ma è un provvedimento che giunge con anni di ritardo e i cui effetti saranno tangibili soltanto tra 4 o 5 anni, cioè alla fine del corso di studi».

«Mentre la politica ricorre all’improvvisazione, provando senza riuscire a tappare le falle di una barca che ormai fa acqua da tutte le parti, il sistema va inesorabilmente incontro al collasso».

«Sullo sfondo si acuiscono le diseguaglianze sociali e territoriali e le conseguenze dello sfascio si ripercuotono come sempre sugli anelli deboli della catena, da una parte il cittadino in cerca di risposte che spesso non trova ai propri bisogni di salute e dall’altra il personale sanitario, sempre più spremuto e sempre meno retribuito».

«E, alla fine, va affrontata un’ultima incognita che rischia di incidere pesantemente sulla difficoltà di reintegrare la popolazione medica negli ospedali pubblici: la scarsa attrattività del nostro Sistema sanitario nazionale sui giovani medici specialisti».

«Perché un giovane medico con la specializzazione in tasca dovrebbe rifiutare di lavorare in Francia o in Inghilterra con uno stipendio doppio o triplo rispetto a quello dei medici ospedalieri italiani?»

«Perché un giovane specialista in medicina d’urgenza se non in chirurgia o in medicina interna dovrebbe accettare di andare a lavorare in uno dei tanti Pronto Soccorso degli ospedali pubblici italiani, spremuto, sottopagato e di continuo esposto al rischio della facile denuncia o delle aggressioni fisiche da parte di un’utenza esasperata e confusa, quando l’alternativa è quella di un reparto chirurgico o internistico in nazioni europee la cui legislazione ha drasticamente ridotto entrambi quei rischi e dove, per di più, garantiscono retribuzioni consone al ruolo, alla professionalità acquisita con tanto sacrificio e al livello di attività resa?»

«Tanti neospecialisti la risposta l’hanno già data e l’esodo verso una sanità più ricca e remunerativa è già iniziato. Per non parlare poi delle ben diverse condizioni lavorative ed ambientali».

«Non è quindi detto che dopo anni di attesa, l’eventuale riapertura delle procedure concorsuali possa veramente riportare la situazione della sanità pubblica alla normalità e si rischia di non andarci nemmeno vicino».

«La mission impossible di oggi è trovare giovani medici disposti ad accettare un posto di lavoro dove un giorno sì e l’altro pure ti piove addosso un avviso di garanzia o un’incauta ma comunque problematica richiesta di risarcimento danni, dove se ti dice bene torni a casa a fine turno senza neanche un graffio e dove al momento di prendere il cedolino dello stipendio ti rendi conto che l’aver costretto la tua famiglia ad investire una fortuna per mantenerti 10 anni agli studi non è poi stata una gran furbata».

«Forse nel prossimo futuro, visti gli obblighi di trasparenza cui dovrebbero soggiacere anche le aziende sanitarie, nei bandi di concorso leggeremo “AAA: Cercasi medico disperatamente, amante delle mazzate e ricco di famiglia”».

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