PALERMO. Le epatiti virali sono passate dal decimo al settimo posto tra le cause di mortalità a livello globale, mentre l’AIDS dal trentanovesimo al nono posto. In Italia l’incidenza dell’HIV è diminuita, ma la Sicilia è in controtendenza, rispetto al dato nazionale, con 200 nuovi casi all’anno.
Sebbene non si tratti di numeri elevati, il dato è significativo sul piano epidemiologico e svela come sia necessario intensificare gli interventi sul profilo della prevenzione. L’allargamento da parte dell’AIFA circa l’accessibilità ai farmaci antivirali, utilizzati per la cura dell’HCV (epatite c) a tutti i pazienti sieropositivi, prima invece circoscritto solo ai casi di fibrosi epatica avanzata, rappresenta una novità positiva nel panorama delle terapie disponibili per la popolazione infetta.
Questi, in sintesi, i dati che emergono dal workshop tenutosi presso l’Eurostars Centrale Palace di Palermo, giunto alla quinta edizione siciliana, sotto la presidenza del professor Antonio Cascio (presidente del Congresso e direttore U.O.C. di “Malattie Infettive”, anche Centro Regionale AIDS e Sindromi Correlate del Policlinico “Giaccone”, di Palermo), che ha visto relatori di calibro internazionale confrontarsi sulla pratica clinica e sulle prospettive future di queste patologie. L’evento è stato accreditato dal Ministero della Salute.
Direttori Scientifici: Pietro Colletti (responsabile UOS AIDS- Policlinico “Giaccone”) e Giovanni Mazzola (responsabile UOS Co-infezioni della stessa Azienda).
I DATI
«Per quanto riguarda l’analisi dei dati di mortalità relativi a cause infettive- afferma Antonio Cascio – a livello mondiale al 1° posto troviamo le epatiti virali (e le complicanze ad esse correlate), al secondo l’HIV, al terzo la tubercolosi e al quarto la malaria. Per quanto attiene alle epatiti virali cinque Paesi spiccano sul piano della diffusione della malattia: Egitto, Cina, Pakistan, India e Russia. Da noi si parla di malattia da eradicare, vista la diminuzione dei nuovi casi e la disponibilità di terapie efficaci».
«In relazione all’HIV, le notifiche del 2015, rispetto a quelle del 2013, svelano come l’Isola si muova in controtendenza registrando un incremento. Non si tratta di numeri elevati, ma in ogni caso non possono essere sottaciuti. Sul punto- conclude Casco- le campagne di prevenzione rimangono un tema attuale e il dato svela come sia necessario indirizzarle verso la fascia di popolazione più a rischio, in atto quella omosessuale, posto che almeno il quaranta per cento dei nuovi casi di contagio è dovuto a rapporti omosessuali fra maschi».
LA PREVENZIONE
Sulla prevenzione mirata a queste fasce più a rischio interviene Maurizio Celesia (dirigente medico dell’UOC di Malattie Infettive dell’Arnas Garibaldi di Catania), che cita un progetto avviato con Arcigay, volto proprio alla diffusione del test nei luoghi più esposti alla trasmissione, ovvero laddove si intrattengono rapporti promiscui, e di maschio con maschio. Celesia evidenzia come in linea generale «l‘esecuzione del test HIV sia comunque consigliata a chiunque abbia avuto nella propria vita anche un solo rapporto sessuale non protetto a prescindere dalla tipologia di esso».
LE PATOLOGIE EPATICHE
Giovanni Mazzola (responsabile dell’U.O.S. Coinfezioni del Policlinico “Giaccone”), sottolinea: «Le patologie epatiche, a carattere infettivo, prevalenti sono quelle dovute all’epatite b e dell’epatite c. La prima, l’HBV, grazie alle vaccinazioni, sebbene il movimento di popolo che proviene dall’Europa dell’Est non consenta di mettere al sicuro dal contagio, in modo definitivo, i nostri cittadini, sostanzialmente, però, può essere controllata in modo efficace, oltre che per la strategia vaccinale, anche per le innovazioni farmacologiche, che oggi impediscono l’avanzamento della malattia».
«La seconda, ovvero l’epatite c, invece – continua l’infettivologo – finora è stata la principale causa di morte nel paziente HIV positivo, anche nel periodo di uso dell’interferone, che era mal tollerato. Da quando, però, vi sono le nuove molecole ad azione diretta, sostanzialmente prive di effetti collaterali e con efficacia che rasenta il cento per cento, i casi di cirrosi e di tumore del fegato sono calati drasticamente».
L’APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE
Questi pazienti, sopravvissuti alle terapie peggiori, oggi a fronte della cronicizzazione delle malattie, invecchiano e necessitano prima di sostegno ambulatoriale, poi di ospedalizzazione e talvolta anche della chirurgia. Emerge, dunque, ancora una volta, sul profilo delle comorbilità, la necessità di una visione multidisciplinare che guardi al paziente nella sua complessità clinica e, al contempo, vada a coniugare il tema dei costi della spesa sanitaria con quello dell’assistenza.
Pietro Colletti (responsabile UOS AIDS del Policlinico “Giaccone”), evidenzia l’importanza dell’approccio integrato ospedale- territorio: «Il coinvolgimento dei medici di famiglia diventa essenziale per gestire l’aging (invecchiamento) di questa popolazione, over 70, sempre più affetta da tutta una serie di comorbilità».
Anche il professore Salvatore Corrao (Arnas Civico di Palermo), autorevole voce della Medicina Interna, ha sottolineato: «La complessità clinica di questi pazienti richiede un approccio multidisciplinare in grado di guardare il malato in chiave multidimensionale, anche al fine di armonizzare le molteplici terapie a cui è sottoposto, stante la coesistenza di più comorbilità, come, ad esempio, diabete e scompenso cardiaco, che richiedono un supporto specifico dell’internista, per non trascurare nessun profilo, affinché sia garantito al malato un percorso diagnostico personalizzato in base alle peculiarità del quadro clinico di ciascuno, così da assicurare quanto più possibile un miglioramento della qualità di vita».
E sul contrasto al contagio dell’HIV ancora l’infettivologo Pietro Colletti lancia un messaggio importante: «La collettività va risensibilizzata sul problema dell’educazione alla Salute, soprattutto in riferimento ai giovanissimi, sempre più esposti, come svelano i dati, al contagio. Accanto a una certa disinformazione circa i comportamenti sessuali a rischio e ai tabù, che pure ancora persistono, soprattutto in alcuni quartieri più arretrati culturalmente, i nostri ragazzi sono sempre più attratti dalle mode importate da altri Paesi, dove l’associazione combinata dell’uso di sostanze stupefacenti, che aumentano la disinibizione abbassando il livello di guardia, e di rapporti non protetti, può favorire il contagio». Da qui la necessità di coinvolgere anche gli educatori: insegnanti, presidi, figure istituzionali dedicate all’educazione dei giovani, parrocchie e strutture territoriali della ASP.
“Solo così- afferma l’esperto- potranno ripartire le campagne preventive, che vanno modellate su messaggi ben diversi da quelli in voga negli anni ’90 (epoca del boom della malattia HIV) che erano tristemente privi del fattore di inclusione sociale del malato, anzi drammaticamente discriminatori, in quanto permeati sullo slogan “ se lo conosci lo eviti”; elemento che creava una barriera insormontabile tra il ragazzo malato, che doveva essere evitato, e gli altri”.
I CONSIGLI DELL’ASP DI PALERMO
Cinzia Cipolla (Servizio di Promozione e di Educazione alla Salute della ASP di Palermo) conferma l’utilità di pervenire «ad un’azione di rete, tra i clinici, gli operatori del territorio e gli educatori, affinché, non con singole iniziative, ma insieme, attraverso tavoli tecnici, ciascuno, in base alle proprie competenze specifiche, possa compartecipare alla costruzione di un modello di prevenzione in grado finalmente di intervenire in modo efficace soprattutto sulla modifica dei comportamenti; ad oggi lo scoglio più difficile, anche a causa della resistenza spesso dei genitori dei ragazzi».
«Infatti- segnala Cipolla- in particolare, nei quartieri più difficili, parlare di malattie sessualmente trasmesse non è semplice, perciò la nostra azione pedagogica nelle Scuole che visitiamo, al fine di diffondere nei giovani che si approcciano ad una vita in autonomia gli strumenti per autodifendere la propria salute, parte dal concetto, più tollerato, di educazione all’affettività».
PILLOLA ANTIVIRALE?
Sulla possibilità di introdurre anche in Italia, come già accade in altre realtà, ad esempio la Francia, la terapia orale pre- esposizione (una pillola in sostanza, antivirale, da assumersi in via preventiva per quelle fasce di popolazione che sanno già di praticare, come stile di vita, attività di sesso promiscuo) durante il dibattito pre-congressuale, assoluta novità del Workshop di quest’anno, rispetto alle precedenti edizioni, i relatori, in interazione con la platea, si sono soffermati sull’opportunità di ventilare un tale meccanismo, che di fatto sposterebbe l’accento dalle responsabilità individuali sulle proprie scelte di vita ad un quantomeno immediato carico di costi per il sistema.
Il dottore Pietro Colletti su questo aspetto, evidenzia: «Le statistiche dimostrano che in termini del rapporto costi- benefici, la prevenzione pre-esposizione, sebbene in Italia non sia ancora accessibile, a medio e lungo termine, andrebbe a generare dei risparmi, poiché controllando la trasmissione del contagio nelle fasce di popolazione più esposte, in sostanza, ammortizzerebbe quei costi immediati attraverso i vantaggi successivi dettati dall’abbattimento delle voci di spesa legate alla malattia, oltre che la società sarebbe più al riparo».
Sulla possibilità di correlazione circa il trend in leggera crescita dell’HIV in Sicilia e i flussi migratori, il professore Antonio Cascio conclude: “È onesto dire che molti migranti provengono da regioni dove l’infezione da HIV è altamente endemica e che le donne subiscono violenza e stupri prima dell’imbarco, conseguentemente è giusto che vengano screenati per tale patologia; è altrettanto doveroso dire, però, che numerosi studi dimostrano come la maggior parte dei migranti si siano infettati dopo l’arrivo in Europa a causa della prostituzione. Con l’occasione è utile rammentare anche l’importanza dello screening per tubercolosi e sifilide».
L’EDUCAZIONE SESSUALE
Fabrizio de Nicola (commissario straordinario del Policlinico di Palermo), intervenuto all’inaugurazione dei lavori, sottolinea: «Noi manager, e io l’ho riscontrato anche durante la mia esperienza alla guida della Asp di Trapani, troviamo una risposta insufficiente da parte della popolazione rispetto alle nostre lettere di invito agli appuntamenti di screening. Ciò svela come sia molto difficile fare prevenzione, soprattutto nelle fasce di popolazione meno attrezzate culturalmente. E se ciò vale in ambito oncologico, vale ancor di più sul piano dell’educazione sessuale».
«Nello specifico per l’HIV occorre alzare la soglia di consapevolezza sui comportamenti sessuali a rischio, soprattutto tra i giovani- aggiunge De Nicola- E in altri casi, come invece per le epatiti, e così per tutte le patologie che possono sfruttare una strategia vaccinale, dobbiamo assumerci la responsabilità di denunciare e sanzionare quegli operatori sanitari che disincentivano la popolazione a vaccinarsi, mettendo in pericolo la vita delle persone. Considerato, inoltre, che la prevenzione è in grado di abbattere, oltre che la mortalità, anche i costi sanitari che si accompagnano alle malattie, da quelli di ospedalizzazione a quelli indiretti in termini di perdita di produttività e di invalidità».
L’INTERVENTO DI ANDREONI
Il past president della SIMIT (Società di Malattie Infettive e Tropicali), Massimo Andreoni sottolinea: «Sull’HIV la sensibilizzazione è calata, ma occorre ricordare che curare bene non vuol dire bloccare l’infezione, perciò bisogna tenere alta l’attenzione sulla malattia, mentre sulle epatiti l’Italia ormai può valutare di abbracciare delle politiche di eradicazione grazie ai nuovi farmaci che sono sostenibili dal sistema, in quanto cd. cost effect, cioè meno costosi di un tempo, ma molto efficaci».
GLI ALTRI INTERVENUTI
Sono intervenuti anche Antonio Craxì (Policlinico Universitario di Palermo, direttore dell’UOC di Gastroenterologia), Cristina Mussini (direttore dell’Unità di Malattie Infettive del Policlinico di Modena), Carlo Federico Perno (ordinario di Virologia all’Università Tor Vergata di Roma), Raffaele Bruno (Università di Pavia), Giovanni Di Perri (ordinario di Malattie Infettive dell’Università di Torino), Giuseppe Nunnari (ordinario di Malattie Infettive dell’Università di Messina) e Andrea De Luca (infettivologo Università di Siena).