Nuovo appuntamento con la rubrica Medici in trincea. Questa volta incontriamo il dottor Fabrizio Pulvirenti, medico infettivologo catanese, con Emergency in Sierra Leone è stato il primo italiano a essere contagiato da Ebola. Ricoverato allo Spallanzani di Roma, passarono 38 giorni prima di essere dichiarato guarito e divenire – ancora più oggi in questa epidemia che ha colpito l’Occidente – un simbolo di speranza. Al medico, insignito dal titolo di Cavaliere della Repubblica che oggi è super consulente per l’emergenza Covid19 all’Oasi di Troina e lavora in prima fila nel reparto di Malattie Infettive dell’ospedale di Enna, abbiamo chiesto qual è la sua opinione su questa emergenza sanitaria che ha investito il Paese prima e la Sicilia dopo.
Dottore Pulvirenti, cinque anni fa, tenne l’Italia con il fiato sospeso dopo aver contagiato Ebola mentre era volontario in Sierra Leone, per Emergency. Come affronta da medico e da uomo questo momento storico?
L’attività di medico ha (o dovrebbe avere) le medesime caratteristiche da qualsiasi parte del mondo. La differenza, semmai, è in chi riceve le cure: oggi siamo tutti eroi ma c’è già chi è pronto con la “carta bollata” in mano. Al di là di questo, soprattutto nelle prime fasi di gestione, allorché abbiamo iniziato a prepararci per accogliere i pazienti, a disegnare i percorsi pulito-sporco da fare seguire per limitare le possibilità del contagio, quando abbiamo iniziato a utilizzare i dispositivi di protezione individuale e a istruire il personale sulle corrette modalità di vestizione e rimozione, in quei primissimi momenti per me è stato come rivivere la tensione della gestione Ebola in Africa.
Il “modello Ebola” come lo chiamano, potrebbe essere impiegato in questa emergenza? Quale idea si è fatto di questa epidemia?
In qualche misura il “modello Ebola” è impiegato anche in questa epidemia: tutto sommato vestiamo (grossomodo) gli stessi dispositivi di protezione e mettiamo in atto gli stessi comportamenti per limitare il contagio. Ricordo il ruolo determinante che, in Sierra Leone, hanno avuto i rappers con le loro canzoni per istruire le persone a non toccarsi; oggi osserviamo analoghi comportamenti da parte di personalità del mondo dello spettacolo che ci invitano a “comportarci bene”.
Covid-19, ritiene ancora si tratti di un’emergenza sanitaria enfatizzata dai media?
All’inizio dell’epidemia sono stato tra coloro che hanno ritenuto la diffusione di SARS-CoV2 un fenomeno forse eccessivamente enfatizzato dai media. Per certi aspetti resto della stessa idea ma mi comporto, da uomo di scienza, seguendo le linee guida e da cittadino osservando le regole. Credo che soltanto alla fine di questo capitolo potremo capire davvero con che cosa ci stiamo confrontando, avere maggiori certezze.
Influenza stagionale è davvero più “rischiosa” del Coronavirus? L’Italia ha fatto bene a fermarsi?
Si tratta di due malattie diverse: sarebbe come mettere a confronto l’aeronautica civile coi voli acrobatici. L’influenza stagionale, per cause dirette e indirette, fa tantissime vittime ogni anno, soprattutto aggravando le condizioni preesistenti; SARS-CoV2, per certi aspetti, si comporta allo stesso modo: con rare eccezioni le vittime della CoViD19 sono gli stessi soggetti che cadrebbero sotto i colpi del virus influenzale. Relativamente alla seconda parte della domanda: sì, credo che l’Italia abbia fatto bene a fermarsi; è necessario, però, pensare fin da adesso più che al quando, al come ripartire.
La Sicilia ha messo in atto un piano di contenimento vincente?
La Sicilia ha messo in atto un piano di contenimento molto efficace e sta dando prova, in questi giorni, di grande attenzione alle esigenze della popolazione anche se – ed è triste constatarlo – da una parte ci sono cittadini che si adoperano con ogni mezzo per fronteggiare la malattie (dal volontariato alle donazioni, dalle attività cliniche a quelle sociali) e, dall’altra, ce ne sono altri che approfittano della paura della gente per soffiare sul vento dell’intolleranza.
Lei lavora in Malattie Infettive a Enna, all’Umberto I oltre al Tocilizumab, l’anti-artrite, quali farmaci state adoperando a supporto delle cure tradizionali?
L’Unità Operativa di Malattie Infettive con a capo il Dr. Guarneri, sta utilizzando tutti i protocolli disponibili e utilizzati sostanzialmente in tutto il mondo. Mi consenta una nota di orgoglio: siamo, a confronto con le altre provincie siciliane, il reparto con il maggior numero di posti letto dedicati alla CoViD-19 in rapporto alla popolazione residente e stiamo dando prova di grande abilità sia clinica che gestionale.
State valutando di adoperare nuovi farmaci? Come il Jakavi, utilizzato in ematologia per combattere la mielofibrosi?
E non solo in quello. Siamo già in corsa per entrare in diversi studi; Jakavi è uno di questi ma ce ne sono altri: il Soliris, l’Inhixa, il Sylvant, il Kevzara. Ci stiamo lavorando alacremente. Naturalmente nessuno di questi farmaci ha una attività antivirale; si tratta di sostanze in grado di attenuare il “fuoco amico” della risposta infiammatoria, della cascata citochinica responsabile del danno agli organi, soprattutto ai polmoni. E sono tutti farmaci utilizzati “off-label”, ovvero al di fuori delle indicazioni per le quali sono stati commercializzati.