Salute e benessere

L'intervista al presidente nazionale

Diritto all’oblio oncologico, l’Aiom: «Già raccolte oltre 40 mila firme»

La legge consentirebbe alle persone guarite da tumore di non dover più dichiarare la loro malattia per l’accesso a determinate pratiche.

Tempo di lettura: 3 minuti

Sono al momento oltre 40mila le firme raccolte per la petizione rivolta al riconoscimento del diritto all’oblio oncologico, legge che consentirebbe alle persone guarite da tumore di non dover più dichiarare la loro malattia per l’accesso a determinate pratiche. A parlarcene è il presidente nazionale della Fondazione AIOM, il professor Giordano Beretta (nella foto), che sottolinea l’importanza e i progressi della campagna.

Con  “diritto all’oblio oncologico” si fa riferimento ad una norma che permetta di non dichiarare di essere stato paziente oncologico, in modo che la malattia sia una nota di discriminazione o un carattere invalidante. Per promuovere la relativa proposta di legge in Parlamento, nasce “Io non sono il mio tumore” (clicca qui per il link),  l’importante campagna di sensibilizzazione lanciata dalla Fondazione AIOM-Associazione Italiana di Oncologia Medica.

Professore Beretta, come nasce la campagna e a chi è rivolta?
«”Io non sono il mio tumore” è uno slogan che è stato coniato per poter contenere diversi aspetti delle problematiche dei diritti dei pazienti oncologici. Al momento è orientato alla campagna per il diritto all’oblio ma, in futuro, potrà essere impiegato per parlare dei diritti dei pazienti cronici ed anche dei pazienti in fase di trattamento attivo, in ambito lavorativo, previdenziale, ecc.».

Che tipo di riscontro avete avuto lanciandola?
«Il lancio è stato accolto bene dalla cittadinanza, che è la parte a cui maggiormente ci siamo rivolti al fine di ottenere le firme per fare “lobbing” (in senso positivo) alle istituzioni per la definizione di una legge che tuteli il paziente che è guarito dalla malattia oncologica, avendo raggiunto la stessa spettanza di vita di un soggetto che non abbia mai avuto un tumore».

Qual è l’obiettivo da raggiungere?
«L’obiettivo è, al momento, una legge che consenta ai guariti dal cancro di avere gli stessi diritti dei soggetti sani, senza dover pagare un sovrapprezzo per una polizza assicurativa, senza avere limitazioni alla durata di un mutuo e in tutte le altre condizioni della vita normale. Più complesso è l’ambito dell’adozione in cui il diritto deve essere garantito non solo ai guariti ma anche a chi abbia una lunga spettanza di vita».

A quale importante passo siete giunti ?
«Al momento abbiamo raccolto oltre 40.000 firme, l’obiettivo è 100.000 ed abbiamo cominciato a cercare i contatti con le istituzioni».

Rispetto a questa tematica il nostro Paese è tristemente indietro rispetto ad altri Stati europei. Che idea si è fatto su questo?
«Cinque Stati in Europa hanno già approvato una legge, in ambito assicurativo, per il diritto all’oblio nel paziente oncologico. In alcuni di questi il tema è maggiormente sentito perché il sistema sanitario è su base assicurativa. Da noi, per fortuna, il SSN ha superato questa problematica e, quindi, il problema è stato meno avvertito. In più, cronicamente, noi siamo più lenti nel legiferare».

Se venisse approvata la proposta di legge, quali sarebbero le reali prospettive per tutti i cittadini italiani?
«Uguali diritti per tutti, ovvero consentire a chi è stato malato e non lo è più di poter riprendere in pieno la propria vita in tutti gli ambiti. Questo è anche un messaggio psicologicamente importante. Lo sdoganamento della guarigione dal cancro sarebbe infatti uno stimolo per l’adesione agli screening, in alcuni casi non seguiti proprio per paura di una malattia che, ancora oggi, viene vissuta come “male incurabile».

Come dovremmo invece intendere il cancro oggigiorno?
«Nella realtà è l’unica malattia cronica che, in qualche caso, può guarire. Attenzione può guarire, non sicuramente guarisce. Non bisogna quindi dare l’illusione che il cancro non sia più una malattia severa, richiede trattamenti impegnativi e può portare a morte. Ma sapere che “si può guarire” è un messaggio psicologicamente molto importante».

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