È una patologia enigmatica, diagnosticata per la prima volta nel 1690. Colpisce tra il 5 e il 10% della popolazione femminile mondiale: più di 175 milioni nel mondo, mentre in Italia sono tre milioni le donne con diagnosi conclamata. Le cause sono molteplici e spesso agiscono in sinergia, ma sono ancora oggetto di studio e comprensione da parte della comunità medica. L’endometriosi è caratterizzata dalla presenza di tessuto endometriale fuori dal suo contesto naturale. Si tratta di una patologia complessa che oltre ad essere molto dolorosa, ricade su aspetti clinici molto gravi perché, spesso, è causa di sterilità.
Ma non è tutto. In molti casi rappresenta una grave limitazione per la vita individuale, sociale e per l’attività lavorativa della donna. Tuttavia anche se i numeri parlano chiaro, di endometriosi non si parla mai abbastanza, nonostante l’Italia abbia dimostrato negli anni una grande ricettività e sensibilità da parte del Parlamento nazionale e delle Regioni pure in merito al riconoscimento della sua rilevanza sociale.
La Giornata mondiale dell’endometriosi quest’anno cade il 27 Marzo. Anche l’Arnas Garibaldi di Catania partecipa attivamente a questa giornata, illuminando la facciata del presidio ospedaliero Nesima di giallo, il colore simbolo della patologia, per informare e gettare nuova luce su di essa: «Il nostro Centro di endometriosi- spiega il prof. Giuseppe Ettore (nella foto), direttore del dipartimento Materno- Infantile dell’Arnas Garibaldi-Nesima- metterà a disposizione uno spazio (Piano Terra, Ambulatorio AB) con accesso libero e gratuito, che rimarrà aperto dalle ore 10 alle 16. Qui potranno essere visitate tutte le donne che vorranno accedervi, anche per consultare il nostro gruppo di lavoro, costituito non solo dalla componente ginecologica, ma da una vera e propria equipe multidisciplinare e multi professionale: l’urologo, il proctologo, la psicologa, l’anestetista, il nutrizionista per citarne alcuni. Si tratta di tutta la branca specialistica che ruota intorno alle tematiche dell’endometriosi, ormai consolidata e necessaria per potere asfaltare a 360° questa patologia».
La legge regionale sull’endometriosi è una realtà. Quali sono i punti di forza di questa legge?
«Sono sicuramente rappresentati da una forte consapevolezza da parte della politica e del governo regionale sul fatto che l’endometriosi è una patologia che va affrontata sul serio. C’è una attività ambulatoriale, contraddistinta negli anni, in grado di eseguire tutte le prestazioni che questa patologia cronica e spesso invalidante ci sottopone. Mi riferisco in particolare alla chirurgia radicale che si può effettuare solo in pochi centri e che noi facciamo ormai da sedici anni, quando l’endometriosi costringe la donna ad una qualità di vita pessima. C’è infatti un grave ritardo nella diagnosi a volte stimata intorno agli otto-dieci anni: questo avviene perché i sintomi spesso sono fuorvianti. La donna è così costretta a rimbalzare da un ambulatorio all’altro senza essere presa in carico o, peggio, senza essere presa sul serio. Questo è l’aspetto più importante».
In cosa consiste la Rete regionale per la cura dell’endometriosi?
«Il ruolo della legge è anche quello di normare nell’ambito del territorio regionale una rete, che possa in un certo senso omologarsi a delle procedure diagnostiche-terapeutiche che siano appropriate e che non rappresentino un elemento, a volte, di danno sia per il ritardo diagnostico sia per l’inappropriatezza nell’affrontare le terapie necessarie per la donna, compreso il problema della fertilità. Nel nostro team è coinvolto, a questo proposito, anche il Centro di procreazione medicalmente assistita e questo ci dà la possibilità di offrire il supporto e l’assistenza di cui le donne hanno bisogno quando la fertilità, purtroppo, viene alterata in modo irreversibile».
Quali sono i sintomi e i campanelli d’allarme da monitorare fin dall’adolescenza?
«Il sintomo più diffuso, presente soprattutto nelle ragazze o nelle donne molto giovani, è la dismenorrea ossia il ciclo molto doloroso. Ora tutto ciò può convivere in condizioni di normalità ed è qui che il ginecologo deve misurarsi nella capacità di riconoscere la presenza della patologia. Deve quindi effettuare bene la raccolta dei dati anamnestici, dell’esame obiettivo e dell’ecografia tridimensionale, di quella transvaginale che ovviamente deve essere eseguita con criteri di competenza che pongano in evidenza gli elementi caratterizzanti di una patologia endometriosica. A volte dove l’ecografia non è sufficiente, un altro esame molto importante è la risonanza magnetica che non può essere interpretata da tutti i radiologi alla stessa maniera. Ecco perché è necessario un team ad hoc che affini per la donna, tutte le capacità diagnostico-terapeutiche in modo da ottimizzare tutte le criticità. Spesso l’inadeguata interpretazione della parte diagnostica e l’inadeguata esecuzione dei protocolli terapeutici sia in ambito farmacologico sia in ambito chirurgico rappresentano, ancora oggi, uno degli elementi peggiorativi di questa patologia».
Qual è il risvolto psicologico che c’è dietro a questa patologia?
«Si tratta di una vera escalation per la donna che matura con il trascorrere degli anni per due aspetti: il primo è il persistere del dolore pelvico, quindi la dismenorrea e la dispareunia. Il secondo è legato alla presa di coscienza da parte della donna di continuare ad essere afflitta, dopo tanti anni, da un quadro sintomatologico le cui terapie di cui noi disponiamo oggi, se non sono appropriate, non portano alla guarigione. Oggi dal cancro nello stadio precoce si guarisce, nel caso dell’endometriosi non si guarisce. Tutto questo può portare ad una forte depressione perché da una parte, le donne sono private di una qualità di vita adeguata e dall’atra non riescono più a scorgere l’orizzonte. Questa legge siciliana che io chiamo legge della consapevolezza, deve essere fortemente rappresentata nell’ambito dell’equipe medica. Il medico non può agire con superficialità, deve trovare la via per far sì che la diagnosi sia il più precoce possibile. Ecco perché questa consapevolezza è un elemento che noi stiamo cercando di trasferire a tutti i colleghi».
Possiamo dire alle siciliane affette da endometriosi che possono adesso eseguire qui le indagini strumentali di alto livello, senza dover essere più soggette alla “migrazione sanitaria”?
«Certamente sì. Adesso in Sicilia ci sono due importanti centri di riferimento: quello sotto la mia responsabilità all’Arnas Garibaldi-Nesima di Catania e quello al Civico di Palermo, dove è responsabile il dottor Antonio Maiorana. Ricordo poi la nostra totale vicinanza, affinità e collaborazione con le associazioni che rappresentano le donne affette da patologia endometriosica: una di queste è l’Ape. La loro vicinanza e il nostro coinvolgimento nell’ambito delle loro attività rappresentano un punto di incontro importantissimo perché le migliori prestazioni diagnostico terapeutiche e le migliori erogazioni di un servizio, avvengono quando tra l’ospedale e i pazienti c’è una piena collaborazione. Tale modello, purtroppo, non è molto seguito in Italia o nel sud Italia. Credo che questo sia un settore dove la vicinanza con le pazienti è assolutamente necessario. E questo significa anche poter costantemente rimodellare e migliorare i servizi che noi possiamo erogare. In passato tante donne del meridione, siciliane in particolare, preferivano andare in Veneto dove c’è un ospedale specializzato per l’endometriosi. Adesso tutte queste donne possono finalmente essere assistite in Sicilia, con una precisa attività anzitutto di diagnosi precoce».
Lei è un ginecologo di grande esperienza. Perché da giovane studente ha scelto di laurearsi in Medicina?
«Sentivo forte, in questa professione, la possibilità di stare a contatto con le persone in un momento particolare, difficile quale può essere la malattia. La mia professione di ginecologo mi ha dato la possibilità di vivere i due momenti unici della vita: il momento della gioia e quello del dolore. L’attività ostetrica ti pone di fronte a tante criticità, ma sicuramente di fronte alla nascita di una nuova vita, non credo che ci possano essere altre considerazioni da fare. L’altro motivo è quello della vicinanza a tutte le donne che purtroppo vanno incontro a patologie oncologiche o, come nel caso dell’endometriosi, a patologie invalidanti».