Dal palazzo

L'intervista di Insanitas

Diagnosi e cura dei tumori, il ruolo del fisico medico e l’utilizzo delle nuove tecnologie

L'intervista di Insanitas al messinese Francesco Maria La Fauci, in forza all'Istituto Europeo di Oncologia di Milano.

Tempo di lettura: 6 minuti

PALERMO. Una figura professionale ibrida, tanto rara quanto affascinante, che applica i principi e le metodologie della fisica in medicina nei settori della prevenzione, diagnosi e cura soprattutto dei tumori, ma non solo… Per capire meglio di cosa si occupa il fisico medico e quali tecnologie innovative utilizza, Insanitas ha intervistato il messinese Francesco Maria La Fauci (nella foto), in forza all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano.

Cosa l’ha spinta a scegliere una professione particolare come il fisico medico e quale percorso accademico ha seguito per diventarlo?
«Fin da piccolo sono sempre stato affascinato dalle scienze, leggevo l’enciclopedia “Conoscere”, ero estremamente curioso sui fenomeni naturali e degli animali. Ho sviluppato questa passione anche al liceo, perchè la fisica mi ha permesso di vedere la natura attraverso modelli matematici, condizione che io trovo estremamente intrigante. Scelsi di fare fisica proprio perché ero a conoscenza della professione di fisico medico, ovvero una figura multidisciplinare che si occupa di fisica ma è parte integrante del mondo clinico. La conoscenza della fisica quindi non sarebbe stata fine a se stessa, bensì fondamentale per il miglior trattamento del paziente. Feci la triennale al Dipartimento di Fisica dell’Università di Messina. Una volta laureato mi sono trasferito a Milano dove in due anni ho completato la magistrale in indirizzo nucleare. Nel 2017 ho fatto il concorso sia a Milano che a Messina per l’accesso alla scuola di specializzazione in fisica medica. Alla fine ho optato per Milano, la scelta non era così scontata però ero consapevole della grande offerta formativa che mi si prospettava, con ospedali del calibro di IEO, San Raffaele, INT e così via. Ho completato il mio percorso accademico in tre anni, il 12 novembre 2012».

In cosa consiste la sua attuale professione?
«Sono un borsista AIRC e sto conducendo studi su un protocollo per pazienti oligometastatici da carcinoma alla prostata. Per quanto riguarda la clinica mi occupo dell’ottimizzazione e pianificazione dei piani di trattamento per pazienti oncologici. Le tecniche variano dal 3D conformazionale, al Vmat o alla tomotherapy. Le sedi di trattamento sono estremamente etereogenee tra loro: pelvi, polmoni, lesioni ossee ecc. Un altro aspetto riguarda invece i controlli di qualità che devono essere fatti per assicurare sempre corretti funzionamenti ed erogazione del trattamento da parte della macchina, aspetto di cui è responsabile appunto il fisico medico».

Lei si è specializzato con una tesi sul trattamento radiochirurgico CyberKnife per la cura dei pazienti affetti da tumore, in cosa consiste?
«Ho svolto una tesi per osservare delle differenze tra due metodi di pianificazione 3D, in cui viene scelta una determinata fase del ciclo respiratorio per la pianificazione, e una 4D in cui si tiene in considerazione ogni fase del ciclo respiratorio. Le due tecniche sono poi state confrontate e per fare tutto ciò ho costruito un fantoccio antropomorfo che potesse simulare il torace umano durante la respirazione, contemplando quindi il fenomeno di moto della lesione durante la respirazione e le relative criticità dosimetriche».

Come funzione materialmente CyberKnife e quali tipi di carcinomi curate con questo macchinario?
«Il CyberKnife (CK) è una macchina estremamente complessa, costituita da un braccio robotico che sostiene un LINAC (acceleratore lineare) da 6 MV. Questa configurazione permette alla macchina di avere diverse orientazioni nello spazio intorno al paziente da cui diramare migliaia di fasci di trattamento (trattamenti non isocentrici e non complanari). Tali fasci vengono così concentrati anche in piccoli punti della grandezza del mm, il CK viene infatti utilizzato per trattamenti radiochirurgici, caratterizzati da poche frazioni e alte dosi per frazioni (stereotassi) per lesioni sia intra che extra craniche. Dato il braccio robotico il sistema, con l’ausilio di un particolare sistema di led ottici esterni indossati dal paziente tramite una particolare tuta, combinati con le immagini a raggi X scattate ad intervalli regolari, permette di seguire la lesione in tempo reale. Questa tecnica è ideale per lesioni polmonari che affliggono il tratto interessato dal moto dovuto alla respirazione. Date le caratteristiche della macchina vengono trattate lesioni encefaliche (di pochi cm), metastasi ossee (spesso ritrattamenti) e lesioni polmonari».

Qual è il vantaggio di usare questo tipo di tecnologia?
«Per quanto riguarda il trattamento innanzitutto lo si può considerare una valida alternativa alla chirurgia, non a caso nasce principalmente per trattamenti encefalici. Con l’avvento delle nuove tecnologie si è esteso questo concetto anche per trattamenti extracranici (polmonari). Anche in termini dosimetrici il CK è ideale per trattare lesioni piccole su cui concentrare la dose. Si parla di trattamenti stereotassici, quindi caratterizzati da un alto gradiente di dose (ovvero dose concentrata maggiormente nel sito della lesione e in minima parte ai tessuti sani), motivo per cui spesso viene anche utilizzato in sedi dove il paziente ha subito già un trattamento radioterapeutico (ritrattamenti). Data la sua configurazione “geometrica” il sistema riesce in tempo reale a seguire la lesione durante il trattamento, condizione estremamente importante quando si trattano lesioni toraciche o addominali; i linac tradizionali usano tecniche di gating, breath hold o uso di compressori addominali».

Quali altri strumenti innovativi usa per il trattamento dei tumori?
«Dipende dalla sede di trattamento e dal tipo di lesione. Il parco macchine è estremamente vario, avendo a disposizione CyberKnife®, il Vero®, un Trilogy ® e tre Tomotherapy®. Ogni macchina ha le proprie caratteristiche: il CK viene usato per stereotassi così come il Vero, le tomotherapy possono essere un alternativa al CK per quanto riguarda il tempo di trattamento (spesso il CK ha tempi veramente lunghi), avere un parco macchine vario permette anche di definire studi e protocolli particolari ed estremamente complessi specifici per particolari forme di tumori».

Quanto sarà diverso in futuro il trattamento delle patologie tumorali?
«Questa è una bellissima domanda, ma posso solo dire cosa immagino, ovvero trattamenti sempre più fini e precisi, macchine sempre più performanti, e non solo da un punto di vista “hardware” ma anche del software, magari con l’aiuto di reti neurali o machine learning. Mi aspetto che le vie che la ricerca può aprire siano se non infinite certamente numerose, e le combinazioni innumerevoli. Mi aspetto e mi auguro vivamente un netto miglioramento dei trattamenti di cui già oggi disponiamo- a livello nazionale intendo- e non solo in ambito radioterapeutico».

Sarà possibile curare altre patologie con tecnologie simili?
«Esistono anche oggi trattamenti radioterapeutici che non vengono erogati su lesioni di natura oncologica, per esempio il CK viene impiegato anche per angiomi, per il trattamento del nervo trigemino o per malformazioni Artero-Venose. Per quanto riguarda il futuro dipende tutto da studi e intuizioni. Pertanto mi aspetto che patologie considerate in passato impossibili da curare diventino trattabili con il processo di sviluppo tecnologico, questo è il mio augurio».

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