Grazie ad un recente lavoro di revisione, sono state classificate 1.450 malattie metaboliche di origine genetica che, divise in gruppi e in categorie, coinvolgono organi e apparati diversi. Tra queste, vi sono i 20 tipi di glicogenosi conosciute, un gruppo di malattie metaboliche rare caratterizzato dall’accumulo di glicogeno (molecola di deposito del glucosio) a livello epatico e/o muscolare con diagnosi e meccanismi fisiopatologici complessi. Questo genere di patologie possono manifestarsi in momenti diversi della vita: dalla nascita all’età adulta, e non fanno distinzione di sesso. Colpiscono, infatti, in egual modo sia uomini che donne con l’eccezione della glicogenosi tipo 11 legata al cromosoma X.
Nelle forme epatiche più severe compromettono la qualità della vita di chi ne è affetto e dei loro caregivers, perché il paziente ha bisogno di mangiare a intervalli molto brevi altrimenti il decorso della malattia può avere anche un esito drammatico. Diagnosticarle non è facile, soprattutto nei primi mesi di vita, e questa non è una buona notizia, perché nell’attesa di dare un nome ai disagi che attraversa il bambino che ne è affetto, gli organi accumulano glicogeno, il cervello comincia a soffrire e si possono anche avere conseguenze molto gravi.
I progressi scientifici
C’è però anche una buona notizia, perché grazie agli studi della genetica molecolare si è avuto un enorme contributo nella facilitazione diagnostica. Rispetto a prima, l’odissea si è accorciata nei centri in cui è possibile fare questi esami: la possibilità di usare i pannelli della cosiddetta next generation sequencing, la nuova era della genetica, permette di fare uno screening di tutte queste condizioni e vedere qual è la malattia nello specifico.
«È bene ricordare che la genetica non sempre fornisce informazioni chiare e definitive, e a volte non risolve i problemi, va interpretata e guidata. Soprattutto, per diagnosticare queste malattie è indispensabile conoscerle. Un’ipoglicemia, infatti, può essere alla base di tante patologie- chiarisce Carlo Dionisi Vici (nella foto), responsabile della UOC di “Patologia Metabolica” e coordinatore dell’area di ricerca di “Malattie metaboliche” Ospedale pediatrico “Bambino Gesù” di Roma- È importante anche l’utilizzo scientifico dei dati ottenuti dalla genetica: poter inserire nei database tutti i nostri risultati permette di confrontarci a livello globale e poter attribuire la patogenicità alle mutazioni identificate per uscire dal limbo in cui una mutazione non ancora conosciuta potrebbe rimanere un punto interrogativo in termini di interpretazione diagnostica. Adesso si utilizzano dei principi di ricerca sulla cresta dell’onda, come per esempio la terapia genica o la terapia che usa l’RNA messaggero (mRNA), che spero portino a future terapie innovative».
Glicogenosi epatiche: quali sono?
Il tipo 1A e 1B sono due forme metaboliche ereditarie, con un rischio del 25% di trasmissibilità da parte dei genitori che ne sono portatori. Sono patologie caratterizzate da un sintomo apparentemente banale cioè l’ipoglicemia. In realtà è un grave problema, perché mette in difficoltà il cervello. L’ipoglicemia, l’abbassamento del glucosio nel sangue, si forma nel caso della glicogenosi di tipo 1A per la mancanza di un enzima, il glucosio-6-fosfatasi, e nel caso del tipo 1B per la mancanza di un trasportatore a esso connesso.
«Il glicogeno si accumula soprattutto nei casi di tipo 1A e 1B nel fegato, creando una situazione di fegato ingrandito con addome protrudente. Se il bambino ha necessità di mangiare molto spesso (circa ogni due ore) a causa della comparsa dell’ipoglicemia, bisognerebbe sospettare una glicogenosi. Con ulteriori esami di laboratorio, poi, si può identificare una sofferenza epatica e con indagini di tipo molecolare, confermarne il sospetto. Entrambe le glicogenosi, sia il tipo 1A sia il tipo 1B, si presentano allo stesso modo ma, con il passare del tempo, la seconda presenta una caratteristica specifica: la presenza di infezioni ripetute, ad esempio afte buccali, dovute ad una grave neutropenia. Tutto ciò aggrava il decorso della malattia. Entrambe le malattie vengono diagnosticate con esami specifici, ma non essendoci uno screening neonatale, come accade per altre 50 malattie metaboliche ereditarie, il carico diagnostico è del pediatra» spiega Alberto Burlina, direttore dell’UOC “Malattie metaboliche ereditarie” del “Centro regionale malattie metaboliche ereditarie” della Regione Veneto e direttore del Programma regionale screening neonatale allargato per le malattie metaboliche ereditarie dell’azienda ospedaliera universitaria di Padova.
Il trattamento di queste patologie comincia con un approccio dietetico, che va a ridurre i tempi di digiuno e a prevenire l’ipoglicemia. Si possono usare zuccheri complessi che si trovano nell’amido di mais o prodotti simili, i quali permettono un rilascio prolungato dei carboidrati. Nel tipo 1B si verificano frequenti infiammazioni dovute alla neutrofilia, per le quali è possibile intervenire farmacologicamente. Oltre a questi trattamenti, può essere valutata l’ipotesi di trapianto epatico.
Altre tipologie di glicogenosi
La glicogenosi di tipo 3, a differenza della 1A e 1B, ha una minore aggressività epatica, che si bilancia con un progressivo coinvolgimento muscolare, soprattutto cardiaco. Gli episodi di ipoglicemia, che sono frequenti nei primi mesi di vita nelle forme di tipo 1A e 1B, nelle forme di tipo 3 possono anche non essere così gravi, ma con il passare del tempo compare l’interessamento cardiaco (ipertrofia miocardica) che può comportare perdita di funzione dell’organo. Anche per questa forma di glicogenosi la terapia nutrizionale è un punto fondamentale per trattare la patologia, che però va modificata nel corso degli anni.
Tra le forme di glicogenosi più comuni con interessamento muscolare c’è anche quella di tipo 2, più conosciuta come malattia di Pompe, dovuta a un difetto dell’enzima alfa glicosidasi, un enzima lisosomiale che porta all’accumulo di glicogeno prevalentemente a livello dei muscoli, sia muscolo-scheletrico che muscolo-cardiaco. È una forma rara, che colpisce 1 individuo ogni circa 40.000. Senza un trattamento per queste patologie, i bambini perdono la capacità motoria in modo progressivo e vanno incontro ad insufficienza respiratoria: in genere, senza diagnosi le speranze di vita e terapia precoce cessano entro il primo anno.
Infine, ci sono le glicogenosi di tipo 5, 7, e più raramente si diagnostica anche la tipo 4. In queste patologie molto spesso, eccetto la tipo 4, l’esordio può avvenire in età adulta. «Combinare la ricerca al bancone con la ricerca al letto del paziente è la chiave vincente per dare una risposta a queste malattie- conclude Dionisi Vinci- Il coinvolgimento anche di associazioni pazienti e dei genitori è fondamentale perché l’alleanza di questi attori è quella che sicuramente permetterà di dare le risposte migliori ai pazienti. L’unione ha sempre fatto la forza».