In Italia la quota di spesa a carico del Fondo Sanitario Nazionale per la cura del diabete è di circa 15 miliardi di euro all’anno, pari ad oltre il 10% del totale. Il 39% del maggior costo è legato al trattamento delle complicanze a lungo termine, mentre solo il 29% riguarda il trattamento diretto della patologia. Il 50% dei costi diretti è legato alle ospedalizzazioni.
Il diabete rappresenta nel mondo una pandemia dai costi altissimi: 1 diabetico su 4 si ricovera almeno una volta nel corso di 12 mesi; il rischio di ricovero in ospedale è 1,5 – 2,5 volte più alto in presenza di diabete e la degenza media è più lunga del 20% rispetto alla persona senza diabete.
Sono circa 3 miliardi di euro le spese dirette sostenute dalle persone e dalle loro famiglie e non meno di 10-12 miliardi di euro di costi indiretti, per un totale di 25-30 miliardi di euro, in termini di costi reali dei ricoveri e della varie prestazioni specialistiche (fonte SID,“ Il Diabete in Italia. L’impatto socio-economico, SID, a cura Bonora, Sesti, Aprile 2016).
Nel mondo 415 milioni di persone adulte hanno il diabete mellito tipo2, se ne stimano 640 milioni entro il 2040 (“Epidemiologia del diabete”, C. Bianchi, E.Rossi, R. Miccoli, Aprile 2016 ). In Italia secondo i dati ISTAT al 2016 si stimavano oltre 3 milioni 200 mila persone affette da diabete, ovvero il 5,3% dell’intera popolazione (16,5% fra le persone di 65 anni e oltre).
L’INTERVISTA ALL’ESPERTO
«Il diabete- spiega Salvatore Corrao (nella foto), responsabile dell’U.O.C. di Medicina Interna dell’Arnas Civico di Palermo e direttore del dipartimento “Strutturale di Medicina” e Presidente dell’Associazione Medici Diabetologi (AMD) Sicilia – è una patologia cronica, complessa e multifattoriale. Tra i diabetici si duplica il rischio di mortalità per malattie ipertensive, così come l’ospedalizzazione per malattie del sistema cardiocircolatorio. Le complicanze del diabete hanno un impatto rilevante sia sui costi sanitari che sulla qualità della vita dei cittadini. L’assistenza alle persone con diabete rappresenta ormai, stante anche l’allungamento della vita media, uno dei principali problemi di organizzazione dei sistemi sanitari, ponendosi come riferimento per il modello di assistenza alle cronicità».
«La malattia diabetica- afferma Corrao- per il suo impatto socio-economico, ha imposto la ricerca di politiche di management organizzativo volte a ridurre l’incidenza degli eventi acuti o delle complicanze invalidanti che comportano costi elevati, diretti e indiretti. Rispetto al 2000 i diabetici sono circa 1 milione in più e ciò è dovuto sia all’invecchiamento della popolazione che ad altri fattori, tra cui la diagnosi precoce, che oggi fa emergere casi prima sconosciuti, accanto all’aumento della sopravvivenza dei malati di diabete: la mortalità si è, infatti, ridotta di oltre il 20% in tutte le classi di età».
In Italia la rilevanza sociale del diabete è stata riconosciuta con la legge n. 115 del 1987, mentre il Piano Nazionale della Malattia Diabetica, deliberato nel 2013 dal Ministero della Salute, costituisce la piattaforma su cui costruire programmi di intervento specifici scelti e condivisi con le Regioni.
Il Piano Nazionale della Malattia Diabetica in Italia verte su omogenee misure di prevenzione, diagnosi, monitoraggio e cura delle persone con diabete e prevede lo loro presa in carico da parte dei centri diabetologici.
«In questo quadro- rileva Corrao- appare strategico il modello cosiddetto a gestione integrata con i medici di famiglia, in modo che si intervenga sulla malattia in fase iniziale e, quindi, prima che si sviluppino le complicanze. Queste sono di tipo prevalentemente cardiovascolare come l’infarto del miocardio, lo scompenso cardiaco e le vasculopatie periferiche spesso complicate dalla neuropatia periferica e da sovrainfezioni responsabili di tutte le amputazioni. L’affermazione di una rete capillare di centri specialistici diffusi su tutto il territorio nazionale, basati su competenze multiprofessionali (diabetologo, infermiere, dietista, talora psicologo e/o podologo, e secondo necessità cardiologo, nefrologo, neurologo, oculista, ecc.) è un tema portante, che certamente richiede però anche un’informatizzazione omogenea sul territorio per la condivisione dei dati clinici».
«Spicca- aggiunge Corrao- il valore della prevenzione primaria ai fini della salvaguardia della salute, della sostenibilità del sistema e del miglioramento della qualità di vita delle persone con diabete, ma questa strategia è efficace solo se c’è un ampio coinvolgimento delle persone affette da diabete. Da qui l’importanza della promozione del cosiddetto self- management e dei programmi relativi a nutrizione e attività fisica, oltre che degli screening dei gruppi di popolazione identificati ad alto rischio».
In Italia cresce soprattutto il diabete tipo 2, che rappresenta circa il 90% dei casi ed è fortemente legato anche nel nostro Paese all’eccesso ponderale e alla scarsa attività fisica.
I FATTORI DI RISCHIO
«Obesità e sedentarietà– sottolinea Corrao- sono, almeno nel diabete tipo2, i principali fattori di rischio. Tra i 45-64enni la percentuale di persone obese che soffrono di diabete è al 28,9% per gli uomini e al 32,8% per le donne. Nella stessa classe di età il 47,5% degli uomini e il 64,2% delle donne con diabete non praticano alcuna attività fisica, secondo il report ultimo ISTAT (2016). Occorrono campagne di sensibilizzazione per innalzare il livello di consapevolezza dei cittadini».
«L’epidemiologia nazionale rileva circa 250.000 nuove diagnosi di diabete tipo 2 e circa 25.000 nuove diagnosi di diabete tipo 1 all’anno. Su 100 individui affetti da diabete mellito, 70 sono over 65enni e 40 hanno più di 75 anni, con una maggiore diffusione nei maschi, ma le differenze di genere si riducono dopo i 74 anni. Si registra un caso ogni 16 residenti, ma si stima che siano un milione gli italiani ancora orfani di diagnosi perché, talora, la malattia rimane asintomatica a lungo».
LA COMPLESSITÀ CLINICA
«Va fatto- illustra l’esperto- un ragionamento più ampio per tutto ciò che sia caratterizzato dalla cronicità, come nel caso del diabete. A fronte del dato demografico dell’invecchiamento della popolazione, della presenza di complicanze dagli alti costi e di diverse comorbidità, si pone prioritario nel management aziendale ospedaliero garantire al cittadino-paziente un’offerta assistenziale che sappia organizzare questa complessità attraverso una corretta allocazione delle risorse umane e strutturali ed un approccio multidisciplinare e multidimensionale».
Nel nostro Paese ogni 7 minuti una persona con diabete ha un attacco cardiaco, ogni 26 minuti sviluppa un’insufficienza renale, ogni 30 minuti ha un ictus, ogni 90 minuti subisce un’amputazione dell’arto e ogni 3 ore entra in dialisi. Complicanze tanto gravi da far sì che il diabete sia responsabile di una premorienza stimata mediamente in 7-8 anni (fonte “Impatto socio- sanitario del diabete”, E. Bonora, Aprile 2016).
«La patologia- prosegue Corrao- ha grosse implicazioni psico-sociali, perché può condizionare in maniera importante la vita di chi ne è affetto e dei suoi famigliari, con conseguenti costi di perdita di produttività legati alle assenze lavorative necessarie ad assistere il familiare malato, soprattutto se si pensa che il diabete può generare disabilità: è la prima causa di cecità, la seconda di insufficienza renale terminale, la prima causa di amputazione non traumatica degli arti inferiori e concausa di infarti e ictus».
I COSTI DI OSPEDALIZZAZIONE
«I ricoveri- precisa Corrao- dipendono dalla diversa offerta dei servizi e dalla differente appropriatezza nel ricorso alle strutture sanitarie più che dall’aumento dei casi. Al Sud, dove vi è una prevalenza maggiore del diabete, si passa da aree a più elevata ospedalizzazione associata anche a un maggior numero di ricoveri inappropriati, ad altre ancora dove il tasso di ospedalizzazione è inferiore al dato medio nazionale e gli indicatori di qualità dell’assistenza sono prossimi alla media o più alti».
In generale, rispetto al 2000, i ricoveri per diabete sono diminuiti del 66,4% (-26,6% i ricoveri complessivi), attestandosi su circa 50mila eventi nel 2015. Anche i ricoveri a rischio di inappropriatezza sono in calo, passando negli ultimi cinque anni da 108 per 100mila abitanti a 49 (fonte Report Istat al 2016).
LE INNOVAZIONI TERAPICHE
«Nel diabete di tipo2 i farmaci innovativi – conclude Corrao – sono in grado di ridurre la mortalità cardiovascolare fino al 38% e il rischio di progressione della nefropatia diabetica verso l’insufficienza renale grave del 40% e, di conseguenza, anche i costi di ospedalizzazione legati all’insorgenza di complicanze, che rappresentano più del 50% dei costi complessivi. Ciò ammortizzerebbe l’alto costo iniziale unitario delle nuove terapie, a causa del quale esse sono ancora sottoutilizzate per via dei limiti posti dal sistema con i cd. piani terapeutici e alla mancata possibilità di prescrizione da parte dei medici di famiglia proprio dei medicinali di nuova generazione».
Ne consegue che molti malati di diabete non hanno accesso ad essi: da qui anche l’appello di AMD (Associazione Medici Diabetologi) e SID (Società Italiana Diabetogia) per una svolta in tal senso, peraltro, confortata dalle nuove linee guida 2018 dell’Associazione americana per il diabete.