Cure per il contrastare il coronavirus, le prospettive sul vaccino e la diffusione “geografica” del virus. Di questo ed altro abbiamo parlato con il professore dell’Università di Catania Filippo Drago, ordinario di Farmacologia, che è il responsabile dell’unità di Farmacologia clinica del Policlinico Universitario etneo, identificato dall’assessorato regionale alla Salute come centro hub per la gestione del trattamento con farmaci off-label dei pazienti positivi al covid19.
In attesa del vaccino qual è l’approccio farmacologico utilizzato dal Policlinico di Catania?
“Si va da farmaci antivirali approvati per infezioni da Ebola, l’HIV o l’influenza (remdesivir, lopinavir/ritonavir, darunavir/cobicistat, favipiravir), a farmaci contro la malaria (la clorochina), contro l’artrite reumatoide o altre malattie su base autoimmunitaria (l’idrossiclorochina, il tocilizumab, il sarilumab, il siltuximab, l’eculizumab), a farmaci per la mielofibrosi (ruxolitinib), anticoagulanti (enoxaparina, gabesato), antiparassitari (ivermectina), e altri. C’è da dire che solo i farmaci autorizzati da AIFA o per i quali l’Agenzia ha autorizzato uno studio clinico presentano un fondamento scientifico sebbene sempre di ordine ipotetico. Su questi principi sto gestendo la terapia off-label dei pazienti covid19”.
Che validità ha secondo lei il tocilizumab?
“L’uso del tocilizumab nella terapia della polmonite da covid19 si è diffuso in tutta Italia grazie all’autorizzazione da parte di AIFA di uno studio clinico proposto da alcuni colleghi dell’Istituto Tumori di Napoli. Oggi è probabilmente il farmaco off-label più diffusamente utilizzato in Italia per questa malattia. Si tratta di un anticorpo monoclonale attivo contro il recettore dell’interleuchina-6, uno dei principali mediatori dell’infiammazione. L’efficacia del tocilizumab nei confronti dell’infezione da coronavirus è stata ipotizzata sulla base della dimostrazione che il farmaco è certamente efficace in una condizione analoga, la “sindrome da rilascio di citochine” che si verifica nel corso di un trattamento geno-cellulare chiamato CAR-T. La sua potenziale efficacia nel covid19 è stata proposta in alcuni studi clinici preliminari svolti in Cina”
Quanti sono i pazienti trattati con il tocilizumab e perché viene scelto questo tipo di trattamento? C’è un particolare protocollo da seguire per iniziare la somministrazione?
“Attualmente in Sicilia orientale sono più di 400 i pazienti COVID-19 ricoverati. Di questi almeno 300 sono in trattamento con tocilizumab. Tutti i pazienti affetti da COVID-19 sono trattati attualmente in regime di off-label. Infatti, nessun farmaco è disponibile con questa indicazione. Alcuni tra i farmaci off-label sono antivirali approvati per altre patologie il cui agente etiologico è simile al coronavirus (il remdesivir, il favipiravir), altri sono stati registrati per patologie completamente diverse (per esempio, il tocilizumab che è farmaco contro l’artrite reumatoide). Non ci sono dei protocolli da seguire per la scelta della somministrazione ma dei criteri generici, oltre la positività al COVID-19 come il livello di saturazione dell’ossigeno uguale o inferiore al 93%. Spesso si tratta di pazienti che quindi hanno una respirazione assista con la mascherina o sono già intubati e dove vi sono complicazioni polmonari in atto. Il tocilizumab è un farmaco somministrato per via infusionale, e probabilmente è utilizzato in tutti i pazienti con patologia in fase avanzata, con livelli di interleuchina-6 molto alti e spesso già intubati”.
Che risultanze ci sono state dai trattamenti con tocilizumab?
“Si è rivelato efficace in molti casi ma non in tutti. Un importante problema clinico è, in realtà, il trattamento di quei pazienti che non rispondono a nessuno dei farmaci che sono utilizzati in prima linea. Per esempio nel caso del tociluzumab dopo due somministrazioni da effettuare a distanza di 12 ore non è prevista una terza dose del farmaco. In alcuni pazienti dopo le somministrazioni la situazione o non è migliorata o è migliorata per poi peggiorare a stretto giro, nell’arco di uno o due giorni con una recidiva. In questi casi, noi proponiamo la somministrazione di un altro farmaco, il siltuximab, che ha già dato ottimi risultati su alcuni pazienti in queste condizioni trattati presso l’ospedale di Acireale. Si tratta di una terapia di recupero, detta “rescue therapy” come ad esempio utilizzando il rituximab. Ritengo che nel giro di pochi mesi, tuttavia, potremo disporre di pubblicazioni scientifiche accreditate che faranno il punto sull’efficacia di tutti i farmaci attualmente utilizzati in regime di off-label nel COVID-19”.
Come mai nella provincia di Catania vi è stata una presenza massiccia di casi positivi? Quali fattori hanno influenzato la diffusione del virus in questo specifico territorio?
“Ho seguito l’andamento dei ricoveri nella nostra provincia ed effettivamente, specie nella fase, iniziale vi è stato un forte incremento mentre adesso stiamo assistendo a un graduale calo. Le ragioni sono principalmente due: una che dipende dalle caratteristiche intrinseche delle pandemie e delle epidemie, l’altra dalle caratteristiche socio economiche di un territorio. Due ragioni indipendenti l’una dall’altra. Infatti spesso le pandemie si sviluppano a caso: basti pensare alla provincia di Enna, dove si sono verificati i casi più gravi nell’Oasi di Troina. Mentre in altre zone della stessa provincia, come Piazza Armerina, ci sono stati pochissimi positivi, ciò a dimostrazione che gioca molto il fattore della casualità che contraddistingue le pandemie. L’altro elemento è legato al tessuto socio economico: a Catania vi sono parecchi scambi interpersonali e un contatto forte con la Lombardia, per via del tessuto imprenditoriale e quindi anche questo elemento può aver contribuito alla maggiore diffusione del virus nella provincia etnea”.
Quando potrebbe essere pronto il vaccino?
“Sui vaccini purtroppo sono circolate anche molte bufale. Facendo un confronto con i tempi di ricerca e di produzione di un vaccino per patologie analoghe ritengo che potrebbe essere pronto non prima della fine di quest’anno. Di solito occorrono almeno 10 – 12 mesi dall’inizio della pandemia e verosimilmente per novembre o dicembre potrebbe esserci il vaccino”.