Mentre si continuano ad allestire terapie intensive e strutture ospedaliere Covid in Sicilia come nel resto del Paese, prosegue- tra medici, operatori sanitari e associazioni- la discussione sulla necessità di un protocollo uniforme per il trattamento domiciliare del Coronavirus, ancora inesistente dopo un anno.
Il primo caso conclamato in Italia avveniva a fine gennaio 2020, da allora nessuna linea guida ministeriale per seguire i contagiati nelle proprie dimore. In Italia, a fine maggio, nasceva il “Comitato Ippocrateorg”, chiaro il riferimento al giuramento dei camici bianchi. Una cordata di medici e personaggi autorevoli come Mauro Rango hanno dato vita a un servizio- in scienza e coscienza- per seguire i soggetti positivi al Coronavirus a casa, in forma quasi preventiva. Sì da prevenire la loro ospedalizzazione. Cure anti-Covid a casa, sì o no? Medici di serie A e di serie B. La diatriba è ancora aperta.
Dall’entroterra siciliano, la provincia di Enna, arriva la testimonianza del medico d’emergenza Salvatore Campione, che dall’inizio della pandemia può dire di avere curato a casa trecento persone positive al virus. Medico 118, dopo quindici anni sui Nebrodi, ha portato la sua esperienza nel territorio ennese, soprattutto della zona Nord, la più colpita. Raccogliendo le testimonianze personali e professionali dei colleghi di Bergamo ha deciso, assumendosi chiare responsabilità, di somministrare ai pazienti Covid terapie domiciliari evitando di trasportarli in ospedale.
Il primo caso di Covid19 che si trova a fronteggiare Campione è stato quello di un ingegnere rientrato da Milano, di 41 anni. La moglie chiamò il 118 annunciando le condizioni dell’uomo: febbre a 40, faticava a respirare. Era marzo e fu la prima volta che lui e la sua squadra indossavamo la tuta.
«L’uomo non riusciva a parlare, saturava male (88), fu il primo paziente che trasportammo in ospedale, ma il tampone diede esito negativo, lo mandarono a casa. Dopo qualche settimana finì in rianimazione», racconta.
Nel protocollo ufficiale italiano viene raccomandato, al malato Covid domiciliare di rimanere in “vigile attesa” e di assumere, all’occorrenza, del paracetamolo. Risultato? Centinaia di persone arrivavano nei nosocomi solo quando il quadro personale era critico, se non drammatico. L’atteggiamento “rigorista” sui farmaci, specie su quelli di uso maggiormente consolidato e per cui esiste quanto meno una chiara evidenza scientifica- secondo il comitato ippocrateorg- ha portato gli ospedali al collasso.
Al pronto soccorso di Mistretta– lì lavorava Campione- tra dicembre e gennaio vi erano stati molti casi di polmonite interstiziale bilaterale. Tipica del Covid insomma. «Già allora mi misi a disposizione dei pazienti che mi consultavano telefonicamente e dopo le prime esperienze ho deciso di rispondere alla mia coscienza e somministrare una terapia ai pazienti positivi al Covid, naturalmente privi di comorbilità», spiega Campione. Con una strategia fatta di tempestività e farmaci da prontuario facilmente reperibili quali: Plaquenil, Zitromax, Clexane (per migliorare la coagulazione), Deltacortene e Lucen 40, ottenendo un indice di successo elevatissimo.
«Molti pazienti rimasti a casa ritardavano la guarigione e la sintomatologia si aggravava, quando arrivavamo noi li trovavamo con una polmonite interstiziale invasiva. Invasione che determinava il collasso dell’attività respiratoria e molti dunque andavano a finire in rianimazione».
Contattato da Mauro Rango si fa portavoce anche in Sicilia della filosofia portata avanti dal Movimento Ippocrate: «Chiediamo che una buona volta si inizi a fare un ragionamento unico, che si trovi una sintesi tra medicina del territorio e medicina ospedaliera affinché si riducano le ospedalizzazioni perché ci sono le altre patologie da curare. Se pensiamo che il Covid debba adombrare tutto il resto abbiamo sbagliato di grosso. È necessario, indispensabile che un’organizzazione seria possa stilare un piano terapeutico capace di contrastare il Covid, che cambia. Io credo- e lo dico come medico dell’emergenza– che dobbiamo essere inclusivi, il territorio deve essere fondamentale per impedire le ospedalizzazioni. Quello che è mancato è stato un tavolo tecnico scientifico- forse non c’erano neanche i tempi- con le Usca- La Sicilia è stata tra le prime regioni a farle ben funzionare, è stato dimostrato il supporto fondamentale della medicina sul territorio».