CALTANISSETTA. Neurologia e Covid. Sarà Caltanissetta, cuore dell’Isola, il luogo dove esperti da tutta Italia si incontreranno per confrontarsi sulla ricerca e sulle ultime scoperte relative alle nuove urgenze neurologiche determinate dall’impatto della pandemia.
Presidente del congresso, che si svolgerà all’Hotel San Michele dal 3 al 5 settembre, il dottore Michele Vecchio, presidente regionale della Società Italiana di Neurologia e primario del reparto di Neurologia dell’ospedale Sant’Elia.
Quest’anno dunque una nuova edizione del congresso “Highlights in Neuroloy” ma con una special edition dal titolo “Neuro-Covid-19”. Si tratta del primo congresso con moderatori e relatori presenti in sala nell’Isola, dall’inizio dell’emergenza sanitaria legata al coronavirus.
Dottore Vecchio perché la scelta di fare un congresso in presenza di relatori e partecipanti?
«Vogliamo dare un messaggio di normalità, perché con la pandemia il mondo è cambiato. Il virus sarà presente tra noi, adesso e anche nel futuro. Dobbiamo imparare a conviverci rispettando le regole che ormai conosciamo e che ci consentiranno di fare una vita normale. Per tutti questi mesi abbiamo continuato ad aggiornarci e insieme al professore Gioacchino Tedeschi (presidente nazionale della Sin, ndr) abbiamo fatto decine di eventi via web che ci hanno consentito di mantenere viva la formazione neurologica. Adesso è arrivato il momento in cui dobbiamo fare di più ed ecco il motivo dell’evento in presenza. Abbiamo l’onore di essere patrocinati dall’assessore alla Salute Ruggero Razza. Parleremo di malattie neurologiche sicuramente e di come la neurologia italiana si raffronta al problema della pandemia. Come in tutti i virus anche nel caso del coronavirus il sistema nervoso centrale e periferico soffre della sua presenza. Questo lo abbiamo evidenziato subito quando molti pazienti affetti da Covid-19 avevano importanti manifestazioni neurologiche. I primi lavori li ha pubblicati Chang, uno scienziato cinese, che ha messo il mondo in condizioni di conoscere cosa stava succedendo da un punto di vista scientifico in Cina. Tra i primi lavori, che portarono poi all’utilizzo di tocilizumab e agli anticorpi monoclonali, quelli relativi ai danni neurologici che si venivano a determinare di conseguenza ai danni vascolari».
Quali sono questi danni neurologici?
«In presenza di microembolie è chiaro che i pazienti possono sviluppare ischemie, vasculiti, crisi epilettiche, malattie della giunzione della placca neuromuscolare, le miastenie o le neuropatie. Avremo dunque il piacere di ospitare importanti relatori d’Italia che vengono a Caltanissetta a dare la loro testimonianza e il loro contributo per la nostra crescita professionale. Abbiamo bisogno di diventare centrali nell’ambito scientifico italiano».
Una delle conseguenze del coronavirus riguarda la perdita di gusto e olfatto: ci sarà dunque una nuova categoria di malati?
«Si tratta di compromissioni di nervi e di aree di microcorteccia che recepiscono questi segnali. La nostra esperienza è che spesso sono reversibili, pur perdurando diversi mesi. Ci consentono però di fare una diagnosi differenziale per cui quello che sembra una banale influenza può destare, proprio per via di questi sintomi, un campanello d’allarme e attivare dunque i meccanismi di controllo mediante i tamponi e i test sierologici. Nelle forme più gravi un danno infiammatorio si determina in conseguenza di una autoaggressività del sistema immunitario, principale protagonista del Covid-19. Tant’è che l’espressione che si è coniata in letteratura è quella di “fuoco amico”. Cioè le persone che prendono il Covid hanno un’esagerata risposta immunitaria, tale da determinare quei danni così importanti a livello polmonare, vascolare e sistemico».
Particolare attenzione sarà dedicata a Covid e Sclerosi Multipla…
«Per quanto riguarda la sclerosi multipla avremo due relazioni magistrali. Una è stata affidata al professore Franco Patti dell’Università di Catania che ci dirà cosa è successo nel mondo della sclerosi multipla in presenza del Covid-19. È stata un’esperienza complessa e ci siamo attivati in rete creando condivisioni della conoscenza che ci hanno consentito di avere informazioni per poter dare sicurezza ai nostri pazienti, presi dal panico, nel momento in cui hanno saputo che potevano essere a rischio visto che c’era di mezzo il sistema immunitario. Concluderemo con il professore Giancarlo Comi, uno dei più importanti neurologici nel mondo, che come ogni anno ci onorerà della sua presenza e che ha accettato quello che mi è venuto in mente, come titolo della sua lezione magistrale “Il mondo che verrà in Sclerosi Multipla”, e ci consentirà di prevedere lo scenario dei prossimi anni. Molti di questi saranno dominati dalla presenza, spero non fastidiosa e pericolosa, del Covid. I pazienti con Sclerosi Multipla vanno attenzionati in maniera particolare. Non tutti hanno lo stesso rischio perché molti fanno terapia immunosoppressiva importante, quindi l’attenzione deve essere massima».
Cefalea e covid, qual è il nesso?
«Ricordiamoci il lockdown, e poi questo impazzimento generale estivo, per cui stiamo pagando in termini di aumento di contagi. Per fortuna poco di malati, ma di contagiati. Di cefalea soffrono 6 milioni di persone in Italia, è chiaro che questi pazienti ne hanno risentito, soprattutto nelle forme di cefalea primaria. Ma in generale tutte le persone che hanno un problema di salute hanno avuto un riscontro negativo anche dal punto di vista psicologico».
Come ha reagito il sistema sanitario all’impatto determinato dalla pandemia?
«A livello nazionale ci siamo trovati ad affrontare qualcosa che non conoscevamo. Chi andava in ospedale ed era contagiato, contagiava altri. E questo è ciò che è accaduto a gennaio e febbraio, in Lombardia in modo particolare. Abbiamo pagato il fatto della non conoscenza. Le informazioni che venivano dalla Cina, non tutte, perché qualcosa non ci è stata detta, ci hanno consentito poi, con l’esperienza sul campo, di giungere progressivamente a una organizzazione che in questo momento è quella che probabilmente ci potrà salvare. Se penso a come eravamo quando abbiamo cominciato e come siamo adesso, c’è una grande differenza. Per esempio nei giorni scorsi abbiamo avuto un caso di paziente covid positivo. Sarebbe stato uno di quelli che, arrivando in reparto, avrebbe determinato la diffusione del contagio agli altri pazienti e agli operatori. Mentre adesso le linee guida, le procedure, i protocolli prevedono che in pronto soccorso, chiunque deve essere ricoverato, venga sottoposto a tampone prima di giungere al reparto di destinazione. E questo è un fatto estremamente positivo. Credo che l’organizzazione e il rigore ci potranno salvare».