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E’ possibile “tornare in vita” dopo 6 ore di arresto cardiaco? La storia di Audrey Mash spiegata dal cardiologo

La storia della donna colta da arresto cardiaco per ipotermia mentre stava facendo una escursione sui Pirenei ha fatto il giro del mondo. Abbiamo chiesto un parere al cardiologo Giuseppe Musumeci

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La storia di Audrey Mash ha fatto il giro del mondo. Del su arresto cardiaco, durato 6 ore, hanno parlato le più autorevoli testate internazionali. Ma com’è possibile “tornare in vita” dopo 6 ore di arresto cardiaco? Abbiamo cercato di fare chiarezza sulla vicenda raccogliendo il parere di un esperto, il cardiologo interventista Giuseppe Musumeci.

Ma ricostruiamo velocemente la vicenda: Audrey insieme al marito, era impegnata in una scalata sui Pirenei, quando in prossimità dei duemila metri i due sono stati colti da una tempesta. La donna ha cominciato ad avvertire i sintomi dell’ipotermia, fino alla perdita di conoscenza e all’arresto cardiaco. Il marito, Rohan Schoeman, ha chiamato i soccorsi, che sono arrivati sul posto circa tre ore dopo. Trasferita in elicottero in ospedale, la temperatura corporea di Audrey era di 18 gradi e il suo cuore aveva smesso di battere. A quel punto i medici hanno provato a rianimare e dopo 6 ore dall’arresto cardiaco il cuore della donna ha ripreso a battere. Secondo i sanitari, l’organismo di Audrey – che adesso è fuori pericolo e non ha riportato danni – ha resistito all’arresto cardiaco proprio per via della bassa temperatura corporea, perché “ad una temperatura normale avremmo di certo certificato la morte” hanno riferito i medici.

La vicenda ha suscitato un grande clamore, in particolare il dottor Eduard Azgudo, del servizio di medicina intensiva dell’Hospital Vall d’Hebron, che l’ha definita “ai limiti della vita che ancora non conosciamo”

Ma a spiegarci meglio cosa è successo veramente è una delle voci più autorevoli della Cardiologia Interventistica (Emodinamica) italiana, Giuseppe Musumeci, direttore S.C. Cardiologia dell’Ospedale Santa Croce e Carle di Cuneo e past presidente del GISE ( Società Italiana di Cardiologia Interventistica). Musumeci rileva: “La paziente, in questo caso particolare, si è salvata grazie all’ipotermia che ha protetto il cervello; normalmente, purtroppo, dopo pochi minuti dall’arresto cardiaco, i danni cerebrali diventano irreversibili. Questo caso sottolinea, perciò, l’importanza di rianimare sempre il paziente in arresto cardiaco extraospedaliero e quella di attivare tempestivamente i soccorsi. Dunque, è prioritario intervenire subito iniziando le manovre rianimatorie di base prima che i soccorsi arrivino. In tale direzione, è importante sensibilizzare su questo fronte la popolazione e promuovere educazione e campagne, anche nelle scuole, per insegnare tali manovre, tenuto conto che, quando è disponibile un DAE (defibrillatore semi automatico) i risultati saranno migliori”.

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