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L'approfondimento di Insanitas

Cardiologia interventistica, il ruolo del Gise: intervista al presidente Musumeci (seconda parte)

L'approfondimento di Insanitas.

Tempo di lettura: 8 minuti

Dopo la prima parte, prosegue la nostra intervista a Giuseppe Musumeci, presidente della Società Scientifica di Cardiologia Interventistica Italiana SICI- GISE.

Grazie al database GISE si è potuta offrire a chi amministra lo nostra Sanità una mappa di riferimento per poter valutare e analizzare ciò che viene fatto. L’obiettivo è contribuire all’appropriatezza e alla qualità delle cure, attraverso l’ottimizzazione delle risorse disponibili, in modo da ottenere la riduzione dei tempi e delle liste d’attesa.

Altissima la vigilanza dei cardiologi interventisti: serietà, efficienza e alta professionalità per combattere una battaglia a favore del cuore che ha già prodotto risultati di rilievo. In Italia negli ultimi 30 anni la mortalità per cause cardiovascolari si è ridotta del 16%, permettendo di salvare 1 vita ogni 6 persone a rischio.

RIDURRE SPRECHI E LISTE DI ATTESA

«Il cosiddetto percorso di appropriatezza clinica– afferma Musumeci- per la gestione del follow up del paziente sottoposto a rivascolarizzazione coronarica percutanea delinea un protocollo strutturato sulla base del reale rischio clinico di un paziente sottoposto ad angioplastica, ma guarda anche alla gestione integrata tra ospedale e territorio, dove il medico di base è un anello da non trascurare. Questo modello di governance è in grado di ridurre sprechi, ovvero prestazioni ambulatoriali, esami ecocardiografici, o test da sforzo inappropriati, con impatto positivo sui tempi di attesa per le prestazioni e le liste d’attesa. Se venisse applicato permetterebbe di risparmiare quasi una prestazione l’anno per ogni paziente (0,87 prestazioni/paziente/anno), ridurre visite, esami inutili e, di conseguenza, consentirebbe l’abbattimento delle liste d’attesa del 39%».

La società scientifica di cardiologia interventistica si muove in modo innovativo per la sostenibilità del sistema sanitario, nella consapevolezza dell’esigenza di una razionalizzazione della spesa e di una reingegnerizzazione delle reti cliniche. Tuttavia, l’obiettivo è non perdere di vista il concetto centrale: il paziente.

Musumeci, infatti, evidenzia: «Il processo logico non può certamente essere solo permeato sulla metrica dei costi e dei ricavi. Tagli lineari e gare pubbliche se improntate al solo risparmio finiscono con il non garantire la qualità. Vanno contemperate le necessità di risparmio con le aspettative cliniche in termini di qualità e innovazione degli strumenti e dei dispositivi per il bene ultimo del sistema e soprattutto del cittadino, per non ritrovarci domani costretti ad avvalerci di strumenti e tecnologie acquistati solo perché assicurano risparmi nell’immediato, ma di dubbia origine, se non anche difettosi».

«Noi – afferma il cardiologo – siamo medici prima di tutto e il paziente deve rimanere al centro della nostra attenzione. Il nostro sistema sanitario offre un servizio di elevata qualità, ma va rimodellato costantemente per stare al passo con i due fattori evolutivi con cui anche la sanità deve fare i conti: l’aumento dell’aspettativa di vita e quindi delle patologie croniche, la complessità e il livello delle prestazioni da erogare, a cui appunto si accompagnano aumento della spesa e richiesta di assistenza e servizi di sempre maggiore qualità».

PREVENZIONE DEI FATTORI DI RISCHIO CARDIOVASCOLARE
«I più importanti fattori- chiarisce Musumeci- che aumentano il rischio di sviluppare la malattia e predispongono l’organismo ad ammalarsi sono: abitudine al fumo di sigaretta, diabete, obesità, valori elevati di colesterolemia, ipertensione arteriosa e scarsa attività fisica, oltre a età, sesso e familiarità per evento precoce alla malattia».

«In particolare- spiega il cardiologo interventista- l’elevata percentuale di persone ipertese, l’alta frequenza del diabete e dell’obesità e l’elevata prevalenza dell’abitudine al fumo vanno affrontati implementando le misure di prevenzione primaria. Interventi rivolti a semplici modificazioni degli stili di vita nelle diverse età, anche in quelle avanzate, consentiranno di mantenere nel tempo gli incrementi di aspettativa di vita in buone condizioni di salute registrati negli ultimi anni (l’Italia è fra i Paesi con guadagni di aspettativa di vita più elevati), così come idonee strategie di prevenzione potranno contribuire a ridurre sia i tassi di ospedalizzazione che i costi per la cura e la riabilitazione».

Laddove i fattori di rischio modificabili siano particolarmente elevati o, anche se poco elevati singolarmente, complessivamente, però, forniscano un quadro significativamente negativo, si configura un elevato rischio cardiovascolare globale per il quale, oltre agli stili di vita “salva-cuore” che diventano imperativi, esistono farmaci, in particolare antipertensivi e ipolipemizzanti, di documentata efficacia preventiva.

L’entità del rischio che ogni persona ha di sviluppare la malattia dipende dalla combinazione dei livelli dei diversi fattori di rischio. Nell’ambito della Health Examination Survey è emerso che, secondo i dati raccolti in 9 Regioni (Friuli, Molise, Emilia Romagna, Calabria, Basilicata, Piemonte, Sardegna, Lazio, Sicilia) relativi alla distribuzione delle condizioni a rischio confrontate con i dati dell’Osservatorio Epidemiologico Cardiovascolare, suddividendo la popolazione esaminata in due livelli socioeconomici, il livello socioeconomico più basso è quello che risente di più della condizione di disagio, con aumento maggiore dell’obesità e della sindrome metabolica, rispetto a coloro che si trovano nel livello socioeconomico più elevato.

«In Italia- afferma Musumeci- i tassi di mortalità per cardiopatia coronarica hanno avuto un andamento in discesa a partire dalla metà degli anni Settanta, mantenendosi a livelli molto più bassi rispetto ai Paesi del Nord Europa e agli Stati Uniti. Con i dati disponibili di incidenza, prevalenza, consumo di farmaci, trattamenti chirurgici, ricoveri ospedalieri, fattori di rischio, utilizzando il modello IMPACT, è stato valutato l’andamento in discesa della mortalità per cardiopatia coronarica in Italia tra il 1980 e il 2000, identificando la parte attribuibile alle procedure terapeutiche in fase acuta, in prevenzione primaria e in prevenzione secondaria, e ai cambiamenti dei fattori di rischio nella popolazione dovuti alla modificazione dello stile di vita».

«La differenza- aggiunge il cardiologo- tra i decessi per cardiopatia coronarica osservati e attesi nel 2000 è stata attribuita, rispettivamente, ai cambiamenti nei trattamenti e nei fattori di rischio nella popolazione. Dal 1980 i tassi di mortalità coronarica aggiustati per età sono diminuiti da 267,1 a 141,3 per 100.000 abitanti negli uomini e da 161,3 a 78,8 nelle donne di età 25-84 anni, producendo, nel 2000, 42.930 morti coronariche in meno (24.955 negli uomini; 17.975 nelle donne). Circa il 40% di questa diminuzione è dovuto ai trattamenti specifici, principalmente trattamenti per lo scompenso cardiaco (14%) e terapie in prevenzione secondaria dopo un infarto del miocardio o una rivascolarizzazione (6%). Circa il 55% è invece dovuto ai cambiamenti nei maggiori fattori di rischio cardiovascolare nella popolazione italiana: principalmente la riduzione della pressione arteriosa (25%) e della colesterolemia totale».

Nel corso del principale appuntamento della Società Italiana di Cardiologia Interventistica (Gise), la seconda edizione di “Thinkheart with Gise”, svoltosi a Firenze, presso la Stazione “Leopolda”, che ha coinvolto autorevoli cardiologi, ma anche istituzioni e decisori, è stato presentato l’ultimo report GISE (2016), ovvero lo specchio dei dati del registro GISE, nel quale confluiscono tutti gli elementi, per singole voci, utili al monitoraggio e alla valutazione analitico- programmatica dell’attività di emodinamica italiana complessiva e per Regioni, ricavati dalle informazioni trasmesse da ogni singolo centro di emodinamica presente in Italia.

Dal Congresso è emersa l’implementazione crescente delle procedure di cardiologia interventistica, accanto ad un impegno sempre più ampio della cardiologia invasiva per una sfida globale quanto essenziale alla salute della collettività, nel segno di un nuovo modello di governo della cardiologia invasiva nell’ambito del sistema sanitario nazionale volto a sollecitare l’affermazione di un welfare permeato sulla formula integrata: innovazione, efficacia, sicurezza e sostenibilità. Un modello innovativo di organizzazione quello consolidato dal GISE, soprattutto, per la funzionalità della rete per l’infarto.

Il progetto SICI-GISE “Rete IMA Web”: la rilevazione nazionale sullo stato di attuazione delle reti territoriali per il trattamento dell’infarto miocardico acuto, eseguita una prima volta nel 2007-2008 e successivamente nel 2012-2013, in collaborazione con il progetto “Stent for Life”, promosso dalle Società Europea di Cardiologia (ESC) e di Interventistica Cardiovascolare (EAPCI), ha il pregio di aver garantito quanto più possibile nel nostro Paese, a tutti i pazienti con infarto miocardico acuto, pari opportunità di tempestivo accesso alla procedura salva-vita dell’angioplastica primaria, favorendo la realizzazione delle reti per l’infarto, anche attraverso la stesura di decreti regionali laddove non fossero già varati.

Tuttora, emerge ancora la necessità di intensificare gli sforzi in direzione di una più omogenea distribuzione sul territorio di tale attuazione.

All’interno del sistema per le emergenze cardiovascolari, nell’ambito della patologia coronarica, il trattamento dell’infarto miocardico acuto (IMA), secondo gli ultimi dati del registro GISE “Rete IMA WEB”, registra delle variabili del percorso di perfezionamento della rete per il trattamento dell’IMA. La distribuzione sul territorio è abbastanza variegata: il Nord-Ovest e il Sud e Isole eseguono la maggior parte delle procedure anche per via della diversa popolosità delle macroaree. Differenze anche sul numero dei laboratori di emodinamica e sulle loro dotazioni organiche.

Fine seconda parte

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