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Bassa riserva ovarica? In alcune donne la causa è genetica

Lo studio pubblicato su JBRA Assisted Reproduction, condotto dal ricercatore e ginecologo Antonio Simone Laganà per l’Università di Palermo.

Tempo di lettura: 4 minuti

Alla base di una bassa riserva ovarica presente in alcune donne c’è una causa genetica. È quanto emerge da uno studio pubblicato su JBRA Assisted Reproduction, condotto dal ricercatore e ginecologo Antonio Simone Laganà (nella foto) per l’Università di Palermo, in collaborazione con altri medici di una prestigiosa Università brasiliana. È stato messo in luce l’effetto delle varianti a singolo nucleotide e TDRD3 sulla riserva ovarica. Il target finale, tra qualche anno, sarà fornire una medicina di precisione basando le terapie per infertilità e il loro dosaggio sulla base del corredo genetico della paziente.

La causa di una bassa riserva ovarica, in alcune donne, è genetica. È quanto emerge dallo studio da lei condotto. Questo significa che in futuro ci sarà un nuovo approccio farmacogenomico?
«Il numero di follicoli presenti nell’ovaio è responsabile della durata della vita riproduttiva e determina l’età in cui una donna entrerà in menopausa a causa dell’esaurimento follicolare. Ogni donna possiede un proprio patrimonio follicolare ben definito: alla nascita, in genere, contiene intorno a 1-2 milioni di follicoli, al momento della pubertà questo numero si riduce a circa 300-500 mila follicoli e decresce progressivamente fino quasi ad azzerarsi con l’instaurarsi della menopausa.

Il numero di follicoli, che definisce la riserva ovarica, è per questo motivo già determinato alla nascita e può solo progressivamente decrescere. Per misurare la riserva ovarica oggi abbiamo due strategie: il dosaggio dell’ormone anti-Mülleriano (mediante un prelievo ematico) e la conta dei follicoli antrali (mediante ecografia).

In alcune donne, la riserva ovarica purtroppo si esaurisce precocemente, determinando un quadro di Premature Ovarian Failure (POF) e questo preclude, di fatto, la capacità riproduttiva. In atto gli sforzi dei ricercatori sono mirati a comprendere le cause genetiche che possono sottendere una bassa riserva ovarica. In un recente lavoro pubblicato su JBRA Assisted Reproduction (CLICCA QUI), ad esempio, abbiamo messo in luce l’effetto delle varianti a singolo nucleotide (Single Nucleotide Variants) SYCP2L (rs2153157:G>A) e TDRD3 (rs4886238:G>A) sulla riserva ovarica. Nonostante questi test non siano immediatamente applicabili nella pratica clinica e non siano commercialmente disponibili nei comuni laboratori, i dati possono indirizzare verso futuri orizzonti di medicina personalizzata per le pazienti da sottoporre a procreazione medicalmente assistita, modificando la posologia dei farmaci da utilizzare sulla base del corredo genetico della paziente».

Quali sono le principali cause di infertilità?
«Tra le più importanti abbiamo quelle endocrine (anovulatorietà da causa ipotalamica, ipofisaria, ovarica; alterata funzione del corpo luteo; iperprolattinemia, iperandrogenismo, disfunzioni tiroidee), tubarico-pelviche (alterazioni strutturali/morfologiche o ostruzioni delle tube di Falloppio date da cause infettive, endometriosi o aderenze post-chirurgiche), uterine (malformazioni uterine, polipi endometriali, miomi, sindromi aderenziali intrauterine, endometrite cronica), cervicali (malformazioni, stenosi, alterazioni quantitative/qualitative del muco cervicale), vaginali (malformazioni, vaginismo) ed esaurimento precoce della riserva ovarica (per cause genetiche o in seguito a chemio/radioterapia). Tra le cause maschili di infertilità abbiamo quelle ormonali (causa ipotalamica, ipofisaria, testicolare), alterata produzione e/o maturazione degli spermatozoi (sterilità secretoria), alterato trasporto degli spermatozoi per cause congenite, infiammatorie o traumatiche (sterilità escretoria) e, infine, come possibile esito in seguito a chemio/radioterapia».

Quando si ricorre alla procreazione medicalmente assistita?
«Il percorso terapeutico della coppia infertile deve rispettare alcuni parametri fondamentali: ripristinare la fertilità spontanea ogniqualvolta sia possibile; consigliare un tempo “di attesa” (massimo 6-12 mesi) quando la probabilità statistica di un concepimento naturale è ancora relativamente elevata; scegliere il trattamento considerato “ottimale” in base a criteri di minima invasività, gradualità, efficacia e rischi minori; sconsigliare di accedere al percorso terapeutico in presenza di condizioni tali da rendere ogni trattamento oggi disponibile ad elevato rischio di insuccesso.

A quali tecniche si può ricorrere?
Usualmente, in caso di pervietà tubarica (verificata solitamente mediante sonoisterosalpingografia, metodica ambulatoriale non invasiva), fattore maschile di grado lieve, buona riserva ovarica si può considerare l’inseminazione intrauterina (in genere per 3-6 cicli). Nel caso di occlusione o alterazione tubarica bilaterale, fattore maschile moderato, bassa riserva ovarica, e precedenti cicli di inseminazione intrauterina falliti, si può considerare l’utilizzo della Fecondazione in Vitro ed Embryo-Transfer (FIVET). Nel caso in cui ci sia un fattore maschile severo, la tecnica di riferimento è l’iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo (ICSI), in cui il biologo seleziona il gamete maschile migliore sulla base delle caratteristiche morfologiche e di motilità, per inserirlo direttamente all’interno dell’ovocita da fecondare. Nel caso in cui la riserva ovarica sia pressoché esaurita, si potrà considerare l’ovodonazione, cioè la donazione di ovociti da parte di una donatrice. Parimenti, nel caso in cui il fattore maschile sia particolarmente grave (azoospermia) potrà essere valutata una biopsia testicolare per il potenziale recupero degli spermatozoi, oppure la donazione di gamete maschile da parte di un donatore».

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