migranti

Dal palazzo

Illustrato a Palazzo delle Aquile

Assistenza sanitaria ai migranti, a Palermo un progetto all’insegna del lavoro di squadra

Prevede lo screening, la cura ed il follow-up e prende le mosse dalla sinergia metodologica, avviata tre anni fa, tra l’Arnas Civico, la Sezione di Gastroenterologia ed Epatologia del Policlinico Giaccone e l’Asp 6.

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fonte www.ilSicilia.it

PALERMO. Assistenza sanitaria ai migranti e lotta all’epatite C: è l’asse portante del progetto al centro di un incontro che si è svolto a Palazzo delle Aquile. L’iniziativa prevede lo screening, la cura ed il follow-up e prende le mosse dalla sinergia metodologica, avviata tre anni fa, tra l’Arnas Civico di Palermo, la Sezione di Gastroenterologia ed Epatologia del Policlinico Giaccone e l’ASP 6.

Referenti ed ideatori del progetto sono Tullio Prestileo (responsabile dell’unità dedicata alle “popolazioni migranti e vulnerabili” dell’Arnas), Ornella Dino (dirigente medico dell’Asp 6 e  coordinatrice dell’assistenza sanitaria ai centri di accoglienza di Palermo e provincia), Antonio Craxì (direttore dell’UOC di Gastroenterologia ed Epatologia del Policlinico di Palermo e ordinario dello stesso Ateneo) e Vito Di Marco (ordinario di Gastroenterologia della stessa Università).

Erano presenti anche Giovanni Migliore (commissario Arnas Civico di Palermo, Toti Amato (presidente Ordine dei Medici di Palermo) e Fra Alberto Angeletti (Padre Superiore dell’Ospedale Buccheri La Ferla) ed alcuni mediatori culturali.

Il prof. Antonio Craxì evidenzia: «Questo incontro ci permette di inquadrare la situazione relativa alle patologie infettive del fegato, nella specie Epatite B e C, capaci di determinare infezione cronica e danno permanente al fegato. I migranti provengono per lo più da aree ad alta infezione cronica e nel periodo in cui rimangono nel nostro territorio possono essere curati se i virus vengono identificati. Con i regimi di SPT (Straniero Temporaneamente Presente) possono ricevere, nell’ambito Servizio Sanitario Nazionale, tutti gli accertamenti preliminari e vedersi programmato e riconosciuto un percorso di cura».

«È importante- continua Craxì- intervenire nella finestra temporale in cui i migranti rimangono nei centri di accoglienza. La possibilità di identificare il virus HCV con test di pronta esecuzione permette di iniziare un trattamento basato su una terapia orale, in sostanza due capsule per otto settimane, senza la necessità di particolari controlli, con l’accertamento a fine percorso, della guarigione. L’epatite B invece non può essere eradicata, ma contenuta attraverso farmaci già disponibili da molti anni, dunque in questo caso si tratta, sempre nel contesto migranti al punto di arrivo, di iniziare un cura che va proseguita a lungo termine».

«La nostra esperienza- sottolinea Tullio Prestileo– mette in evidenza la possibilità di garantire alla popolazione migrante un’effettiva fruizione dei servizi sanitari e la tutela del diritto alla salute. Questo incontro ha rilevato la necessità di proseguire il percorso avviato, ai fini di realizzare l’obiettivo concreto di microeradicazione del virus HCV nei migranti, tenuto conto di una distinzione nell’iter diagnostico-terapeutico tra la persona non italiana presente stabilmente sul territorio nazionale rispetto al migrante che sosta solo temporaneamente. Ci vogliono anche strumenti economici per supportare l’opera dei mediatori che ora lavorano volontariamente o in modo precario. Sono un anello fondamentale per un approccio adeguato ad altre culture e, quindi, per l’effettiva possibilità di attivare la catena di cura».

«È necessario- afferma Vito Di Marco– organizzare modelli di gestione clinica dei pazienti con epatite cronica da HCV, in modo che siano semplici, veloci e ugualmente applicabili ai cittadini siciliani e agli immigrati che soggiornano in Sicilia per pochi mesi. La rete HCV Sicilia, che è diventata un modello di best practice in Europa, ha la struttura ed i mezzi per gestire la terapia antivirale di tutti i pazienti residenti in Sicilia. I farmaci oggi disponibili guariscono oltre il 95% dei pazienti, non provocano effetti collaterali e sono somministrati per 8 o 12 settimane. La collaborazione con gli ambulatori delle ASP che si occupano della salute dei migranti e con le strutture di accoglienza che li aiutano ad inserirsi nel nostro ambiente sociale è fondamentale».

Fabio Cartabellotta, coordinatore rete HCV Sicilia aggiunge: «Sarebbe opportuno concentrarsi preliminarmente sulla necessità di testare le persone migranti, individuare il momento più agevole per fare il test, misurare il numero di infezioni e poi rinviare ad un momento successivo le valutazioni del percorso di cura».

Tutti segnalano come prioritario il momento dell’approccio. Il problema come hanno testimoniato anche gli esponenti delle Ong ed i rappresentanti delle diverse etnie, che si sono confrontati in un’apposita tavola rotonda, moderata dal dr. Francesco Di Lorenzo (ARNAS) e dalla giornalista Maria Grazia Elfio è quello di superare ostacoli di comprensione culturale.

Ornella Dino, ASP 6, afferma: «Prima di un approccio scientifico occorre parlare di approccio umano e culturale. Poter curare il migrante significa spiegargli cosa stiamo facendo, poiché spesso in altre culture anche il semplice prelievo di sangue viene visto come un vulnus all’anima. Noi andiamo nei centri di accoglienza, ascoltiamo storie, entriamo in contatto prima con le persone ed il loro vissuto, poi facciamo gli screening. Il migrante non è avvezzo al concetto di portatore sano di una malattia: proporgli la somministrazione di una terapia quando non si sente malato, perché non ha sintomi, non è semplice e occorre trovare linguaggi che ci mettano in comunicazione con il suo mondo. Questo sistema funziona grazie all’opera dei mediatori culturali. È un lavoro di squadra».

Francesco Vitale (presidente della Scuola di Medicina dell’Università di Palermo), che ha portato il saluto del rettore Fabrizio Micari, sottolinea: «La prima esigenza a cui rispondere è quella dell’accoglienza. Il migrante non viene qui per farsi curare, ma perché scappa da situazioni drammatiche. Bisogna investire sulla formazione dei medici in modo che siano attrezzati a proporre l’offerta assistenziale con linguaggi comprensibili, ma anche affinché possano opportunamente destreggiarsi nei pantani burocratici e nelle normative vigenti».

Il prof. Massimo Colombo di EASL (European Association for the Sudty of the Liver ) ha sottolineato l’impegno per l’eliminazione del virus nell’Unione Europea. Lidia Tilotta, giornalista Rai, ha aperto la prima parte dei lavori condividendo alcune drammatiche testimonianze di migranti raccolte nel corso della sua esperienza di cronista a Lampedusa.

 

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