La casa come primo luogo di cura non è una rivoluzione del 2023 ma con il decreto ministeriale 77/2022: nuovi modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel sistema sanitario nazionale l’Adi diventa un tassello fondamentale. Entro il 2025 i pazienti over 65 che necessitano di accedere all’Assistenza domiciliare integrata infatti dovranno raggiungere il 10 per cento del totale a fronte dell’attuale 4,5.
Dell’argomento abbiamo parlato con il medico ed ex parlamentare Giorgio Trizzino che un grande contributo ha dato in materia presentando un emendamento.
L’Adi a chi è rivolta?
«Intanto oggi è contemplata nei LEA, ci sono due articoli nei quali vengono definiti e circostanziati quali malati rientrano in questa forma di assistenza, ovvero i cronici-degenerativi, i fragili, gli over 60 e l’ampia fetta- che non ha età- di dimissioni protette dagli ospedali, ad esempio il malato ortopedico a seguito di intervento».
Da dove partiamo e dove siamo diretti?
«In Sicilia- ma non solo- vi è stata una lampante carenza sull’aspetto dell’integrazione delle cure domiciliari definite appunto Adi. I fondi destinati all’integrazione hanno seguito canali diversi e sono stati solo in parte utilizzati per una sorta di assistenza domiciliare di supporto senza sviluppare una vera integrazione con la parte sanitaria, presupposto essenziale della legge 628. In Sicilia ci si è iniziati ad occupare di cure a casa solo verso la fine degli anni 90 e nei primi anni 2000, i servizi venivano effettuati in regime di convenzione, ovvero soggetti privati partecipavano ai bandi e aggiudicandosi l’appalto fornivano il servizio per tre anni, rinnovabile due anni ancora. Questo sistema ha prodotto e generato mal funzionamenti, perché il livello qualitativo non è stato adeguato coinvolgendo soggetti che non hanno una cultura della cura domiciliare profonda e perché con il passare del tempo le gare sono andate verso il ribasso, riducendo l’offerta si riduceva la qualità. Ora invece puntiamo all’accreditamento degli enti profit e non profit che hanno le caratteristiche idonee per fornire il servizio».
Lei ha grande esperienza delle cure domiciliari nel campo palliativo. Qual è stato il suo contributo invece per l’Adi mentre era parlamentare?
«Io vado in parlamento e mi trovo davanti a una situazione di stallo, il Ministero aveva stabilito il decreto sull’accreditamento delle cure domiciliari, un cambiamento radicale della visione e dell’approccio alla cura ma non riusciva ad andare avanti perché la legge 502 sulla riforma del sistema sanitario nazionale non prevedeva tra le varie forme di accreditamento anche quelle domiciliari. Negli anni ’70 non esistevano. Quindi ho presentato un emendamento per modificare la legge 502 e inserire le cure domiciliari in regime di accreditamento; approvato il decreto fu recepito dalle Regioni. Il sistema dell’Adi, negli ultimi due anni, però sta cambiando anche in ragione del Pnrr che destina nell’Area 6 una grande parte di risorse (circa 300 milioni per la Sicilia) per attivare e aumentare il numero dei malati assistiti. L’obiettivo è raggiungere entro il 2025 una quota pari al 10 per cento dei malati ultra 65enni che ne hanno necessità. Questi elementi creano tutte le condizioni affinché avvenga un profondo cambiamento: il paziente accede a un nuovo sistema di valutazione del suo stato di salute e poi può in autonomia stabilire quale degli enti erogatori (accreditati) può assisterlo a casa».
Detto così sembra facile…
«Sì, ma in realtà c’è un grande problema. Il paziente non ha le competenze per stabilire quale sia l’ente più appropriato, è necessaria dunque la massima trasparenza affinché il paziente sia edotto e venga messo nelle condizioni di conoscere le competenze che possiede l’erogatore dei servizi, la sua storia, quali esperienze e specificità possiede».
Il buon funzionamento dell’Adi è un’occasione per “curare” anche il SSN?
«Certamente! Cconsente al sistema un notevole risparmio, infatti se la presa in carico e la valutazione vengono fatte correttamente, con la definizione qualitativa e quantitativa delle necessità reali dell’ammalato, quest’ultimi saranno pazienti che non andranno più in Pronto soccorso e soprattutto non avranno più la necessità di essere ospedalizzati (circa 700 euro un giorno di degenza) e quindi i nosocomi avranno un maggior ricavo aumentando i turnover, dimettendo più velocemente. Per non parlare dei malati specialistici quali quelli in oncologia o rianimazione. Se l’Italia e quindi ogni singola Regione non adempie all’incarico di raggiungere questi obiettivi nell’arco di due anni sciuperà una grande opportunità, cioè perderà i finanziamenti e soprattutto risulteremo essere inadempienti verso una cosa fondamentale: modificare il nostro sistema territoriale e dare grande spazio alle cure domiciliari e alla telemedicina (quindi telecontrollo e telesorveglianza h24), altro grande componente innovativo di questo nuovo sistema».
Italia e Sicilia vanno alla stessa velocità?
«In Europa siamo molto indietro rispetto alla Francia e alla Germania dove questi sistemi sono ampiamente collaudati e hanno consentito di ridurre notevolmente la spesa per la sanità. Nel nostro Paese con il DM 77/2022 sulla riforma del territorio secondo il Pnrr abbiamo già impostato una serie di finanziamenti specifici per queste attività. Il problema adesso è farlo funzionare. In Sicilia c’è una grande novità, stiamo lanciando il terzo settore. Sperimentiamo dunque l’impiego di un no- profit che prendendo spunto dalle proprie esperienze e attività si propone come interlocutore nell’ambito dell’accreditamento per le cure domiciliari. Riduce l’isolamento e l’impatto emotivo dell’ospedale».
I pazienti quali benefici avranno grazie a questa normativa?
«Il più importante è una valutazione multidimensionale del loro bisogno, non si tratterà più di andare in ospedale e risolvere un problema anziché un altro; la presa in carico presupporrà una valutazione complessiva e il monitoraggio tramite strumenti specifici di valutazione e misurazione del bisogno, quindi avvalendosi di scale differenziali. L’altro vantaggio è quello che il malato sta a casa e la famiglia diventa un sistema di cura anch’esso. Quando questo non sarà possibile saranno previsti i casi di residenzialità o semi-residenzialità quindi l’accesso alle case della salute, le Rsa. È un percorso virtuoso e non virtuale che nel tempo produrrà i suoi risultati e questo avverrà se funzionerà in primis l’ente appaltante, quindi l’azienda territoriale che deve impegnarsi ad avere la regia completa di questo sistema, attraverso il controllo della spesa, il monitoraggio attento delle prestazioni erogate etc. Le centrali operative territoriali diventano la regia di tutto il sistema, dove il malato accede attraverso il suo bisogno che può provenire dall’ospedale (in quanto ospedalizzato) oppure dal medico di medicina generale (che è l’attore principale del sistema dell’ Adi perché è colui che attiva l’assistenza e monitora la situazione nel tempo)».
Le Asp siciliane sono pronte?
«Tutte e nove si stanno preparando, sono in fase avanzata. Anche perché c’è stata una guida molto forte da parte dell’assessorato, l’ufficio della fragilità ha in questi mesi lavorato molto e sono stati attenti e attivi nella fase di accreditamento».
Come possiamo concludere?
«Se ci sarà la volontà questo sistema potrebbe sopperire alle ataviche carenze ospedaliere dei medici, degli infermieri, degli oss. La legge dice che entro il 2025 si dovrà arrivare a coprire il 10 per cento dei pazienti over 65 ma io dico che dovremo andare ben oltre. In Italia e in Sicilia ci si è attestati intorno al 4,5 per cento ma ci sono altri Paesi europei che sono già al 40 per cento. Sono comunque fiducioso per la nostra regione, devo riconoscere che c’è da parte dell’Assessorato massima attenzione nel rispettare i tempi per non perdere questa occasione irripetibile».