«Mi piacerebbe che Ragusa venisse conosciuta non solo per le sue meraviglie architettoniche e paesaggistiche, ma anche per l’attività clinica, la ricerca e le capacità professionali dei suoi orgogliosi medici»: è quanto desidera il professor Massimiliano Sorbello, da dicembre direttore dell’Unità Operativa Complessa di Anestesia e Rianimazione dell’ospedale “Giovanni Paolo II” di Ragusa.
«I progetti sono molti e ambiziosi, ma io amo le sfide» sottolinea Sorbello, originario di Catania e proveniente dall’Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico “Rodolico-San Marco” di Catania, dove ha maturato esperienza in Rianimazione come anche nei settori anestesiologici, comprese Neurochirurgia, Chirurgia dei trapianti d’organo, Chirurgia toracica, Chirurgia ortopedica, Chirurgia pediatrica e Chirurgia generale, laparoscopica e robotica.
Professore com’è stata l’accoglienza?
«Devo dire che qui ho trovato un grande supporto da parte dei vertici dell’azienda. Ho trovato del personale giovane, capace, entusiasta, che tanto ha sofferto le carenze di organico e che ha combattuto duramente negli anni del Covid-19. Un reparto aggiornato dal punto di vista tecnologico e di dotazione, ma si può sempre fare di più. Le priorità sono: garantire assistenza e migliorare la qualità con la ricerca».
Ciò come sarà reso possibile?
«Con un lavoro di squadra: da un lato i vertici devono rendere appetibili i luoghi per i professionisti intenzionati a crescere in termini di riconoscimento economico e di aggiornamento tecnologico, dall’altro lato serve l’impegno di chi dirige clinicamente questi reparti creando un ambiente che sia efficiente ma anche piacevole in termini di team, di risorse di studio e di ricerca».
Allude alla sofferenza in cui versano la sanità in generale e alcuni reparti di emergenza-urgenza?
«La sofferenza del reparto di rianimazione non riguarda solo Ragusa. Si parla sempre di carenza di medici, in generale, ma il compito più gravoso e la responsabilità ce l’hanno due forze teoricamente indipendenti, ma di fatto in interscambio tra loro che sono la politica e l’università. Serve formare nuovi specialisti, snellire e bilanciare le procedure di assunzione, ottimizzare i percorsi assistenziali e rendere ancor più attrattive le “sedi decentrate” dove già si produce medicina di sostanza e di qualità».
Può essere più specifico?
«In politica si dovrebbero rivedere le priorità. Io prendo per buono che ci sia un interesse genuino e sociale da parte dei politici locali che intraprendono delle “battaglie”, ma diventano anche strumenti demagogici perché è chiaro che rappresenta l’interesse della comunità avere un ospedale che funzioni e avere un ospedale che non funziona è peggio che non averlo. C’è anche la responsabilità dell’università che stiamo pagando oggi, trent’anni anni di assenza di programmazione, di formazione, Catania ha perso la scuola di specializzazione di anestesia e rianimazione perché l’ordinario è andato in pensione e non si è fatto nulla per creare un successore. Un danno enorme».
Cosa si potrebbe fare?
«In termini universitari si dovrebbe ricostruire la scuola e in termini politici rivedere le priorità. È vero che da un lato il professionista deve poter scegliere dove andare, ma dall’altro è anche vero che c’è un diritto della popolazione di avere cure di qualità. Io credo che il ruolo della politica sia quello, almeno di distribuire in maniera ragionata i posti tra i centri e bilanciarla tra i territori. La politica dovrebbe riconoscere lo stato di sofferenza delle ASP più piccole, rispetto ai grossi centri come lo è l’Asp di Ragusa, dove c’è un grande bacino d’utenza. Per certe cose ci sono anche più bisogni rispetto a una grande città».
Può fare un esempio?
«In tutta la provincia di Ragusa non c’è una neurochirurgia. Questo significa che in caso di necessità non posso prendere il paziente in cura dall’emergenza-urgenza fino in neurochirurgia, ma occorre stabilizzare e trasferirlo in un’altra struttura e per farlo occorre a bordo un medico di area clinica. A Catania ci sono tre neurochirurgie e occorre arrivare ad Agrigento per trovarne un’altra. Questo significa che serve una programmazione a livello regionale. Come dicevo prima, parlando di priorità, i vertici aziendali sono stati reattivi e pronti in termini di soddisfare bisogni essenziali. Abbiamo la guardia attiva continua, una copertura h24 delle urgenze mediche e chirurgiche e dell’attività ostetrica. Accanto a questo però per fare un salto di qualità deve subentrare una programmazione e l’attività elettiva. Ciò significa le varie prestazioni che noi copriamo, soprattutto l’attività chirurgica. Per garantirla c’è stato prima un gran sacrificio del personale dell’azienda, incentivato e sostenuto dalla direzione mediante turni addizionali e a pagamento extra. Servizio che raggiunge livelli di dignità solo con collaborazioni con specialisti esterni da altre aziende. Un sistema che consente di far funzionare bene la macchina, ma certamente non con i numeri di un organico pieno».
Qual è la situazione legata alla carenza di personale?
«La nostra pianta organica in reparto a Ragusa prevede trenta unità compreso il direttore e in questo momento noi siamo quattordici. Situazione simile anche negli altri ospedali. C’è impegno da parte della direzione di incrementare, per migliorare i servizi. Tra i primi obiettivi che ho c’è quello di ripristinare la guardia ostetrica, ovvero una persona dedicata h24 solo all’ostetricia e ginecologia e, se riesco ad avere altro personale, c’è anche quello di garantire la partoanalgesia (epidurale), non al momento possibile perché serve personale dedicato. Noi al momento abbiamo una guardia d’urgenza che copre tutto, che fa triage delle varie urgenze e conta sull’aiuto degli altri medici, ma non abbiamo una figura dedicata all’ostetricia».
Professore lei vanta esperienze internazionali, ha vinto diversi premi per la sua attività di ricerca e formazione. È presidente della Società europea di gestione delle vie aeree, coautore o reviewer delle linee guida per la gestione delle vie aeree americane, inglesi ed europee nonché delle buone pratiche cliniche della SIAARTI per la gestione perioperatoria del paziente obeso, con apnee ostruttive del sonno e della gestione delle vie aeree. Ha detto che tra le sue priorità c’è quella di portare a Ragusa l’esperienza clinica, formativa e scientifica del mondo, in che modo?
«Nonostante abbia ricevuto proposte fuori dalla Sicilia non ho voluto mai andarmene perché sono legato a questa terra, mi sento siculo nell’anima. Ma ho anche realizzato, tutte le volte che per lavoro mi sono recato all’estero, che noi siciliani non siamo meno degli altri. Mi sono sempre ripromesso di portare qualcosa qui. Auspico di poter replicare degli eventi dal respiro internazionale qui e di contribuire con la mia esperienza a rendere Ragusa sede di innovazione e di collaborazione interdisciplinare nazionale ed internazionale, dopo aver garantito efficienza, qualità e umanità delle cure occorre lavorare in comunione di intenti con gli altri attori coinvolti».