Quando le voci erano diventate più insistenti su un imminente trasferimento professionale nel Lazio, non aveva né confermato né smentito la notizia Angelo Aliquò, che ha lasciato il posto di Direttore Generale dell’ASP di Ragusa dopo aver accettato una nuova proposta di lavoro per ricoprire lo stesso ruolo all’ASL di Frosinone. Adesso che è ufficiale e dopo aver preso servizio il 6 giugno scorso, Insanitas ha parlato con lui di questa decisione in un’intervista.
Da cosa nasce la decisione di lasciare l’ASP di Ragusa e trasferirsi nel Lazio?
«Il 16 aprile ho ricevuto il primo messaggio e poi telefonicamente mi è stato chiesto se ero interessato ad andare in Lazio. Dal momento che il mio mandato a Ragusa volgeva al termine, non sapendo come andava a finire e considerato che il Lazio era una delle regioni a cui avevo fatto domanda, ho dato la mia disponibilità per un incontro. Nel frattempo hanno incontrato altri candidati,ma quando poi mi è stata fatta la proposta ho risposto di sì per due motivi: perché non avevo certezza del mio futuro in Sicilia e poi perché credo fosse tempo di fare nuove esperienze. Il Lazio è una delle regioni a cui ho sempre guardato con attenzione negli anni, perché hanno fatto uno sforzo enorme lavorando parecchio sul recupero di disavanzo e dall’assessorato c’è anche molta attenzione alle dinamiche del territorio e c’è un dialogo frequente con i direttori generali. Cosa che hanno confermato anche i miei colleghi romani, che credo abbiamo espresso un parere favorevole nei miei confronti in questo ruolo».
Com’è stata l’accoglienza?
«Ottima, è una realtà avanzata da certi punti di vista, ma ci sono ancora delle cose che non sono state fatte. Certamente non è un passo indietro rispetto alla mia ultima esperienza, sono in un posto quanto meno alla pari. C’è però una differenza sostanziale di dimensioni: basti pensare che i sindaci in territorio di Frosinone sono 91 e devo ancora incontrare molti di loro. Un numero ben più alto rispetto alla provincia di Ragusa. I primi giorni sono andato negli ospedali in incognito per farmi un’idea e non mi riconoscevano, per rendere l’idea della differenza. Non è stato comunque facile andare via da Ragusa, è stato un distacco doloroso e non semplice».
Non c’è stato nessun corteggiamento per farla restare?
«Ci sono stati alcuni deputati che mi hanno chiesto di restare. Io ho mantenuto buoni rapporti con tutti a prescindere dal partito e dalle ideologie e non ho mai ricevuto proposte inaccettabili o discutibili. Ho ricevuto anche una lettera di risposta alla mia nota di saluto da parte del Presidente della Regione, penso di aver compiuto il mio dovere per l’incarico che mi era stato affidato».
Cosa si porta dietro dell’ultima esperienza all’ASP di Ragusa?
«Ricordiamoci c’è stato il brutto inconveniente di gestire l’emergenza Covid-19. Abbiamo dovuto imparare un altro mestiere adeguandoci a quella che era la pandemia. Non è stato per nulla semplice, ma proprio per questo ho imparato molto e ritengo di aver lasciato una situazione migliore di come l’avevo trovata. Sicuramente c’è ancora tanto da fare, però abbiamo compiuto tutto ciò che potevamo compiere».
In che stato ha lasciato l’azienda?
«Molto più avanti dal punto di vista informatico, ci sono servizi che tre anni fa neanche ci sognavamo. Ci sono attrezzature che prima non c’erano e nonostante il virus non ci siamo fermati. Ci sono cose che dal di fuori non si percepiscono totalmente, come ad esempio la cartella clinica elettronica che è un presupposto per passare a una gestione del paziente integrata con il fascicolo sanitario elettronico. L’Asp di Ragusa in questo senso è avanti non solo al confronto di altre realtà in Sicilia, ma anche sul piano nazionale».
Altri traguardi raggiunti?
«Abbiamo iniziato la connected care, ovvero un percorso che si prende carico del paziente dal suo ingresso in struttura fino alle dimissioni. Ma c’è ancora tanto da fare. Tra l’altro l’ASP di Ragusa è stata anche portata come esempio nel corso di un convegno a Roma riguardo la COT, la centrale operativa territoriale nella sede dell’ex ospedale “Civile” di Ragusa. È sperimentale e deve entrare a regime tra alcuni mesi, ma siamo con quattro anni d’anticipo rispetto al fatto che devono essere attivate entro il 2026. Altra cosa di cui vado fiero è la nomina di trenta primari, validi non solo sul piano professionale, ma anche umano. Abbiamo abbattuto la migrazione sanitaria con reparti potenziati, tra cui nefrologia e neurologia per citarne solo alcuni».
Ha guidato l’Asp di Ragusa dal 2018, ma in realtà c’era già stato nei panni di commissario straordinario dal dicembre del 2012 al febbraio del 2014. Se dovesse fare un confronto tra le due esperienze, cosa emergerebbe?
«La prima volta ho vissuto tutto nella consapevolezza di una prospettiva limitata nel tempo con aspettative lievemente più basse. Tra l’altro ero arrivato per stare solo un paio di mesi, ma in realtà sono rimasto oltre un anno. In quell’occasione credo di aver lasciato un buon segno e sono tornato professionalmente più maturo. Nella recente esperienza ho portato la voglia di fare ricerca all’interno di un’ASP. Ad esempio abbiamo realizzato il laboratorio di genetica medica gestita dall’ASP, che non è una cosa scontata».
Ci sono anche altre cose che avrebbe voluto realizzare?
«Quello che è rimasto un sogno ad esempio è potenziare gli ospedali con grandi attrezzature, ad esempio dotare gli ospedali di due TAC, ma purtroppo non tutto dipende dall’ASP, altre istituzioni hanno dei tempi differenti. Per esempio nel caso delle TAC le sta fornendo il Ministero della Salute tramite la Consip».
Cosa cambierebbe con il senno di poi nella gestione del Coronavirus?
«Qualcosa, tuttavia non da parte nostra. Ad esempio una cosa che non ho mai digerito e questo mi dispiace è la distribuzione del personale che ha messo molto in difficoltà le province siciliane più piccole. Per fare un esempio gli anestesisti “dirottati” soprattutto nelle grandi città a scapito delle province piccole. Devo ringraziare gli anestesisti perché nonostante fossero meno del 50% di quanti avrebbero dovuto essere hanno garantito le attività legate all’emergenza Coronavirus e quelle ordinarie. Non dimentichiamo neanche gli operatori dell’emergenza, che sono davvero pochi».
Sulla questione vaccini anticovid che hanno fatto balzare alle cronache nazionali la provincia iblea?
«C’è ancora dell’amaro in bocca per delle leggerezze che ci sono state da parte di qualcuno. Leggerezze che però sono accadute in tutta Italia, in tutta la Sicilia, ma noi siamo purtroppo bravi a parlare male di noi stessi in maniera controproducente. Spero di non ritrovarmi più in una situazione simile».

Angelo Aliquò durante uno degli sbarchi di immigrati a Pozzallo