PALERMO. Procede a rilento la somministrazione degli anticorpi monoclonali contro il Coronavirus in Sicilia, tanto che nel report nazionale la nostra isola si attesta all’ultimo posto insieme alla Sardegna per numero di pazienti trattati. Ci sono dei centri come Messina, Siracusa e Agrigento che non hanno mai somministrato il farmaco. In realtà, i due centri Hub di Catania e Palermo stanno registrando numeri in linea con quelli nazionali, ma è chiaro che alcune problematiche non consentono l’utilizzo dei monoclonali in serenità. Per cercare di capire dove fosse il problema, tutti i referenti nei giorni scorsi sono stati convocati dall’assessorato alla Salute per una riunione.
«La criticità maggiore e non superabile sui monoclonali è la mancata segnalazione, infatti, noi abbiamo lamentato proprio il fatto che i pazienti ci vengono segnalati pochissimo. Il 70% dei pazienti del “Cervello” sono quelli che arrivano in pronto soccorso. In totale, avrò ricevuto circa 15 segnalazioni tra Usca (principalmente quella del Covid Hotel) e medici di famiglia. Qualche altra segnalazione è arrivato da qualche collega che mi ha contattata, ma la segnalazione da parte del territorio è mancata» ha riferito ad Insanitas Tiziana Maniscalchi, direttore facente funzioni del “Pronto Soccorso” dell’ospedale “Cervello” e coordinatrice dei posti letto Covid di Palermo.
La nota assessoriale relativa all’utilizzo degli anticorpi monoclonali stabilisce che a segnalare un paziente idoneo a ricevere il trattamento devono essere le Usca, i medici di famiglia, i pediatri di libera scelta e qualunque medico venga a conoscenza di soggetti da trattare. Se queste segnalazioni vengono meno oppure arrivano dopo i dieci giorni in cui è possibile somministrare il farmaco, è chiaro che non è possibile trattare il malato. Al “Cannizzaro” di Catania, il referente per i monoclonali per la Sicilia Orientale e primario di “Malattie Infettive” Carmelo Iacobello, avendo meno probabilità di vedere il paziente esterno, come succede invece alla dottoressa Maniscalchi che lavora al Proto Soccorso, si è organizzato per cercare attivamente i pazienti da trattare avviando una specie di porta a porta. La mancata segnalazione da parte del territorio è stata lamentata, durante l’incontro con l’assessorato, in tutta la Sicilia.

Tiziana Maniscalchi
«Un altro problema si è presentato perché nel bando si parla solo di accesso del paziente in ospedale per il trattamento ma non è stabilito qual è il criterio per trasportare i pazienti, quindi con quale mezzo farlo- spiega ancora Tiziana Maniscalchi, referente per i monoclonali per la Sicilia Occidentale- A Palermo e Catania ci siamo serviti del 118. Qualcuno si è pure pagato l’ambulanza per venire in ospedale, cosa che ovviamente noi non abbiamo mai chiesto né detto di fare, ma qualcuno ha pensato di organizzarsi così. Ad Agrigento, ad esempio, sostengono di non aver mai trattato dei pazienti perché non sapevano come risolvere la situazione del trasporto in struttura. Per questo motivo adesso si sta procedendo a stipulare una convenzione ad hoc con la Croce Rossa. A domicilio il trattamento non è fattibile perché è una terapia sperimentale, quindi, l’ambiente deve essere idoneo a supportare eventuali eventi avversi».
A creare ulteriori problemi non è soltanto il trasporto del paziente positivo ma anche il trasporto del farmaco dai centri Hub agli altri centri siciliani, che deve essere effettuato con criteri e tempistiche precise. A Catania e Palermo è quindi più facile somministrare il farmaco al paziente. Nell’ultimo periodo, inoltre, le somministrazioni si sono ridotte perché per fortuna ci sono meno pazienti rispetto a due/tre settimane fa.
«Ieri sono arrivati al Pronto Soccorso due tedeschi che avevano tutti i criteri per essere inclusi, ma non avevano la residenza in Italia e quindi non ho potuto somministrare i monoclonali perché lo studio Aifa a cui stiamo partecipando è italiano- ha raccontato la dottoressa Maniscalchi- Un altro cavillo riguarda il fatto che essendo una cura ambulatoriale, non può essere fatta ad un paziente ricoverato o che deve essere ricoverato, anche per altre patologie. Il razionale è che questo farmaco deve essere utilizzato proprio per evitare l’ospedalizzazione, ma ciò diventa anche un limite. Noi medici in realtà siamo contenti di utilizzare gli anticorpi monoclonali, ma forse c’è un po’ di resistenza e non capisco per quale motivo dato che il trattamento funziona molto bene sui malati Covid, tra l’altro a breve verranno allargate le indicazioni e potrà essere utilizzato su una platea maggiore di persone».